Parecchi, dice Daniele, saranno eletti, purificati e provati come fuoco. Cadranno sotto la spada, saranno gettati in schiavitù ed alle fiamme. Abbattuti, si rialzeranno (...). Cadranno per essere saggiati e forbiti e purificati fino al tempo stabilito (Dan. XI, 33-35).

• Il martirio è, secondo san Cipriano, la fine dei peccati, il termine dei pericoli, la guida alla salute, il cammino alla pazienza, il padrone del cielo. Di pregio inestimabile è la gloria del martirio, vittoria senza macchia, trionfo senza oppressione. Imitando Gesù, il martire ha l’onore di dividerne i patimenti. Com’è preziosa questa morte che compra l’immortalità con l’effusione del sangue! O quanto si compiace Gesù Cristo di combattere e vincere per mezzo di tali servi! «I tormenti sono penne che mi trasportano in cielo» (De laud. Martyr.). Come sono preziose le ferite dei martiri! esclama san Eucherio; esse ci porgono l’occasione di mutare questa breve e misera vita nell’eterna e beata. Quante ferite riceve il martire, tante palme prende dalla mano medesima di Dio.

• «Tutti i tormenti - scrive san Leone - furono inventati per la gloria dei martiri, e gli strumenti del loro supplizio servirono alla pompa del loro trionfo». Sentenza verissima, avuto riguardo non solamente all’altra, ma anche alla presente vita, perché gli strumenti dei martiri divennero reliquie e oggetti di venerazione. In questo doppio senso Tertulliano chiamava il martirio, «nobilissimo ed onorevolissimo genere di morte» (Apolog. c. XXXIX).  Il sangue dei martiri spegne il fuoco dell’inferno. Morte beata che riceve l’eterna corona di una vita di virtù! Chi è condannato per il nome di Dio (per la vera fede, ndR), è un martire, dice Clemente Alessandrino, egli è fratello di Gesù Cristo, figlio dell’Altissimo, tabernacolo dello Spirito Santo.

• San Cipriano chiama il martirio battesimo di fuoco e lo esalta sopra il battesimo di acqua come più fecondo di grazie, di ordine più elevato, di onore più splendido. Gli angeli ne sono i ministri; dopo che si è ricevuto, non si pecca più; corona la fede e unisce a Dio per sempre coloro che trae fuori da questo mondo. Col martirio gli occhi si chiudono alla terra, ma si aprono al cielo; l’anticristo minaccia e tormenta, ma Cristo protegge e salva; il martire incontra la morte, ma l’immortalità lo segue; perde il mondo, ma guadagna il paradiso. O ricca permuta! la vita temporale e transitoria si spegne, ma le succede quella eterna (Exhort. ad Martyr.).  

• Che felicità uscire di questo mondo pericoloso, malvagio, perverso, seminato di miserie e d’inganni! Che fortuna scampare con gloria da un mare di angosce e di tormenti, chiudere in un punto e per sempre gli occhi, per non più vedere il mondo e gli uomini corrotti ed aprirli nel medesimo istante per vedere Gesù Cristo, la Santissima Trinità, la corona ed il trono di gloria riservato al martire!

• Ma ascoltiamo quello che ne dicono i martiri medesimi, scrivendo a san Cipriano: Qual più grande felicità, qual più splendida gloria per un uomo, che quella di confessare Gesù Cristo in mezzo ai manigoldi, ai carnefici e sotto la mannaia, confessarlo tra i più atroci e i più svariati tormenti, quando il sangue scorre a rivi, le carni penzolano a brandelli, le ossa scricchiolano slogate e tutto ciò per effetto del proprio libero volere! Quale ventura più gloriosa e più felice, che quella di lasciare la terra e andare al cielo, abbandonare gli uomini e volarsene con gli angeli; spezzare i ceppi ed essere liberato dagli ostacoli del secolo, acquistare la libertà e trovarsi al cospetto di Dio? Che cosa vi è che ci sia più lustro e decoro e ricchezza, che quella di diventare, confessando il nome di Gesù Cristo, compagni della Sua passione, coeredi della sua gloria; conservare immacolata l’anima propria con la professione della fede; ricusarsi di ubbidire a leggi inumane, ingiuste e sacrileghe che manomettono la religione, e vendicare con pubblica testimonianza le leggi di Dio; vincere la morte, terrore di ogni uomo, e ricevere per mezzo di questa morte, la quale non dura più che un momento, la vita eterna; trionfare di tutti i carnefici e di tutte le torture; amare i supplizi in virtù degli insegnamenti della fede; non curare né la vita né la morte? O nobile, eroico ed immacolato trionfo! (Epist. lib. V, c. XII).  Dal suo carcere san Paolo scriveva agli Efesini: «Io Paolo prigioniero di Gesù Cristo» (Eph. III, 1). Essere incatenato per Gesù Cristo, è titolo più nobile, più eccellente, dice il Crisostomo, che essere apostolo, dottore, evangelista; è tale dignità che in suo confronto la dignità di re perde il suo pregio. Chi ama Gesù Cristo e arde di zelo per Lui, preferisce di essere prigioniero per la gloria del suo nome, anziché godere tranquillamente la felicità del cielo. Non forma così splendida corona al suo capo un diadema tempestato di gemme, come una catena di ferro portata per amore di Gesù Cristo. Se mi lasciassero la scelta tra l’essere con gli angeli attorno al trono di Dio, e lo starmene chiuso in prigione con Paolo, io non esiterei a preferire la prigione. Niente può stare al confronto con questa schiavitù! Paolo rapito al terzo cielo era meno beato che tra le catene; io amo meglio patire con Gesù Cristo, che regnare con lui. O beate catene! Dalle quali anche Pietro fu avvinto, e liberato poi da un angelo. Ora se mi si dicesse: Vuoi tu essere l’angelo che scioglie i ceppi di Pietro, oppure Pietro legato in catene? Io scelgo, direi, la condizione di Pietro; il ferro che gli strinse le carni è più gran dono che la potestà di arrestare o dare il moto al mondo, di comandare agli elementi, di scacciare i demoni. Il martirio è l’atto più perfetto di fede, di speranza, di carità, di religione, di forza, per ciò procura la più splendida corona e su la terra e in cielo (Homil. VIII). Il sublime trionfo di Gesù Cristo, dice anche Prudenzio, consiste nei patimenti dei martiri; soffrire, morire tra i più atroci supplizi ed essere calmo, sereno, giulivo, ecco il trionfo dei trionfi (In Martyr.).

I Tesori di Cornelio Alapide.