Presso Santa Maria degli Angeli il Padre San Francesco aveva avuto in dono una pecora. Quell’uomo straordinario volle insegnare al mansueto animale una maniera straordinaria di lodare anch’esso il Signore. Consideriamo che ogni animale naturalmente loda già il Signore servendo l’uomo e la creazione, proprio secondo i progetti del Creatore. San Francesco disse pertanto alla pecora - la quale «ascoltava quasi fosse una creatura ragionevole» - che, senza disturbare i Frati, doveva intervenire alle divine lodi. Quella pecora non fece che ubbidire molto esattamente. Quando i Frati andavano in coro a salmeggiare, essa riservatamente correva ai piedi dell’altare della Madonna, si metteva in ginocchio e belava teneramente per rendere omaggio alla divina Pastorella del cielo. Nel tempo della Messa poi, specie quando si alzava l’Ostia sacrosanta, la pecorella se ne stava più devotamente in ginocchio e mandava belati soavissimi. - Bisogna fare qui con San Bonaventura una riflessione molto importante. Quella pecorella, col rispetto che dimostrava durante la celebrazione dei Divini misteri, insegna a tanti cristiani che nella casa di Dio, e molto più nel tempo della santa Messa, si deve stare con devozione profondissima. Sono davvero disgraziati coloro che nell’udire la Messa mostrano di stare in chiesa come ad una profana conversazione, cogli occhi svagati ed immodesti, con posture indecenti, con aria di disprezzo del Signore e dei doni Suoi. Sono davvero disgraziati coloro che usano le chiese per conversare o per fare altro. (Tratto da Giacinto Belmonte cappuccino, Racconti miracolosi, 1887, con permesso dei Superiori, vol. II, pagine 226-227).

A cura di Carlo Di Pietro

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