Teologia Politica n° 25. Modernismo, utopia rousseauiana ed apostasia delle nazioni

Dalla Rivoluzione francese, «essendo stato falsato l’ordine politico nazionale ed internazionale» - dicevamo - gli Stati sono gradualmente naufragati nell’abisso del neo-paganesimo. Per dirla alla san Paolo, i popoli appaiono già «come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore» (Ef. IV,14). Solo la Chiesa - maestra di dottrina e custode della morale nella carità - nei secoli fu la barriera, tuttavia oggi, essendo invero essa stessa ostaggio di tumultuosi sovvertitori interni, tutto sta volgendo alla malora!

Quell’«unità della fede», quella «conoscenza del Figlio di Dio», quella «santa apostolicità», quell’«edificazione sociale nella carità», di cui i santi Pietro e Paolo per primi sono creati testimoni e divulgatori, sembrano quasi miraggi; tutto dal bieco 7 dicembre 1965 quando, approvata, almeno “esteticamente”, la Dignitatis Humanae, il modernismo è riuscito nel progetto di consegnare i popoli all’infedeltà ed all’immoralità, quindi le nazioni alla nefasta apostasia governativa, collocando così l’uomo, almeno potenzialmente, un gradino al di sotto della bestia.

Scrive il “mastino” del Sodalitium Pianum, Mons. Benigni, nel 1906: «La civiltà vera e perfetta risulta da un insieme organico di principii e di fatti morali e materiali: insieme oltremodo complesso e molteplice, che va dal retto funzionamento dell’autorità politica e domestica sino alla rete delle pubbliche comunicazioni ed al buon servizio della nettezza urbana. Ma quanto varrebbe per meritare il titolo di civile ad un popolo, che in esso l’igiene e l’agiatezza raggiungessero la perfezione esistente nel palazzo di un miliardario nord-americano, se in quel popolo mancasse la moralità; sicché le sue istituzioni, leggi ed usanze fossero immorali od anche amorali, cioè facessero e lasciassero trionfare l’immoralità? Un tal popolo darebbe lo spettacolo di una di quelle stalle signorili, dove ammiransi la pulizia, la comodità, il lusso, in cui vivono eleganti e costose bestie da tiro e da corsa» (Storia sociale della Chiesa, vol. 1, rist. anas. CLS, Verrua Savoia, 2016, pag. XIII).

E San Pio X nel 1907 in Pascendi Dominici gregis esorta alla massima vigilanza, poiché: «I consigli di distruzione, [i modernisti] non li agitano [...] al di fuori della Chiesa, ma dentro di essa; [...] il pericolo si appiatta quasi nelle vene stesse e nelle viscere di lei [della Chiesa], con rovina tanto più certa, quanto essi la conoscono più addentro. Di più, non pongono già la scure ai rami od ai germogli; ma alla radice medesima, cioè alla fede ed alle fibre di lei più profonde».

Infine Pio XII, ultima roccia contro la devastante peste modernista (v. Nouvelle Théologie in Dizionario delle Eresie), attesta nella Humani Generis del 1950: «Sappiamo anche che queste nuove opinioni [dei modernisti, che egli chiama novatori, ndR], possono far presa tra le persone imprudenti; quindi preferiamo porvi rimedio sugli inizi, piuttosto che somministrare la medicina quando la malattia è ormai invecchiata [Comandiamo] di curare con ogni diligenza che opinioni di tal genere non siano sostenute nelle scuole o nelle adunanze e conferenze, né con scritti di qualsiasi genere e nemmeno insegnate, in qualsivoglia maniera, ai chierici o ai fedeli».

Eppure tutto ciò non è bastato: dal momento che Dignitatis Humanae ha preteso di attribuire alla legge naturale ed alla Scrittura il libero diritto di professare ed esercitare l’errore, in foro esterno ed anche nel governo degli Stati, prontamente i governanti hanno ottenuto l’alibi che tanto agognavano e, per citare un episodio tempestivo, l’ex cattolicissima Spagna, nel gennaio 1967, modificando l’art. 6 della sua Costituzione, apre alle false religioni, all’immoralità ed all’amoralità. Il resto è storia!

Mons. Benigni, ai tempi della prestigiosa Cattedra nel Collegio Romano, in un dialogo con un suo anonimo allievo, lo sciagurato Ernesto Bonaiuti, davanti alle insistenti pretese del giovane utopista rousseauiano, futuro capofila del modernismo italiano, realisticamente replica: «Credete proprio che gli uomini siano capaci di fare qualcosa di buono nel mondo? La storia è un continuo e disperato conato di vomito, e per questa umanità non ci vuol altro che l’Inquisizione».

Carlo Di Pietro da ControSenso Basilicata