Vi era alle Celle un anziano di nome Apollo: qualsiasi lavoro gli venisse chiesto, egli andava con gioia dicendo: «È per l’anima mia che oggi posso lavorare con Cristo. Questo infatti è per essa la ricompensa» (133c). Raccontavano a Scete di un certo padre Apollo, che era un pastore molto incolto. Un giorno incontrò nei campi una donna incinta e, spinto dal diavolo, si disse: «Voglio vedere come giace un bimbo nel seno materno». Le squarciò il ventre e lo vide, ma subito il suo cuore lo rimproverò duramente. Preso da compunzione, venne a Scete per riferire ai padri quel che aveva fatto. Li udì mentre salmodiavano: «Settanta sono gli anni della nostra vita, e, se [siamo] in forze, ottanta, ma la maggior parte di essi [è] fatica e affanno». Egli disse loro: «Ecco, io ho quarant’anni e finora non ho mai pregato, ma, se vivrò altri quarant’anni, non cesserò di pregare Dio, perché mi perdoni i miei peccati». E (...) pregava sempre dicendo: «Io ho peccato, perché sono uomo, ma tu che sei Dio, perdonami!». E questa preghiera divenne la sua meditazione giorno e notte. Un fratello che abitava con lui lo udì mentre diceva: «Signore, ti ho offeso, perdonami, perché io possa un poco aver quiete». E gli venne la certezza che il Signore gli aveva perdonato tutti i suoi peccati, anche quello della donna. Quanto al bambino, il fratello non ricevette nessuna certezza. Ma uno degli anziani gli disse: «Dio ti ha perdonato anche il fatto del bambino, ti lascia però nella sofferenza, perché giova all’anima tua» (133d-136a). Lo stesso Apollo disse riguardo all’ospitalità dei fratelli: «Bisogna prostrarsi ai piedi dei fratelli che vengono: con questo ci prostriamo a Dio, e non a loro. Quando vedi il tuo fratello, vedi il Signore Dio tuo. Questo - disse - l’abbiamo appreso da Abramo. E quando accogliete un ospite, costringetelo a prendere ristoro: questo ce l’ha insegnato Lot, che costrinse gli angeli a fermarsi da lui» (136b). Da Op. cit., edizione Città Nuova, 1999.

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