Stiamo provando a sviluppare organicamente l’esposizione della dottrina politica cristiana, salvifica scienza di civiltà, partendo da alcune rare pubblicazioni del Centro Politico Italiano, movimento - nelle intenzioni - che fu di resistenza cattolica fra il 1940 ed il ‘70. Ha il grande merito di aver condotto una lotta instancabile contro i modernisti, cripto-atei e talvolta bancarottieri della cosiddetta “Democrazia” pretesa “Cristiana”.

L’ideologo Carlo Francesco D’Agostino, dopo aver elencato le gravi falle del sistema politico dal dopoguerra ai tempi moderni, come abbiamo imparato la scorsa settimana, giunge ad una conclusione. Cito: «Allo stato dei fatti, ragionevolezza impone che si neghi ogni fiducia ai Partiti insediati in Parlamento».

Devo convenire, ma per ragioni maggiori di quelle del Centro Politico. Non è possibile votare poiché sono tutti, apertamente o dietro scaltri soggettivismi (caso dei pragmatisti di destra), contrari alla vera Regalità sociale di Cristo. Dogma proclamato nella «Quas Primas» che, come tutti gli altri dogmi, è irrinunciabile se si vuol conservare la fede («Extra Ecclesiam nulla salus») e non perire eternamente con gli sventurati pornografi di Sodoma e col maximo traditore e ladro Giuda Iscariota.

Proclama Sua Santità Pio XI: «Sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo Uomo il potere su tutte le cose temporali, dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al Suo arbitrio». Ancora: «È Cristo solo la fonte della salute privata e pubblica: “Né in alcun altro è salute, né sotto il cielo altro nome è stato dato agli uomini, mediante il quale abbiamo da essere salvati”, è Lui solo l’autore della prosperità e della vera felicità sia per i singoli sia per gli Stati: “poiché il benessere della società non ha origine diversa da quello dell’uomo, la società non essendo altro che una concorde moltitudine di uomini”». Quindi: «I capi delle nazioni non rifiutino di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all’impero di Cristo insieme coi loro popoli». Conclude il Pontefice: «La peste della età nostra è il così detto laicismo (ossia la laicità) coi suoi errori e i suoi empi incentivi (…) che scuote e spinge la società verso la rovina».

Torniamo all’avvocato D’Agostino. Egli prosegue così: «(Ragionevolezza impone) che ci si avvalga della possibilità, che le loro Leggi (della Repubblica italiana) ancora ci concedono, di invitare gii Italiani ad una vera svolta (candidandoci), che è nell’interesse di tutti (inclusi gli alti papaveri dell’attuale regime, che sono ben consapevoli di essersi cacciati in un vicolo cieco)». La mia conclusione è differente, soprattutto se consideriamo che dagli anni ’70, epoca dello scritto in questione, ad oggi, tutto è peggiorato. Ritengo, per analogia con situazioni passate, che sia inevitabile fare proprio il «non expedit» - «non conviene».

A fronte dell’intrinseco e tangibile fallimento dell’apparato politico che voglio chiamare giacobino e, contemporaneamente, dell’impossibilità di eleggere candidati veramente cattolici, Papa Leone XIII risponde all’interrogazione del Card. Lucido M. Parocchi in data 14 maggio 1895. Egli scrive: «Quale debba essere il contegno dei cattolici italiani circa il concorrere alle elezioni politiche, fu già dichiarato dall’Autorità Pontificia e confermato più volte. È nota la Circolare che, per ordine del Nostro Precedessore Pio IX di s. m., la Sacra Penitenzieria indirizzò ai Vescovi, notificando che il prender parte a tali elezioni attentis omnibus circumstantiis, non expedit. E poiché quella decisione da non pochi traevasi ad altro senso, un Decreto del Sant’Offizio del 30 giugno 1886, con Nostra approvazione, aggiungeva che il Non expedit prohibitionem importat; facendosi così manifesto il dovere per i cattolici di astenersene».

Spiegare le ragioni di questo divieto, soprattutto alla luce dei fatti (si va progressivamente dall’occupazione della città del Papa fino all’occupazione materiale della sua Sedia), mi sembra superfluo. La Lettera è tassativa e quanto mai attuale: «(Partecipazione) da evitare nelle politiche (…) per ragioni di ordine altissimo». Le ragioni che spinsero i Pontefici (Pio IX, Leone XIII e san Pio X) a proclamare il dovere di astensione (dalla candidatura e dal voto) per i cattolici, sono così contestuali che, a parer mio, non è prudente giustificare nemmeno l’illusione.

Diceva don Margotti nel 1861: «Noi non vogliamo essere né eletti né elettori (…). Quando noi pigliammo parte alle elezioni, e in molti luoghi riportammo la vittoria, ci chiamammo addosso ogni maniera di vessazioni, e l’opera nostra andò in fumo. Dunque questa volta non vogliamo fare cosa inutile e ci asteniamo (…). Per eleggere ci vuole piena libertà; e il piglio dei giornalisti, e la condotta della rivoluzione, e le lezioni dell’esperienza, ci dicono che non saremo pienamente liberi».

Prosegue …

A cura di Carlo Di Pietro da Il Roma