L’avarizia noi la prendiamo per un amore disordinato delle ricchezze, per un timore esagerato di diminuirle, per quella avidità di aumentarle con mezzi ingiusti e turpi. In questo medesimo capitolo c’entra anche l’usura, che è la specie più crudele di avarizia. Ciò non vuol dire che non si possa tenere una predica a parte sull’usura. Anzi nelle pagine seguenti non mancherà la materia per svolgerla. Sotto speciale titolo, però, parleremo delle ricchezze e del buono e cattivo uso delle stesse.

• II. IN CHE CONSISTE L’AVARIZIA. L’avarizia consiste in due cose: 1°. in un forte attacco ai beni che possediamo; 2°. in un desiderio di avere e di acquistare sempre nuovi beni, nuove ricchezze.

• III. CIÒ CHE È LECITO E VIETATO A QUESTO RIGUARDO. L’amore alle cose esterne, terrene è naturale all’uomo, in quanto tali cose sono utili e necessarie al fine a cui sono ordinate. Questo amore è innocuo, finché si conserva entro le norme e le proporzioni di detto fine. Non appena giunge a varcare tali norme è peccaminoso, gravemente o leggermente, secondo il maggiore o minore eccesso, con cui il cuore si attacca.

• IV. DIO NON CONDANNA LA RICCHEZZA, MA L’AFFETTO DISORDINATO ALLA STESSA. Non è colpa il possedere le ricchezze, i beni terreni. È colpa l’amore disordinato, febbrile degli stessi. Se Gesù Cristo riprovò i ricchi, li riprovò in quanto sono a vari. È la cupidigia dei beni terreni, radice di ogni male, che il Vangelo condanna.

• V. COME IL DENARO DIVENTA NOSTRO IDOLO. Che giova al cristiano, dice San Zenone Veronese nel mirabile Trattato sull’avarizia, che giova al cristiano avere in orrore ed in abominazione l’oro e l’argento negli idoli che adorano i Gentili, s’egli adora quest’oro e questo argento nei suoi forzieri? Tutta la differenza che vi è tra gli idoli dei Gentili e le ricchezze degli avari è questa: nei templi gli idoli sono più grandi, nei forzieri sono più piccoli. Non c’inganniamo, dice San Zenone: se usiamo il nostro denaro in oggetti giusti e ragionevoli, è denaro; ma se invece lo guardiamo con cure superflue e con affetto disordinato, secondo il giudizio di Dio, è un idolo.

• VI. MALI CHE PRODUCE L’AVARIZIA. 1°. Produce tenebre nella mente, che acceca. 2°. Corrompe il cuore, che indurisce. 3°. Fa dimenticare Dio, l’anima, i beni eterni, i proprii doveri. 4°. Provoca preoccupazioni, trepidazioni, timori, imbarazzi. 5°. Impone un duro ed insopportabile giogo. 6°. Di solito precipita gli avari in fine nella disperazione e nella impenitenza.

• VII. L’USURA E L’USURAIO. Non c’è niente di più infame e di più crudele dell’usura che vige fra gli uomini avari. L’usuraio specula sull’altrui miseria, lucra sulle altrui rovine. Si arricchisce dell’altrui povertà. Esige poi interessi, come dovuti alla sua carità. Privo di ogni misericordia, vuole passare per misericordioso. Finge di ben meritare, di soccorrere il povero, mentre ancor più l’opprime e lo riduce all’estrema miseria. Gli stende una mano per aiutarlo, ma con l’altra lo strozza e lo spinge nell’estrema rovina. Sembra di soccorrere chi sta per perire, ma invece di trarlo a salvamento, di condurlo in porto, gli salta sopra perché s’anneghi, naufraghi.

• VIII. ASTUZIA DELL’USURAIO. Quando l’usuraio dà il suo denaro a prestito parla di contratti regolari, di ipoteche di beni, di restituzioni di denaro a certe date, dell’interesse, oltre il capitale, di vantaggi che avrebbe ritratti se l’avesse collocato altrove. Tutto poi va a finire in una stipulazione espressa, o nella speranza di un grosso guadagno, o al pignoramento dei beni, immobili e mobili, al porre all’incanto i beni dei debitori.

• Disegno sviluppato di discorso sull’«Avarizia - Interesse». San Luca riferisce la seguente parabola: «Un uomo ricco ebbe un abbondante raccolto nelle tue tenute. Nell’ebbrezza dei nuovi, grandi guadagni andava pensando entro di sé: “Che farò ora che devo raccogliere le biade? Dove le porrò? Farò così: demolirò i granai attuali, ne fabbricherò di più grandi, ed in essi radunerò tutti i miei prodotti ed i miei beni. E poi dirò all’anima mia: O anima, tu hai messo da parte dei beni per moltissimi anni: riposati, mangia, bevi, datti bel tempo”. Ma Dio gli gridò: “Stolto, in questa notte morrai; quel che hai messo da parte, di chi sarà?”». C’è qui, o fedeli, una specie di fotografia, la fotografia dell’avarizia. Ai nostri giorni questo vizio capitale è molto diffuso; moltissimi oggi non pensano altro che a far denaro, ad accumulare ricchezze e tesori, senza badare tante volte alla giustizia. Per tenerlo lungi da noi questo vizio ne studieremo la natura, le specie, i segni dell’avarizia, gli effetti ed i mezzi per domarla.

• I. Natura. Si definisce questo secondo vizio capitale: «Un amore disordinato delle ricchezze» sia che queste ricchezze e questa roba già si abbia, si possegga e vi si attacchi soverchiamente il cuore; sia che non si abbiano, né si posseggano ancora, e si desideri smoderatamente di averle e di possederle. È avaro adunque chi non contento d’avere e di possedere ricchezze, le possiede con amore soverchio, con troppa affezione; oppure chi, non avendole, smoderatamente desidera di averle e di possederle. Qualche esempio chiarirà. Giobbe era ricchissimo, non era avaro perché teneva il cuore staccato. E divenuto povero disse: «Dominus dedit, Dominus abstulit... sit nomen nomini benedictum» (lob. 1. 21). Era avaro il ricco invece della parabola raccontata appena. Costui si deliziava nelle sue ricchezze, le amava disordinatamente e disordinatamente se ne compiaceva. E così era avarizia quella di Giuda Iscariota, che per un desiderio sregolato di arricchirsi cominciò dall’appropriarsi una qualche parte del denaro della borsa comune degli Apostoli che egli custodiva in qualità di tesoriere, e per trenta monete tradì poi Gesù. Possono essere avari i ricchi... ed anche i poveri.

• II. Specie di avarizia. a) la prima specie si dice tenacità, strettezza, grettezza ed è propria di coloro che hanno il cuore talmente attaccato alla roba, da potersi dire che quasi la adorano, difficilmente si inducono a privarsene, e non si dispongono a fare le spese necessarie per loro stessi, per la casa, per la famiglia o le fanno per forza. b) La seconda specie chiamasi cupidigia ed è propria di coloro che con soverchia avidità cercano di fare roba, di accumulare ricchezze; lavorano giorno e notte, non riposano, non dormono, si affaccendano; fatto un guadagno pensano ad un altro, e poi un altro, di modo che quasi tutti i loro pensieri, tutte le loro mire ad altro non sono rivolte, fuorché a fare roba. Questa cupidigia è piena di pericoli e sommamente dannosa, poiché, al dire dell’Apostolo, «quelli che vogliono arricchire, inceppano nella tentazione e nel laccio del diavolo, e in molti inutili e nocivi desideri, i quali sommergono gli uomini nella morte e nella perdizione» (Ia. a Timot. 6. 9). È anche quindi una stoltezza. c) La terza specie prende il nome di ingiustizia ed è propria di coloro, nei quali la voglia di far denaro è così profondamente radicata, che per riuscire nel loro intento, non contenti di servirsi di mezzi leciti ed onesti, si appigliano anche agli ingiusti e fanno, come si dice, d’ogni erba fascio, ingannano, defraudano, rubano, insomma si valgono di qualunque mezzo anche il più iniquo purché riescano a far denaro.

• III. I segni dell’avarizia sono: 1°. Il concepire ed il conservare nell’intimo dell’anima un’alta stima delle ricchezze, come se le ricchezze fossero superiori delle virtù e delle altre nobili qualità umane. 2°. Il fomentare il desiderio continuo di acquistarle, da cui derivano le cure, le inquietudini, le preoccupazioni degli avari. 3°. Il richiamare senza posa ad esame tutto, lo studiare sempre nuovi modi per arricchire. 4°. Il rifiutare od il differire di pagare i propri debiti o la mercede agli operai. 5°. Il mostrarsi duro e crudele verso i poveri, od immaginarsi di non essere obbligato a soccorrerli. 6°. L’essere crudele verso sé stessi, negandosi il vitto e gli altri agi e comodi della vita.

• IV. Gli effetti.  Dice San Paolo: «Radix omnium malorum est cupiditas»... ossia l’avarizia è la radice di lutti i mali.... è la madre di sette disordini che si dicono le sette figlie dell’avarizia: 1°. la durezza di cuore verso i poveri; 2°. l’inquietudine, ossia l’andar troppo solleciti per accumular ricchezze; 3°. la violenza, cioè la forzata usurpazione della roba altrui; 4°. la perfidia, ossia il mancare di parola a ciò che si è promesso o giustamente stabilito; 5°. il tradimento, cioè il manifestare contro la fedeltà dovuta ad alcuno e con danno di esso, una cosa od una persona che si deve tenere occulta; 6°. la frode, che consiste nell’ingannare il prossimo coi fatti e colle opere; 7°. l’inganno del prossimo con la parola.

• V . I rimedi contro l’avarizia sono quattro: 1°. La preghiera fervida e costante, perché Iddio ci liberi da tal vizio... o se l’abbiamo, perché ci aiuti a conoscerlo e a liberarci. 2°. Meditare la grandezza e durata eterna dei beni celesti in confronto della vanità e caducità dei beni terreni: «Quid prodest?...». 3°. Considerare i danni immensi che dall’avarizia derivano all’anima nostra, e talvolta anche al nostro corpo. 4°. Esercitarsi nella liberalità, nell’opera eccellente della elemosina, ed in tutte le altre opere di misericordia corporale verso il prossimo. Lo Scavini esprime i quattro rimedi in questo verso: «Oro, res pendo, damnumque; superflua dono». Detestiamo, o dilettissimi, e schiviamo questo pessimo vizio dell’avarizia... e procuriamo di allontanarlo da noi, se mai avesse poste radici nel nostro cuore. • Esempio: Giuda, per l’avarizia, consumò un esecrando delitto. Per il denaro arrivò a speculare sulla persona stessa di N. S. Gesù C., suo Maestro divino. Lo tradì, lo vendette per vile denaro. E poi, straziato dal rimorso, si appese ad un albero (S. Matt. 26).

Tratto da «Prontuario del Predicatore», Volume I, Padre Vincenzo Houdry, Imprimatur 1932, Editore Giovanni Daverio, 1933, dalla pagina 221 a seguire.

Prontuario del Predicatore