Prima di enunciare e commentare i Princìpi direttivi del Centro Politico Italiano, ultimo e forse unico partito ben strutturato che fu cristiano (almeno nelle intenzioni), prima e dopo la proclamata “Repubblica”, sono necessari ancora pochi articoli utili a sviscerare il pensiero del suo principale ideologo, il giurista Carlo Francesco D’Agostino (Nuova Alleanza, Quaderno VIII, pag. 17 segg.).

Il C.P.I. è sorto nell’autunno del 1943 «quale veritiero partito cattolico». All’epoca esisteva in Italia un regime monarchico (esisteva anche il Vicario di Cristo - Pio XII): «Ritenendo (quasi) indifferente, ai fini del bene comune, la forma istituzionale dello Stato» (cf. Immortale Dei, Leone XIII), il C.P.I. propugnò «il risanamento di quel sistema (“ereditato”)».

Nel XIII° dei Princìpi direttivi, D’Agostino si dichiara «alieno da pregiudiziali antirepubblicane», tuttavia, «posta in essere (in quel modo) una repubblica», nel 1952 deve osservare «di non poter ritenere legittimamente decaduto il potere di Sua Maestà il Re Umberto II di Savoia». Nonostante ciò, «mette ben in chiaro che il problema prioritario (è oramai) quello di una piena restaurazione cristiana dello Stato».

In ballo ci sono da un lato «il delicato tema della decadenza di Poteri già legittimi, estromessi dall’esercizio di fatto del Potere stesso», dall’atro «il perseguimento della finalità essenziale di ogni Potere, e cioè che corrisponda al bene comune». Sul primo punto l’estensore del presente studio sostiene che «la Dinastia unificatrice dovrà essere considerata definitivamente decaduta solo quando gli Italiani, in contrapposto al rovinoso indirizzo liberalistico da Essa fatto prevalere in Italia ed in cui abbia perseverato, siano pervenuti a strutturare lo Stato secondo le esigenze dell’unica razionale dottrina politica, che è quella cattolica». Veniamo, allora, al secondo punto: «Si tratta di un risanamento della struttura dell’attuale Stato». D’Agostino si domanda: «Vogliamo che la Repubblica rimanga “fondata sul Lavoro”, come fu qualificata?».

Egli ritiene, a ragione, che il lavoro sia solo «indiretta premessa dell’esistenza stessa di una Società, e non del suo Ordinamento». Difatti: «Lo Stato, qualunque ne sia la forma, non è altro che un Ordinamento della Società, anzi ne è l’Ordinamento giuridico». Si conclude che la pretesa “Repubblica” non può ragionevolmente essere “fondata sul lavoro”, soprattutto oggigiorno, avendo dimostrato che il vero lavoro sembra piuttosto un miraggio pre-elettorale.

Egli ambisce ad uno Stato davvero democratico, «che cioè abbia come particolare finalità il vantaggio dei ceti inferiori (ma sempre in ordine ai beni eterni per cui son fatti), secondo l’insegnamento della Graves de communi re di Leone XIII».

Il pensatore richiama finalmente il Radiomessaggio di Papa Pio XII del Natale 1944: «Quando però si reclama più democrazia e migliore democrazia», come inequivocabilmente si deve, a fronte dell’attuale del tutto insincera, «una tale esigenza non può avere altro significato che di mettere il cittadino (consapevole delle sue responsabilità) sempre più in condizione di avere la propria opinione personale, e di esprimerla e farla valere in una maniera confacente al bene comune».

Il Pontefice distingue bensì la «massa» dal «popolo». Il popolo è il “protagonista” dello sviluppo cristiano, ordinato ed organico di una Società; la massa «è per sé inerte, e non può essere mossa che dal di fuori», ed è «la nemica capitale della vera democrazia e del suo ideale di libertà e di uguaglianza». I demagoghi di ogni epoca, soprattutto i contemporanei, hanno sempre puntato a stimolare le passioni disordinate e le illusioni della massa: «(Essi) hanno saputo, mediante la forza del danaro o quella dell’organizzazione, assicurarsi sugli altri una condizione privilegiata e lo stesso potere».

Si conclude, intanto, che: 1) «Il voto elettorale, per esprimere un’opinione veramente personale del cittadino votante, deve essere su nominativi liberamente scelti, all’infuori, quindi, dell’angheria di dover anzitutto votare per un partito»; 2) «Il regime della Stampa di informazione e di tutti i “mezzi di comunicazione sociale”, deve essere tale da consentire al cittadino di formarsi una propria opinione personale, anziché divenire zimbello di chi abbia abilità e mezzi di creare, a proprio disonesto profitto, una o altra corrente di opinione»; 3) «Il fine irrinunciabile di ogni attività dei Poteri dello Stato, legislativi od esecutivi, (è) il perseguimento del bene comune, (pertanto) nessuna manifestazione di volontà, della cosiddetta “base elettorale”, può validamente prescinderne»; 4) «Fondamento di un sano regime costituzionale, premessa ad ogni altra norma di legge, viene dunque ad essere un’esatta individuazione della via idonea per riconoscere, di fronte ad ogni problema, il contenuto od esigenza obiettiva di quel bene (comune): in altre parole, per determinare ciò che veramente giustizia, nei singoli casi, imponga». 

Prosegue …

A cura di Carlo Di Pietro da Il Roma