Nel tempo che furono in carcere Flora e Maria (poi decapitate dai maomettani) vennero pietosamente visitate da un marito e da una moglie. Ecco in due parole la storia di quei due coniugi.

Aurelio era figlio, come Flora, di madre cristiana e di padre musulmano. La sua famiglia era ricchissima. Perduta la madre in tenera età, venne educato con molto zelo alla religione cristiana da una santa zia. Il padre l’obbligò a leggere il libro dei maomettani, che ha nome Alcorano, ed Aurelio lo lesse per farne una confutazione solenne, mettendolo a confronto con la sacra Scrittura.

Divenuto adulto, prese in sposa, per buona provvidenza, una saggia giovine cristiana che si chiamava Sabigota. La moglie allietò Aurelio di cari bambini, i quali venivano educati con ogni premura alla santa religione del Figlio di Maria. Un giorno Aurelio vide un mercante cristiano, il quale era caricato d’insulti dai maomettani e veniva condotto al martirio. Il martire andava lieto alla morte e perdonava di tutto buon cuore le ingiurie che gli venivano fatte. Aurelio ne fu commosso oltre ogni dire, e, ritirato in famiglia, disse alla moglie ch’era una bella cosa morire martiri per la fede di Gesù Cristo. E poi soggiunse: «Bisogna, o Sabigota, che noi cominciassimo a condurre una vita di molta perfezione per impetrare così da Dio la grazia d’essere martiri». La pia moglie non voleva sentire altro.

Da quel giorno i due coniugi si proposero di condurre una vita santa. Quando vennero martirizzate le giovinette Flora e Maria (Marta), dopo un giorno, apparvero a Sabigota tutte splendenti di lume divino, ed ella domandò se col marito avrà l’invidiabile sorte del martirio. «, o Sabigota, risposero le giovinette: anzi dovete morire martiri insieme ad un monaco». La moglie raccontò ad Aurelio la consolante visione, e tutti e due pensarono subito a collocare i bambini presso famiglie cristiane e devote.

Non passò molto tempo che un monaco, venuto dalla Palestina, si presentò alla casa d’Aurelio e di Sabigota per avere ospitalità. Fu ricevuto con gran festa, ed i coniugi, guardandolo, pensarono che forse doveva essere il compagno del loro martirio. Difatti il giorno seguente Sabigota venne scoperta in chiesa per cristiana e appena ritornò in famiglia vennero mandate alcune guardie per arrestarla. Le guardie, arrivate alla porta, gridarono: «Uscite, o miserabili cristiani, venite alla morte, poiché non vi piace di vivere secondo le leggi di Maometto».

In quella casa c’erano allora altri due coniugi, chiamati Felice e Liliota, venutivi per parlare di religione cristiana. Non solamente dunque le guardie maomettane arrestarono Sabigota ed il marito, ma anche Felice e Liliota. E che successe ? Le due mogli si presero per mano, come i due mariti, e tutti e quattro gridarono lietissimi: «Andiamo a morire!». Il monaco intanto veniva lasciato in pace, quando egli si mise a sgridare aspramente quei musulmani, che facevano tanto mal governo dei poveri cristiani. Allora le guardie rabbiosamente s’avventano al monaco e lo trascinano, insieme a quei coniugi, al martirio.

Il monaco aveva nome Giorgio.

Ma quei quattro coniugi non avevano dunque cuore? Essi rinunziavano agli onesti piaceri, alla gioia della figliolanza, alla giovinezza, alle ricchezze, e andavano alla morte! Noi poveri cri­stiani del secolo decimonono diciamo che quei coniugi non avevano cuore.... Però non vi pare che noi diciamo un madornale sproposito? (Tratto da Giacinto Belmonte cappuccino, Op. cit., 1887, con permesso dei Superiori, vol. II, pagine 39 - 42).

A cura di Carlo Di Pietro

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