Somma Teologica, Seconda parte della seconda parte. Dalla Questione 64. • Articolo 3. (...) Come abbiamo già dimostrato, è lecito uccidere un malfattore in quanto la sua uccisione è ordinata alla salvezza di tutta la collettività. Essa perciò spetta soltanto a colui, al quale è affidata la cura della sicurezza collettiva: come spetta al medico, cui è stata affidata la cura di tutto un organismo, procedere al taglio di un membro malato. Ma la cura del bene comune è affidata ai prìncipi investiti della pubblica autorità. Perciò ad essi soltanto è lecito uccidere i malfattori, non già alle persone private. Come nota Dionigi, il vero responsabile di un’azione è colui sotto la cui autorità viene fatta. Ecco perché, a detta di sant’Agostino, «non uccide colui che è tenuto a prestare la sua opera a chi comanda, come la spada nelle mani di chi se ne serve». Perciò coloro che uccisero i parenti e gli amici per comando di Dio non sono da considerarsi loro come gli autori del fatto, ma piuttosto colui del quale rispettarono l’autorità: allo stesso modo che il soldato uccide il nemico per l’autorità del principe, e il boia che uccide un brigante per l’autorità del giudice. Una bestia differisce dall’uomo per natura. E quindi non si richiede per ucciderla nessun giudizio, se è selvatica. Se invece è una bestia domestica, si va incontro a un giudizio, non per l’animale in se stesso, ma per il danno arrecato al suo padrone. Il colpevole invece non differisce per natura dagli uomini onesti. E quindi si richiede un processo, per decidere se è degno di essere ucciso per il bene della società. Qualsiasi persona privata ha la facoltà di compiere cose utili al bene comune, che non danneggiano nessuno. Ma se danneggiano qualcuno, non si possono fare che a giudizio di coloro cui spetta determinare il sacrificio da imporre alle parti per la salvezza del tutto.

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