Nel rito di conferimento e di amministrazione di qualsiasi sacramento, si distingue giustamente fra la parte "cerimoniale" e la parte "essenziale", che si è soliti chiamare "materia e forma". Tutti sanno che i sacramenti della nuova legge, in quanto segni sensibili ed efficaci della grazia invisibile, debbono significare la grazia che producono, e produrre la grazia che significano. Questa significazione, anche se deve essere contenuta in tutto il rito essenziale, nella materia cioè e nella forma, appartiene però particolarmente alla forma, dato che la materia è parte di per sé non determinata, che per mezzo di quella viene determinata. E questo, in modo ancora più esplicito, appare nel sacramento dell'ordine, la materia del cui conferimento, quale si manifesta in questo luogo, è l'imposizione delle mani, che di per sé poi non significa nulla di definito, e viene usata ugualmente per tali ordini e per la confermazione.

Ora poi, le parole che fino a questi ultimi tempi vengono ovunque usate dagli anglicani come forma propria dell'ordinazione presbiterale, e cioè: "ricevi lo Spirito Santo", non significano affatto in modo determinato l'ordine del sacerdozio, o la sua grazia e potestà, che in particolare è la potestà di "consacrare e di offrire il vero corpo e sangue del Signore" (Denzinger 1771), con quel sacrificio che non è "una pura commemorazione del sacrificio compiuto sulla croce" (Denzinger 1753). Tale forma poi è stata arricchita più tardi con le parole: "per la funzione e il compito di presbitero". Ma questo dimostra piuttosto che gli anglicani hanno visto loro stessi che quella prima forma era imperfetta e non idonea alla situazione.

La stessa aggiunta però, se anche fosse in grado di apportare alla forma il legittimo significato, è stata introdotta troppo tardi, quando ormai era trascorso un secolo dalla ricezione dell'Ordinale edoardiano, e quando proprio per questo, essendosi estinta la gerarchia, la potestà di ordinazione era ormai nulla. Inutilmente poi ultimamente si è cercato un aiuto alla causa dalle altre preghiere dell'Ordinale. Infatti, anche tralasciando tutto ciò che nel rito anglicano le dimostri insufficienti allo scopo, valga solo questo argomento fra tutti: dalle stesse è stato tolto di proposito tutto ciò che nel rito cattolico designa chiaramente la dignità e le funzioni del sacerdozio. Non può dunque essere adatta e sufficiente al sacramento quella forma che passa sotto silenzio quello che dovrebbe propriamente significare.

Le cose stanno allo stesso modo per quanto riguarda la consacrazione episcopale. Infatti, alla formula "ricevi lo Spirito Santo", non solo sono state aggiunte troppo tardi le parole "per la funzione e il compito di vescovo", ma anche riguardo alle medesime, come subito diremo, si deve giudicare altrimenti che nel rito cattolico. E non aiuta certo la causa il richiamare la preghiera del prefazio "Onnipotente Dio", dal momento che è ugualmente priva delle parole che dichiarano "il sommo sacerdozio". In verità, non giova a nulla a questo proposito, esaminare se l'episcopato sia un completamento del sacerdozio, o un ordine distinto da quello; o se conferito, come si dice, "per salto", cioè ad un uomo che non sia sacerdote, abbia effetto oppure no. Ma lo stesso [episcopato] senza dubbio appartiene con assoluta verità al sacramento dell'ordine, secondo l'istituzione di Cristo, ed è sacerdozio di grado supremo; questo appunto, dalla voce dei santi padri e dalla nostra consuetudine rituale, è dichiarato "sommo sacerdozio, pienezza del sacro ministero". Dal momento che il sacramento dell'ordine e il vero sacerdozio di Cristo è stato totalmente eliminato dal rito anglicano, e che nella consacrazione episcopale del medesimo rito in nessun modo è conferito il sacerdozio, proprio da questo consegue che anche l'episcopato non può essere in alcun modo veramente e giustamente conferito; e questo tanto più perché tra i primi doveri dell'episcopato c'è appunto quello di ordinare i ministri per la santa eucaristia e il sacrificio.

Tuttavia, per la retta e piena valutazione dell'Ordinale anglicano, oltre a ciò che è stato osservato su alcune sue parti, nulla vale sicuramente quanto il considerare attentamente in quali circostanze sia stato composto e pubblicamente costituito. Sarebbe lungo enumerare le singole cose, e non è necessario: la storia di quel tempo infatti, dice abbastanza chiaramente quali fossero i sentimenti degli autori dell'Ordinale nei confronti della chiesa cattolica, quali fautori si associassero dalle sette eterodosse, dove infine dirigessero i loro progetti. Ben sapendo infatti quale vincolo esista fra la fede e il culto, fra "la legge del credere e la legge del pregare", con il pretesto di reintegrare la sua forma primitiva, hanno alterato in molti modi l'ordinamento della liturgia secondo gli errori dei novatori. Per questo, in tutto l'Ordinale, non solo non c'è nessuna chiara menzione del sacrificio, della consacrazione e della potestà del sacerdote di consacrare e di offrire il sacrificio; ma anzi, cosa di cui sopra ci siamo occupati, sono state deliberatamente eliminate e distrutte tutte le tracce di queste cose che fossero rimaste nelle preghiere non completamente rifiutate del rito cattolico. Così si manifesta da sé il nativo carattere e lo spirito, come si dice, dell'Ordinale. Di qui poi, avendo portato con sé l'errore fin dall'inizio, se non ha potuto avere in nessun modo validità nella pratica delle ordinazioni, neppure in futuro, con il passare del tempo, essendo rimasto il medesimo, potrà avere valore. Ed hanno agito inutilmente quelli che, fin dai tempi di Carlo I, hanno cercato di introdurre qualcosa del sacrificio e del sacerdozio, avendo fatto qualche aggiunta all'Ordinale; e ugualmente si dà da fare inutilmente quella parte non certo molto grande di anglicani costituitasi in tempi recenti, che ritiene che lo stesso Ordinale possa essere compreso e ricondotto ad un significato sano e retto. Inutili, noi diciamo, sono stati e sono questi tentativi: e ciò anche per questo motivo, perché, se alcune parole dell'Ordinale anglicano, come ora si trova, si presentano in modo ambiguo, non possono assumere il medesimo senso che hanno nel rito cattolico. Infatti, come abbiamo visto, una volta cambiato il rito con cui veramente si è negato o corrotto il sacramento dell'Ordine, e dal quale è stato ripudiato qualsiasi concetto di consacrazione e di sacrificio, non ha più nessuna consistenza il "Ricevi lo Spirito Santo", Spirito che viene infuso nell'anima con la grazia del sacramento; e non hanno alcuna consistenza le parole "per la funzione e il compito di presbitero" o "di vescovo", e quelle simili, che restano nomi senza la realtà che Cristo ha istituito.

Moltissimi fra gli stessi anglicani, interpreti più fedeli dell'Ordinale, hanno ben conosciuto la forza di tale argomento; e questa apertamente oppongono a coloro che interpretando in modo nuovo lo stesso [Ordinale], con vana speranza attribuiscono agli ordini con esso conferiti il valore e la forza che non hanno. Con questo medesimo argomento cade anche l'opinione di coloro che dicono che come legittima forma dell'ordine possa essere sufficiente la preghiera "Onnipotente Dio, largitore di tutti i beni", che si trova all'inizio dell'azione rituale; anche se forse potrebbe essere ritenuta sufficiente in un qualche rito cattolico che la chiesa avesse approvato. Con questo intimo "vizio di forma", dunque, è congiunto un "vizio dell'intenzione", che il sacramento, per poter essere, richiede in modo ugualmente necessario. Riguardo alla disposizione o intenzione, essendo di per sé qualcosa di inferiore, la chiesa non giudica; ma dal momento che si manifesta all'esterno, deve giudicarla. Ora poi, quando qualcuno per compiere o conferire un sacramento, ha adoperato seriamente e giustamente la materia e la forma dovute, proprio per questo si ritiene che egli abbia inteso certamente fare ciò che fa la chiesa. Su questo principio si fonda la dottrina che tiene per fermo che è veramente un sacramento anche quello che è compiuto mediante il ministero di un eretico o di un non battezzato, purché con il rito cattolico. Al contrario, se il rito viene cambiato per introdurne un altro non approvato dalla chiesa, e per respingere ciò che fa la chiesa e che appartiene alla natura del sacramento secondo l'intenzione di Cristo, allora è chiaro che manca non solo l'intenzione necessaria al sacramento, ma che c'è anzi una intenzione contraria e opposta al sacramento.

Tutte queste cose a lungo e ripetutamente le abbiamo considerate fra Noi e coi Nostri venerabili fratelli giudici nella Suprema, l'assemblea dei quali Ci è piaciuto convocare presso di Noi in modo straordinario il venerdì 16 luglio, nella commemorazione di Maria, nostra Signora del Carmelo. Costoro concordemente hanno convenuto che la causa proposta già da tempo era stata conosciuta e giudicata dalla sede apostolica e che, istruita e trattata poi di nuovo la sua discussione, era emerso nel modo più chiaro con quale forza di giustizia e di sapienza [la sede apostolica] aveva deciso l'intera problematica. Abbiamo tuttavia ritenuto che la cosa migliore da farsi fosse il non pronunciare subito una sentenza, per meglio valutare l'utilità e il vantaggio di una nuova dichiarazione sul medesimo argomento in virtù della Nostra autorità, e per implorare supplici una più copiosa abbondanza di luce divina. Avendo poi Noi considerato che lo stesso capitolo dottrinale, anche se giustamente già definito, è stato da certuni rimesso in discussione, qualunque sia poi il motivo di questa nuova discussione; e che da questa situazione avrebbe potuto nascere facilmente un pericoloso errore per i non pochi che pensano di trovare il sacramento dell'Ordine e i suoi frutti dove invece non ci sono. Ci è sembrato bene nel Signore di rendere pubblica la Nostra sentenza.

Pertanto, approvando in modo globale tutti i decreti dei Nostri predecessori [es. Giulio III, Paolo IV, Clemente XI, ndR] su questo problema, e confermandoli e rinnovandoli pienamente, in forza della Nostra autorità, di nostra iniziativa, per sicura conoscenza. Noi dichiariamo e proclamiamo che le ordinazioni compiute con il rito anglicano sono state del tutto invalide e sono assolutamente nulle.

Condanna tratta dalla Apostolicae curae, SS Leone XIII, Lettera sulle ordinazioni anglicane, 13 settembre 1896