Più esteso (...) è il campo della rapina. Poiché anche quelli che non danno la mercede dovuta agli operai sono rapinatori e san Giacomo li invita alla penitenza con queste parole: "Piangete, o ricchi, ululando sulle sciagure che vi piomberanno addosso" (Gc. 5, 1). E più sotto aggiunge la ragione per cui devono fare penitenza: "Ecco che la mercede degli operai che hanno mietuto i vostri terreni, da voi defraudata, grida e il grido è entrato nelle orecchie del Signore degli eserciti" (Gc. 5, 4). Questo genere di rapine è severamente condannato nel Levitico (19, 13), nel Deuteronomio (24, 14), nel libro di Malachia (3, 5) e nel libro di Tobia (4, 15). In questa classe di rapinatori sono inclusi coloro che non pagano o carpiscono e prendono per sé le gabelle, i tributi, le decime e simili cose, dovute ai rettori della Chiesa e ai magistrati.

Si rendono rei di questa colpa gli usurai inesorabili e crudeli nelle rapine, che derubano e dissanguano il misero popolo con le loro usure. Consiste l'usura nel ricevere un'aggiunta in più oltre il capitale dato, sia denaro o qualsiasi altra cosa, che possa esser acquistata o stimata per denaro. Così infatti sta scritto nel libro di Ezechiele: "Non riceverà usura e sovrabbondanza [di denaro]" (18, 17) e il Signore dice nel Vangelo di Luca: "Date in prestito, senza aspettarne nulla" (6, 35).

Sempre fu considerato gravissimo questo delitto, anche presso i pagani, e odioso più d'ogni altro. Da ciò il motto: "Cos'è far usura? E che cosa è uccidere un uomo?"; poiché quelli che danno a usura vendono due volte la medesima cosa, o vendono quel che non esiste.

Commettono rapine anche i giudici corrotti dal denaro, che emettono giudizi venali e che, adescati con denaro e condoni, capovolgono le giustissime cause degli umili e dei diseredati.

Sono condannati per la medesima colpa di rapina quelli che frodano i creditori, i debitori fraudolenti e tutti coloro che, ottenuto un certo lasso di tempo per pagare, comprano mercanzie sulla parola propria o altrui e non mantengono la parola giurata. Il crimine di costoro è anche più grave, perché i mercanti, in conseguenza del loro inganno e della loro frode, vendono più cara ogni cosa, con grave danno di tutta la cittadinanza. A costoro sembra convenire il detto di David: "II peccatore prenderà in prestito e non pagherà" (Sal. 36, 21).

E che diremo di quei ricchi che troppo duramente esigono, da quelli che non hanno da pagare, quel che presero in prestito e, contro la proibizione di Dio, tolgono loro come pegno, anche le cose necessarie al mantenimento del loro corpo? Dice infatti Dio: "Se riceverai in pegno dal tuo prossimo il vestito, glielo restituirai prima del tramonto. Esso infatti è l'unica cosa con cui si può coprire, è l'indumento della sua carne e non ha altro in cui possa dormire; se griderà giustizia a me lo esaudirò, perché sono misericordioso" (Es. 22, 26).

La crudeltà della loro pretesa chiameremo dunque a buon diritto "rapacità" e "rapina".

Nel numero di coloro che vengono chiamati rapinatori dai santi Padri sono quelli che, durante la carestia, incettano frumento e fanno sì che per loro colpa il mercato sia più caro e più difficile. Ciò vale anche per tutto quel che riguarda il mantenimento e tutte le cose necessarie alla vita; a essi si riferisce quella maledizione di Salomone: "Chi nasconde le derrate, sarà maledetto fra le genti" (Prv. 11, 26).

I parroci dunque liberamente rimprovereranno costoro dei loro misfatti e più ampiamente spiegheranno le pene minacciate per questi peccati.

Catechismo tridentino, san Pio V (nel ritratto), n° 341.