Il Figlio di Dio vuole che la nostra orazione giunga al Padre in nome suo; così essa, per il merito e l’intercessione di tanto patrocinatore, acquista tale valore che è udita dal Padre celeste. È sua infatti l’espressione del Vangelo di san Giovanni: «In verità, in verità vi dico: quanto domanderete al Padre in nome mio, Egli ve lo concederà. Finora non chiedeste niente in mio nome: chiedete e otterrete, affinché la vostra gioia sia piena» (16, 23-24); e di nuovo: «Qualunque cosa domanderete al Padre in nome mio, io la farò» (14, 13). Imitiamo l’ardente desiderio che i santi manifestavano nel pregare. Uniamo poi i ringraziamenti alle preghiere, seguendo l’esempio degli Apostoli che sempre conservarono questa consuetudine, come si può vedere in san Paolo (1 Cor. 1, 4; Ef. 1, 16; 5, 19 seg.). All’orazione, poi, aggiungiamo il digiuno e l’elemosina. Il digiuno è strettamente associato all’orazione, perché la mente di chi è ripieno di cibo e di bevande è oppressa in modo tale che non può né contemplare Dio, né capire che cosa sia l’orazione. Segue l’elemosina, che pure ha grande affinità con l’orazione. Chi infatti, pur avendo la possibilità di beneficare colui che vive della pietà altrui, tuttavia non soccorre il fratello e il prossimo, potrebbe osare di chiamarsi caritatevole? Con quali parole potrà implorare l’aiuto di Dio l’uomo non caritatevole? Chieda prima perdono del suo peccato e nello stesso tempo domandi a Dio supplichevolmente la carità. Volle Dio che con questo triplice rimedio si potesse aiutare la salvezza eterna degli uomini; infatti, poiché peccando offendiamo Iddio, o danneggiamo il prossimo, o offendiamo noi stessi, con la preghiera possiamo placarlo, con l’elemosina riscattiamo le offese fatte agli uomini, con il digiuno togliamo via le sozzure della nostra vita. E quantunque ognuno di questi mezzi giovi per ogni sorta di colpe, tuttavia ognuno di essi è proporzionato e adattato propriamente a ciascuno di quei peccati che abbiamo nominati.

Catechismo tridentino. Bisogna pregare nel nome di Cristo