I cattivi che non servono Dio e muoiono in peccato mortale, che cosa meritano? R. - I cattivi che non servono Dio e muoiono in peccato mortale, meritano l’inferno? Che cos’è l’Inferno? R. - L’Inferno è il patimento eterno della privazione di Dio, nostra felicità, e del fuoco, con ogni altro male senza alcun bene. Spiegazione. - 1. - Dio ci ha creati affinché ci applichiamo a conoscerlo, amarlo e servirlo; se noi lo facciamo, Egli ci premierà col Paradiso che è il premio dei buoni. Che cosa avverrà, invece, di coloro che non sono buoni, non vogliono né conoscere, né amare, né servire Dio? Ci insegna il Catechismo che i cattivi i quali non servono Dio e muoiono in peccato mortale, meritano l’inferno, vanno all’inferno. Il Catechismo, dicendoci che meritano l’inferno coloro che non servono Dio e che muoiono in peccato mortale, ci fa intendere che se uno si pentisse sinceramente dei suoi peccati anche in punto di morte, si salverebbe. Ma non illudiamoci; non è cosa facile, supposto che se ne abbia tempo, pentirsi in punto di morte. Per sincero pentimento bisogna detestare quello che si è fatto, amare Iddio che si è tanto offeso; bisogna cambiare volontà. Per coloro poi che vivono nel peccato, lusingandosi di convertirsi in punto di morte, vi è la terribile minaccia di Gesù Cristo: «Mi cercherete e non mi troverete... mi cercherete e morrete nel vostro peccato» (S. Giovanni, VII, 34; VIII, 21) e la sentenza dello Spirito Santo: «Pessima è la morte nel peccato» (Salmi, XXIII,21). - Sull’esistenza ed eternità dell’inferno, vedi N. 103. 2. - Che cos’è l’inferno? Esso è l’opposto del Paradiso. - 1) Il Paradiso è il godimento eterno di Dio; l’Inferno è il patimento eterno della privazione di Dio. L’uomo è creato per Dio. Solamente dopo la morte conoscerà bene questa verità; allora sentirà il bisogno di Dio che ora non può neppure intendere. Chi commette il peccato, volge le spalle a Dio, si separa da Dio. Se muore in peccato, Dio nell’eternità lo separerà da Sé per sempre. Ora noi non possiamo immaginare quale sia il tormento dell’anima priva di Dio dopo averlo veduto e conosciuto come suo vero Bene. Per apprezzare un bene, bisogna conoscerlo; come il cieco non conosce le bellezze della natura, come il sordo non sa che cosa sia l’armonia della musica, come il montanaro non istima lo splendore di una reggia, come il fanciullo non conosce il valore dei diamanti, così noi ora non possiamo intendere come Dio è ogni bene e il solo vero bene dell’anima per il quale è creata, e perciò non possiamo intendere quale sarà il tormento del dannato privo della vista di Lui per sempre, dopo che l’ha veduto e conosciuto. L’uomo è creato per vedere e godere Dio nell’altra vita, e perciò nell’eternità Dio sarà un bene dovuto all’uomo e a lui necessario, come è dovuto all’occhio il vedere, all’udito l’udire. L’uomo, perdendo Dio nell’eternità, sentirà di aver perduto il Bene che gli è necessario, di cui ha bisogno assoluto, perchè creato per possederlo; la perdita eterna di questo Bene infinito sarà il suo eterno tormento. - Perdendo Dio, il dannato perde ogni bene, perchè Dio è il sommo e il solo Bene, e nell’eternità fuori di Dio non ci sarà altro bene. - 2) Inoltre l’inferno è il patimento del fuoco. Gesù Cristo lo ha detto molte volte; le sue parole sono tutte verità: a) Egli, insegnando il dovere di soffrire qualunque cosa per evitare l’inferno e di troncare perciò a qualunque costo ogni occasione cattiva, pericolosa, diceva: «Se la tua mano, o il tuo piede ti è di scandalo, troncalo e gettalo via da te: è meglio per te giungere alla vita monco e zoppo, che con due mani o due piedi esser gettato nel fuoco dell Inferno... (S. Matteo, XVIII, 7-9). È meglio per te giungere alla vita così monco, che andartene con tutt’e due le mani all’inferno in fuoco inestinguibile, dove... il fuoco non si estingue» (S. Marco, IX, 42-43) - b) Annunziando la sentenza che pronunzierà contro i reprobi al giudizio universale così la riferì: «Via da me, maledetti, al fuoco eterno...» (S. Matteo, XXV, 41) - c) E finalmente ci volle mostrare, nel ricco Epulone, un’anima dannata che dall’inferno grida: Spasimo in questa fiamma; e domanda invano la carità di una sola goccia d’acqua. Il peccatore abbandonò, sulla terra, Dio per le creature; nell’inferno Dio abbandonerà il peccatore, e una creatura, il fuoco, sarà strumento della giustizia di Dio per punirlo. 3) Col fuoco nell’inferno si soffre pure ogni male senza alcun bene. Dio è il Sommo Bene e perciò chi gode Dio gode in Lui ogni bene. L’Inferno è il patimento della privazione di Dio e perciò di ogni male senz’alcun bene. Ora non possiamo immaginare tutti i mali uniti assieme, senza alcun bene, perchè sulla terra ogni male è lenito da qualche bene. Pensate solo che nell’inferno il dannato, privo della vista di Dio, tormentato dal fuoco, e da ogni male, deve soffrire la compagnia dei demoni, di tutti i malvagi, l’odio che lo lacera, il rimorso che lo rode, e i pensieri dolorosi: Che cosa ho perduto col Paradiso?... furono nulla i piccoli godimenti che mi han meritato l’inferno... eterno! Mi costava poco salvarmi... con minori sacrifici sarei in Paradiso. 4) Finalmente il colmo dei tormenti dell’inferno è l’eternità. Come il Paradiso è il godimento eterno, così l’inferno è l’eterno patimento. La eternità è il colmo di tutti i patimenti: soffrire e sapere che si soffrirà così per sempre. Non avete mai veduto dei condannati alla galera a vita? Com’è doloroso il loro lamento: Non uscirò più di qui; sarò sempre qui condannato alla medesima pena. E non si tratta che di pochi anni, perchè la vita finisce presto; l’eternità invece non avrà mai fine. Noi ora misuriamo il tempo coi giorni e colle ore; nell’eternità non vi sarà passaggio o successione di tempo: ma solamente l’ora attuale, il presente che non avanza e non cambia mai. Dell’eternità potete formarvi una pallida immagine con queste figure: immaginate che alcuno debba bere una goccia d’acqua ogni mille anni e asciugar così tutti i mari; o togliere ogni mille anni un granello di sabbia, e così distruggere tutti i monti; o levare un filo d’erba ogni mille anni, e ridurre così a deserto tutta la terra... Qual numero sterminato di anni dovranno trascorrere! Passeranno e l’eternità sarà sempre da principio, poiché essa non avrà avanzato di un punto essendo l’immutabile presente. Pratica. - Il Signore non ci ha creati per condannarci all’inferno ma per darci il Paradiso; non costringiamolo col peccato a mandarci all’Inferno. - Se nella nostra vita, per sventura, abbiamo commesso dei peccati mortali, ammiriamo e ringraziamo la misericordia di Dio che ci ha risparmiato l’inferno da noi meritato. Non restiamo un istante in peccato mortale e non commettiamolo mai più, perchè ci espone al pericolo di dannarci per sempre. - Dinanzi a noi stanno due vie: quella del Paradiso, e quella dell’Inferno. Per quale vogliamo camminare? - Quando il demonio tenta d’indurvi al peccato, riflettete: Per la meschina soddisfazione che mi promette, vorrò rinunziare al Paradiso e meritare l’inferno?... espormi al grave pericolo di andare all’Inferno e di restarvi per sempre? - Temete l’inferno e il peccato che solo vi può far condannare. Esempi. - Il ricco Epulone. - Gesù Cristo raccontò questa parabola: C’era un ricco che ogni giorno banchettava allegramente, e c’era un povero, Lazzaro, malato e piagato, il quale giaceva alla porta del ricco sospirando almeno le briciole della mensa; e nessuno gliene dava. Morì il povero, e dagli Angeli fu portato nel seno di Abramo; morì anche il ricco e fu seppellito nell’inferno. Di là vide la felicità di Lazzaro e pregò Abramo di mandargli appena una goccia d’acqua per lenire il bruciore dei suoi tormenti. Ma Abramo gli rispose di ricordare ciò che aveva goduto nel mondo, e come un abisso insuperabile li separava. Replicò lo sventurato pregandolo almeno di mandare Lazzaro ai proprii fratelli per avvertirli affinché essi pure non venissero in quel luogo di tormenti. E Abramo gli rispose: «Hanno Mosè e i Profeti: ascoltino quelli». Replicò l’altro: «No, padre Abramo, da vero, se un morto andrà da loro, faranno penitenza». Ma gli disse: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, nemmeno crederanno se risuscitasse uno da’ morti» (S. Luca, XVI, 19-31). Ecco, quindi, le due scene. Nel mondo il ricco si godei ogni piacere e bene; non ebbe pietà dei bisognosi, e non si commosse dello stato miserando del povero Lazzaro. Lazzaro, privo di tutto, amava il Signore e soffriva rassegnato. - Nell’eternità, Lazzaro ebbe in premio il Paradiso, l’Epulone, l’inferno come punizione. Nell’Inferno non ebbe più nessun bene, neppur una goccia d’acqua. - Coloro che dicono che per credere all’inferno vorrebbero veder un dannato, ebbero già la risposta dal Signore che fece dire da Abramo: Chi non crede alla Sacra Scrittura, a Gesù Cristo e alla sua Chiesa, non crederebbe neppure se vedesse un dannato, griderebbe all’illusione, alla suggestione, ecc. - E del resto, talora Dio permise l’apparizione di dannati che ricordassero la propria triste sorte ai vivi. (Vedi Esempi del N. 104). La rete e la pesca. - Gesù ricorda con un’altra parabola l’inferno per i cattivi: «Il regno dei cieli inoltre è simile a una rete gettata in mare, che ha preso ogni sorta di pesci; allorché quella fu piena, tirarono a riva e, sedutisi, misero quelli buoni nei canestri e buttarono via quelli marci. Così sarà alla fine del mondo: verranno gli Angeli e separeranno i cattivi di mezzo ai giusti: e li getteranno nella fornace del fuoco. Ivi sarà pianto e stridor di denti» (S. Matteo, XIII, 47-51). Quarant’anni di regno! - Elisabetta, sciagurata regina d’Inghilterra, pregò un giorno Dio con questa bestemmia: «Dammi quarant’anni di regno ed io rinunzio al tuo Paradiso». Dio gliene diede quarantatrè; e l’empia regina si godé il mondo, seminò di stragi le contrade d’Inghilterra, fece tanti martiri tra i Cattolici, e morì con tutte le apparenze della riprovazione. E il popolo credette per lunghi anni intravederne l’anima dannata e sentirne nella notte i gemiti lungo le sponde del torbido Tamigi scorrente ai pie’ della triste torre di Londra dove aveva gettato, fatto gemere e spasimare tra indicibili torture tanti fedeli di Gesù Cristo. Essi spasimavano tra le torture, ed essa godeva trascinando l’Inghilterra all’apostasia, all’errore. A che cosa le giovarono le soddisfazioni del trono? e a che cosa le giovano ora, dopo centinaia d’anni? Quarant’anni di godimenti mondani; rinunzia a un’eternità di godimenti in Dio. Qual contrasto tra la quantità dei godimenti avuti quaggiù e quelli rinunziati di là, e la loro durata! Mercantessa pessima. (Vedi altri Esempi al N. 104).