• Col promuoversi i buoni costumi si promuove anche la pace comune dei cittadini e per conseguenza il bene di tutto lo Stato. Questa è una verità così evidente che si prova da per tutto con l’esperienza: quei sudditi che sono ubbidienti ai precetti di Dio sono necessariamente ancora ubbidienti alle leggi dei prìncipi. La stessa fedeltà che conservano i vassalli verso Dio li rende fedeli ai loro sovrani. La ragione è chiara: quando i sudditi sono ubbidienti ai divini comandamenti, cessano le insolenze, i furti, le frodi, gli adulterii, gli omicidii; e così fiorisce lo Stato, si conserva la sommessione al sovrano e la pace tra le famiglie. Insomma quei che si stabiliscono in menare una vita morigerata, si stabiliscono insieme di osservare i loro doveri; poiché allora attendono a reprimere le loro passioni e così vivono in pace con se stessi e cogli altri.

• 2. Ma a ciò bastano le leggi dei prìncipi ed i supplizi destinati ai delinquenti? No (si risponde) non bastano; né le leggi né i supplizi umani bastano a frenare l’audacia e le passioni disordinate dei malvagi che ad altro non attendono che a migliorare i loro interessi ed a soddisfare i loro appetiti: e perciò quando lor si presenta l’occasione, disprezzando le leggi ed i castighi divini, facilmente disprezzano ancora le leggi ed i castighi minacciati dai sovrani.

• 3. Giovano bensì le leggi umane a conservare i buoni costumi nei sudditi morigerati, ma non già ad ingerirli nei sudditi cattivi; la sola religione ingerisce e forma i santi costumi nelle anime, e così ella opera che le leggi siano osservate. Se non vi fosse la religione, la quale insegna esservi un Giudice supremo, che tutto vede e ben sa vendicare le malvagità degli empi, rare volte gli uomini si farebbero forza a soddisfare i loro doveri; e senza questo timore dei divini flagelli che tiene gli uomini a freno, gli empi da per tutto crescerebbero in eccesso [Sant’Alfonso scrive nell’anno 1777. Oggi l’esempio delle società cosiddette “laiche”, funesta eredità della Rivoluzione francese, dimostra che quelle Nazioni dove non si tiene in conto la santa religione sono piene di empi, talvolta sono proprio gli empi a governare, ndR].

• 4. La sola religione poi rende i vassalli veri ubbidienti ai lor prìncipi, facendo ad essi intendere che son tenuti ad ubbidire ai sovrani, non solo per evitare le pene imposte ai trasgressori, ma anche per ubbidire a Dio e tenere in pace le loro coscienze; secondo che scrive l’Apostolo, dicendo che i sovrani sono ministri di Dio: «Ministri enim Dei sunt, in hoc ipsum servientes». E quindi soggiunge San Paolo che le leggi dei prìncipi obbligano anche la coscienza dei sudditi: «Ideo necessitate subditi estote, non solum propter iram, sed etiam propter conscientiam». [Sant’Alfonso sta usando Romani, 13, 5-6]

• 5. Non bastano dunque le leggi né bastano i supplizi minacciati dalle leggi a reprimere le insolenze dei malvagi che poi disturbano la pubblica pace: poiché spesso i delitti restano impuniti, o perché restano occulti i delinquenti, o perché mancano le prove bastanti a poterli castigare; e non di rado, quantunque siano provati i delitti, i rei colla fuga si sottraggono alla pena. Scrive il Clerc, ancorché eretico: «La massima parte degli uomini non è capace di operare bene per la sola mira del pubblico bene; l’interesse particolare si trova quasi sempre opposto all’interesse comune; il solo timore dei castighi divini mette freno ai disordini».

• 6. Essendo poi vero che i re sono ministri di Dio e suoi luogotenenti, siccome i vassalli son tenuti anche per obbligo di coscienza di ubbidire ai loro monarchi; così i monarchi son tenuti a vigilare sopra i loro vassalli acciocch’essi ubbidiscano a Dio. Ad un uomo privato basta che osservi la divina legge per salvarsi; ma ad un re non basta: gli bisogna inoltre che si adoperi quanto può, affinché i suoi sudditi osservino la divina legge, procurando di riformare i mali costumi e di estirpare gli scandali.

• 7. E quando si tratta dell’onore di Dio, devono i prìncipi aver coraggio e non tralasciare il loro dovere per timore di qualche avversità o contraddizione che possa esser loro fatta; mentre ogni re che adempisce il suo obbligo ha Dio che l’assiste con modo speciale; come Dio stesso disse a Giosuè (1, 9) allorché gli commise il governo del popolo: «Confortare et esto robustus et noli metuere, quoniam tecum est Dominus Deus tuus».

• 8. Pertanto il fine principale dei prìncipi nel loro governo non dev’essere la gloria propria, ma la gloria di Dio. I prìncipi che per la gloria propria trascurano quella di Dio vedranno perduta l’una e l’altra. Deve persuadersi ogni regnante, non esser possibile in questo mondo, pieno di uomini malvagi ed ignoranti, acquistarsi coi suoi portamenti (per giusti e santi che siano) le lodi e l’applauso di tutti i suoi vassalli: s’egli esercita la liberalità coi buoni e coi poveri lo chiamano prodigo: se poi fa eseguir la giustizia coi malvagi lo chiamano tiranno. Devono pertanto i re principalmente attendere a piacere a Dio più che agli uomini; poiché allora, se non saranno lodati dai cattivi, ben saranno lodati dai buoni, e soprattutto da Dio che saprà remunerarli in questa e nell’altra vita.

• 9. Con modo speciale devono attendere i prìncipi a tener purgati i regni da gente di mala dottrina. Pertanto parecchi cattolici sovrani non ammettono al loro servizio né eretici né scismatici. Perciò anche proibiscono con sommo rigore che nel regno entrino libri infetti di dottrina avvelenata; la poca cautela di alcuni prìncipi nell’estirpare questa sorta di libri è stata la causa della rovina di più regni.

• 10. Quanto poi abbiano accresciuto la gloria di Dio e la pietà nei sudditi molte buone regine con la loro devozione e buon esempio dato, ben si legge nelle vite di Santa Elisabetta regina di Portogallo, di Santa Edwige regina di Polonia, di Santa Brigida regina di Svezia e di Santa Caterina sua figlia.

Tratto da «La fedeltà de’ Vassalli», Capitolo I: «I re, se vogliono che i sudditi sieno loro ubbidienti, devono procurare di renderli ubbidienti a Dio; e si prova», Intratext.