Teologia Politica n° 15 bis. Laicità irriverente e disobbediente all’impero di Cristo

Prosegue da mercoledì 13.04 … Resta bene inteso che coloro i quali affermarono e continuano a sostenere che «Si deve separare la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa» (cf. Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores, Pio IX, n° 55), sono in anathèma. Anche in questa contingenza essi proferiscono e/o praticano l’eresia, che sia materiale o formale è affar loro, tuttavia, all’atto pratico, ciò corrisponde quasi certamente alla demolizione dell’ordine sociale.

Negare una verità rivelata e già definita dalla Chiesa è eresia. La consapevolezza del soggetto la rende formale, dunque sempre colpevole: «[…] sicché chi abbia ricusato di ascoltare la Chiesa, deve, secondo l’ordine di Dio, ritenersi come etnico e pubblicano» (Mystici Corporis, Pio XII).

È inconciliabile la cosiddetta laicità, ovvero il laicismo, con il dogma della Regalità Sociale di Cristo. Sentenzia Papa Pio XI nella Quas Primas, 11 dicembre 1925, all’atto della proclamazione: «[…] sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo Uomo il potere su tutte le cose temporali, dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create […] Il dominio del nostro Redentore abbraccia tutti gli uomini […] È Lui solo la fonte della salute privata e pubblica […] È Lui solo l’autore della prosperità e della vera felicità sia per i singoli sia per gli Stati».

Incede coraggiosissimo il Pontefice: «Non rifiutino, dunque, i capi delle nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all’impero di Cristo insieme coi loro popoli, se vogliono, con l’incolumità del loro potere, l’incremento e il progresso della patria».

Papa Leone XIII, nella Annum Sacrum del 25 maggio 1889, aveva già espresso il concetto della Regalità universale di Cristo: ««L’impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici, o a coloro che, rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di diritto, alla Chiesa, sebbene le errate opinioni Ce li allontanino o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi di fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo».

Oggi sono gli stessi popoli cattolici, per nostra immensa sciagura divenuti apostati, che rigettano Cristo a giovamento della laicità, e come ammoniva Sua Santità Pio XI (Ubi arcano Dei, 23 dicembre 1922): «Non si volle più Dio, né Gesù Cristo, né la dottrina sua nella scuola, e la scuola, per triste ma ineluttabile necessità, divenne non soltanto laica e areligiosa, ma anche apertamente atea e antireligiosa, dovendo l’ignaro fanciullo presto persuadersi che nessuna importanza hanno per la vita Dio e la Religione, di cui mai sente parlare, se non forse con parole di vilipendio. […] Sono idee non rette e non sani sentimenti, dei quali, dopo l’uragano della guerra mondiale e degli avvenimenti politici e sociali che le tennero dietro, l’atmosfera stessa si direbbe infetta, così frequenti sono i casi di contagio, tanto più pericoloso quanto meno prontamente avvertito, grazie alle apparenze ingannevoli che lo dissimulano, sicché gli stessi alunni del santuario non ne vanno immuni […] Allontanato, infatti Gesù Cristo dalle leggi e dalla società, l’autorità appare senz’altro come derivata non da Dio ma dagli uomini, in maniera che anche il fondamento della medesima vacilla».

Per intenderci, la Allocuzione Acerbissimum vobiscum, a proposito del matrimonio, commina l’anathèma contro tutti quelli che affermano: «Per diritto di natura il vincolo del matrimonio non è indissolubile, e in diversi casi il divorzio propriamente detto può essere sancito dall’autorità civile»  (27 settembre 1852).

Nello stesso documento Papa Pio IX tuona: «[...] né si può passare sotto silenzio che con la nuova Costituzione di quella Repubblica, recentemente sancita, tra l’altro si difende il diritto di libertà d’insegnamento, e si riconosce a tutti indistintamente la più grande libertà di espressione di qualsiasi opinione, come pure di divulgare con la stampa ogni più strana mostruosità, e di professare, in privato come in pubblico, qualsiasi culto»  [Acta Pii IX, 1 (1854), 383 ss.].

Queste affermazioni, ovviamente, non scaturiscono da velleità o follie dei Pontefici, bensì sono profondamente radicate (v. Dogmatica) nella concezione cristiana che la Chiesa ha della società, avendo già dimostrato, per mezzo della storia, che ogni qual volta gli agnelli si sono allontanati dal pastore, il gregge o è andato disperso o ne è uscito gravemente danneggiato.

La Chiesa ha, così, sempre regolato, per giusta ragione, i «costumi», ovvero il comportamento dell’uomo sociale, del suo modo di vivere in un mondo popolato da più persone, quindi bisognoso di leggi sante che regolino il sociale, orientandolo al bene.

La Chiesa è, parimenti, sempre intervenuta nel dibattito pubblico, come ci ricorda Papa Pio XII nel suo Messaggio del 14 settembre 1952 ai cattolici d’Austria: «Con tutte le sue forze la Chiesa combatterà la battaglia in cui sono in gioco dei valori supremi: dignità dell’uomo e salvezza eterna delle anime […es.] solo il matrimonio religioso, e mai quello esclusivamente civile, è per il cattolico un vero matrimonio».

E Sua Santità Leone XIII nella Arcanum Divinae del 10 febbraio 1880 attesta che: «[…] deve essere chiaro a tutti che se tra i cristiani si contrae l’unione dell’uomo e della donna indipendentemente dal Sacramento, essa manca della natura e dell’efficacia del legittimo matrimonio, e quantunque essa sia stata fatta in modo conforme alle leggi dello Stato, tuttavia non può essere considerata più che un rito od un’usanza introdotta dal diritto civile. Inoltre, dal diritto civile non possono essere ordinate e amministrate se non quelle cose che i matrimoni producono nell’ordine civile, e che ovviamente non possono essere prodotte se non ne esiste la vera e legittima causa, cioè il vincolo nuziale».

La legge dell’uomo non può seguire una strada contraria alla Legge di Dio.

Carlo Di Pietro da ControSenso Basilicata