Il Salmista tratteggiò con poche pennellate il quadro del peccatore morente. «I dolori della morte mi circondarono, e i torrenti d’iniquità mi riempirono di affanno. Avviluppato tra i lacci di mode, ebbi a soffrire dolori d’inferno» (Psalm. XVII, 4-5). «Le vostre saette, o Signore, mi penetrarono le carni, e la vostra mano si è aggravata sopra di me. Il vostro sdegno non mi lascia più parte sana nel corpo, la vista dei miei peccati mi conturba fino al midollo delle ossa. Le mie iniquità mi si rovesciarono in capo, ed io mi trovo accasciato come sotto insopportabile peso. Le mie piaghe sono imputridite a cagione della mia insensatezza. Curvato a terra, io divenni misero e tapino. Le mie viscere ardono di un fuoco che le divora; tutto il mio corpo non è che una piaga. Languisco affranto; fremo e urlo dentro di me. L’anima mia geme angustiata, la mia forza mi abbandona, il lume degli occhi miei si spegne; e già vo brancicando nel buio» (Psalm. XXXVII). «Lo sgomento della morte si è impadronito di me, il timore ed il terrore mi opprimono, le tenebre mi avvilupparono» (LIV, 4-5). «Ah! piombi la morte su gli empi e li trabalzi vivi nell’inferno. Essi sono vestiti delle loro malvagità, come di un abito» (LXXII, 6). «Nell’ora della morte i mali investiranno l’uomo che ha commesso ingiustizia» (Psalm. CXXXIX, 12). «Egli allora vedrà e infurierà, e fremerà di rabbia» (Psalm. CXI, 9). Il peccatore trema al ricordo della sua vita infame, alla vista dei suoi accusatori (...); viene meno sotto il peso dei suoi patimenti, ed al pensiero di doversi staccare dal corpo, dal mondo, dai beni, dai piaceri (...); gli sta innanzi orrenda la morte, terribile il giudizio di Dio: gli orrori dell’inferno ed un’eternità di supplizi non gli lasciano chiudere palpebre (...). «Da tutte le parti, dice il Crisostomo, spaventosi tormenti gli si presentano agli occhi: il timore dell’avvenire, i patimenti del presente, il rimorso del passato».  Il ricordo dei suoi delitti, dei suoi scandali, delle sue empietà, tutto si rovescia d’un tratto sul peccatore che muore. Mentre viveva, era quasi giunto, a forza di soffocarne il grido, a dimenticarli, ma nell’ora della morte gli si schierano tutti dinanzi come un esercito nemico, e gli dicono insolenti: Ci conosci tu ora? Ecco, noi siamo l’opera tua (...). Nel presente vede il mondo che fugge e lo disprezza, le ricchezze, gli onori, i piaceri che svaniscono (...); il corpo ch’egli tanto curava e accarezzava e che, rotto dai dolori, comincia a corrompersi (...); i demoni che lo assediano, se lo contendono, lo accusano (...); il severo giudizio di Dio che lo attende (...); la disperazione eterna (...); insomma tutti i mali scrosciano ad un tratto sul corpo e su l’anima del peccatore moribondo (...). Si adempie allora la parola del Signore: «Io farò degli ultimi istanti del peccatore, un giorno pieno di amarezza» (Amos VIII, 10).  Non avendo seminato che erbe cattive, non avendo piantato che alberi selvaggi, nel giorno della loro morte i peccatori mangeranno frutti acerbi e guasti; hanno studiato il male e concepito l’iniquità, mangeranno di ciò che hanno seminato (Prov. I, 31). «I miei giorni, esclamerà il peccatore con le parole di Giobbe, passarono, i miei disegni svanirono lasciandomi lo strazio nel cuore» (Iob. XVII, 11).

I Tesori di Cornelio Alapide.