Lettera introduttiva dell'Editore (Tipografia e Libreria Salesiana, Torino, 1887): «Eccovi, o giovanetti, una nuova edizione della Storia d'Italia scritta dal Sacerdote GIOVANNI BOSCO. Il desiderio di porvi tra le mani un libro che alla verità storica accoppii la sana morale, la rettitudine dei giudizi e la purità della patria lingua mi ha consigliato ad imprendere questo lavoro. Affinché poi fin da principio conosciate che tutte queste doti trovansi riunite nella presente opera, ho creduto non inopportuno il farvi precedere i giudizi pubblicati da alcuni periodici e da un celebre scrittore italiano; ciascuno dei quali per, la parte sua gode meritamente la estimazione delle persone colte. Vi auguro che la lettura di questo libro possa produrre in voi quei salutari effetti che mossero l’autore, a compierlo con grande sua fatica, e me a pubblicarlo. Vivete felici».
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Per inviare una donazione a Sursum Corda Cliccare qui. «Nessuno al mondo vorrà mai ammettere di essere avaro! Tutti negano di essere contagiati da questo tarlo che inaridisce il cuore. Chi adduce a scusa il pesante fardello dei figli, chi la necessità di crearsi una posizione solida... Quelli poi che sono avari più degli altri, non ammetteranno mai di esserlo, e il bello è che, in coscienza, sono proprio convinti di non esserlo! L’avarizia è una febbre maligna, che più è forte e bruciante e più rende insensibili» (San Francesco di Sales, «Filotea»). Per scaricare il PDF ocr cliccare qui.
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Giudizi pubblicati dalla Civiltà Cattolica
Il nome dell' egregio Sac. D. Bosco è oggimai un' arra più che sufficiente della bontà dei suoi scritti improntati tutti di zelo e diretti alla cultura della gioventù, al bene di cui da tanti anni lavora con lodevolissima fatica. Questa sua Storia d'Italia in particolare merita elogio per la rara discrezione con cui fu scritta, in maniera che nell'angusto spazio di 558 pagine in 16° vi si raccolgono con diligenza tutti i principali avvenimenti della patria nostra. Noi pertanto facciam voti, perché, dato bando a tante storie d'Italia scritte con leggerezza od anche con perverso fine, questa del Bosco corra per le mani dei giovani, che s'iniziano allo studio delle vicende della nobilissima Penisola. (Anno VIII, serie III, vol. V, pag 482).
In un tempo come il nostro, nel quale della menzogna storica si fa un manicaretto per avvelenare le menti giovanili, molto importa rendere note le opere che nell'educazione della gioventù possono servire d'antidoto alle predette corruttele. E che tale sia questo veramente egregio libro del chiarissimo D. Bosco non ci bisogna di provarlo alla lunga. Altrove parlando di questa storia indicammo i meriti particolari che in sé contiene, e che sono di assai cresciuti nella nuova edizione che annunziamo. Per lo scopo che l'autore si propone, che è d'insegnare la storia patria ai giovanetti Italiani con facilità, con brevità, con chiarezza, noi non esitiamo ad affermare che il libro nel suo genere non ha forse pari in Italia. Composto con grande accuratezza e con una pienezza rara a trovarsi nei compendii. Tutto il lavoro è diviso in quattro epoche, la prima delle quali incomincia dai primi abitatori della penisola, e l'ultima giunge sino alla guerra del 1859. Un confronto dei nomi geografici dell'Italia vetusta coi nomi moderni chiude il libro a maniera di appendice. Sotto la penna dell'ottimo D. Bosco la storia non si tramuta in pretesto di bandire idee di una politica subdola o principii di una ipocrita libertà come pur troppo avviene di certi altri compilatori di Epiloghi, di Sommarii, di Compendii che corrono l'Italia e brulicano ancora per molte scuole godenti riputazione di buone. Alla veracità dei fatti, alla copia della materia, alla nitidezza dello stile, alla simmetria dell'ordine, l'autore accoppia una sanità perfetta di dottrine e di massime, vuoi morali, vuoi religiose, vuoi politiche. E questa è la qualità che ci sprona a raccomandare caldamente questo libro a quei padri di famiglia, a quei maestri, a quegli istitutori che desiderano di avere figliuoli e discepoli eruditi nella germana istoria patria, ma non dalla falsa storia patria attossicati. Convien pur dirlo, giacchè è per nostra grande sciagura troppo vero. Quella colluvie di scritti elementari e pedagogici che ora allaga la nostra penisola, è per la massima parte appestata dagli errori moderni contro il Papato, contro la Chiesa, contro il clero, contro l'autorità divina ed umana. La diabolica congiura dei figliuoli delle tenebre contro la Luce eterna opera indefessamente a guastare fino dal seme le tenere anime dei giovanetti. Quindi noi stimiamo di fare un atto di amicizia suggerendo ai cattolici nostri lettori un libro elementare il quale né procede da un congiurato contro la verità, né ha le magagne che corrompono ai dì nostri le menti inesperte. (Anno XIII; serie V, vol. III, pag. 474).
Pensieri di N. Tommaseo su questa storia
Noi abbiamo accolto con le meritate lodi la bella e sugosa Storia d'Italia raccontata alla gioventù dal sac. G. Bosco, e con noi altri periodici fecero plauso a questa operetta, che è di grandissimo vantaggio alla gioventù per guarentirla dalla congiura permanente contro la verità, che è divenuta la storia da tre secoli in qua. Ma perché forse taluni potrebbero sospettare che quel nostro giudizio favorevole sia stato, se non dettato per intiero, almeno abbellito dallo spirito di parte, ci pare opportuno il recare qui il dettone da tale, cui non si potrà fare certamente il detto appunto. È questi NICCOLÒ TOMMASEO di cui troviamo nell'Istitutore il seguente articolo sulla Storia d'Italia del sig. D. Bosco. «Se i libri giudicassersi dall'utilità che recano veramente, se ne avrebbe una misura più giusta di quella che sogliono i letterati adoperare, e correggerebbersi, o almeno si tempererebbero molte loro sentenze peccanti o di servile ammirazione o di disprezzo tiranno. Ecco un libro modesto che gli eruditi di mestiere e gli storici severi degnerebbero forse appena di uno sguardo, ma che può nelle scuole adempire gli uffizi della storia meglio assai di certe opere celebrate. A far libri in uso della gioventù, certamente l'esperienza dell'insegnare non basta, ma è grande aiuto, e compisce le altre doti a questo diffìcile ministero richieste. Difficile segnatamente là dove trattasi di compendii, i quali devono essere opere intiere nel genere loro, non smozzicare i concetti, né offrirne lo scheletro arido. L'abate Bosco in un volume non grave presenta la storia tutta d'Italia nei suoi fatti più memorandi, sa sceglierli, sa circondarli di luce assai viva. Ai Piemontesi suoi non tralascia di porre innanzi quelle memorie che riguardano più in particolare il Piemonte, e insegna a fare il simile agli altri maestri, cioè le cose men note e più lontane illustrare con le più note e più prossime. S'intende dunque che ciascun insegnante deve all'uso proprio e dei suoi discepoli saper rifare almeno in parte i libri scolastici, per ben fatti che siano; deve le narrazioni, per vivaci che siano nel libro, saper nella scuola animare di colori novelli e applicare e la storia e ogni altro ammaestramento a ciascheduno dei suoi allievi per quanto si può. In tanta moltitudine di cose da dire, l'abate Bosco serba l'ordine e la chiarezza, che diffondendosi da una mente serena insinuano negli animi giovanili gradita serenità. Giova a chiarezza, secondo me, anche il raccogliere in un capitolo distinto le considerazioni generali sopra la religione e le istituzioni dei popoli, e le consuetudini e gli usi. Questo è stato ripreso in alcuni storici del secolo andato: e richiedeasi che tali notizie fossero a luogo a luogo infuse nella narrazione stessa e le dessero movimento e pienezza di vita. Io non dico che ogni osservazione generale debbasi dalla esposizione dei fatti dividere, che sarebbe un rendere e l'una e l'altra parte imperfetta: ma dico che anco gli storici antichi, maestri imitabili in ciò, o premettevano o inframettevano ai fatti la commemorazione sommaria dei costumi: e dico che, specialmente nei libri a uso della gioventù, questa cura è sussidio alla memoria insieme e all'intelligenza. Né a proposito di tale o tal caso è possibile indicare con la debita evidenza tutto quello che spetta all'indole costante dei popoli, senza che ricorra tediosa necessità di ripetere ogni tratto i medesimi accenni. Io non vi dirò che l'autore non potesse talvolta approfittare maggiormente delle notizie storiche che la scienza moderna ha accertate studiando meglio le fonti: ma mi corre obbligo di soggiungere che non poche delle troppo esaltate scoperte della critica moderna rimangono tuttavia indubitabili anch'esse e versano assai volte sopra circostanze non essenziali all'intima verità della storia, e soggiungere che i giudizi dell'autore mi paiono conformi insieme a civiltà vera e a sicura moralità. Nel colloquio famigliare che, raccontando, egli tiene coi suoi giovanetti, saviamente riguarda le cose pubbliche dal lato della morale privata, più accessibile a tutti e più direttamente proficua. Il voler fare dei fanciulli altrettanti uomini di Stato, e insegnar loro a sentenziare sopra le sorti degli imperi, e le cagioni che diedero vinta a tale o a tal altro capitano una campale battaglia, è pedanteria non sempre innocente. Perché avvezza le menti inesperte a giudicare dietro alla parola altrui cose che non possono intendere; perché a questo modo dà loro una falsa coscienza; perché non le addestra a modestamente applicare i documenti della storia alla pratica della comune vita. Noi vediamo all'incontro i grandi storici, i grandi poeti antichi compiacersi a ritrarre sotto le insegne e quasi sotto la maschera dell'uomo pubblico l'uomo privato; e giudicare nel cittadino e nel principe il padre, il figliuolo, il fratello. Quindi insieme con la sapienza e con l'utilità, la maggior bellezza delle opere storiche e poetiche degli antichi. Non pochi dei moderni in quella vece, nella storia e nella poesia stessa propongono a sé un assunto da dover dimostrare e quello proseguono dal principio alla fine; e a quello piegano e torcono i fatti e gli effetti; dando sempre a vedere se stessi e la propria fissazione, nei più diversi aspetti del loro argomento ostinandosi a farne sempre apparire il medesimo lato, e sotto forme differenti ripetendo a sazietà la medesima cosa; non narratori, né dipintori, ma declamatori importuni. E non si accorgono che la storia e tutta la natura, è quasi una grande parabola agli uomini proposta da Dio; della quale voler fare una applicazione unica, isterilisce la fecondità inesausta del vero, ammiserisce il concetto divino». (Estratto dall'Armonia 1859, anno XII, N. 219).
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