La Chiesa è il regno di Dio e per mezzo di essa noi dobbiamo partecipare ai beni soprannaturali. Era evidente che non tutti i poteri santificatori si potevano concentrare in uno solo, dato il numero dei fedeli. Perciò «lo Spirito Santo pose i Vescovi a reggere la Chiesa di Dio». Il campo d’azione soprannaturale di questi Pastori delle diverse diocesi è - a differenza di quello del Papa - limitato; ed inoltre essi sono subordinati al Pontefice Sommo, il quale, benché non possa sopprimere l’Episcopato, può, però, rimuovere un Vescovo. Il Vescovo è un successore degli Apostoli ed a lui, quindi, Gesù ripete la Sua parola: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me». Il Vescovo è il Dottore e il Maestro della verità cristiana; è il Padre del sacerdozio che ordina i nuovi ministri del Signore; è il Padre dei fedeli, che perfeziona con la Cresima; è il Giudice delle anime a lui affidate. Intorno al proprio Vescovo si stringono i veri cristiani, come intorno a Cristo stesso. Non la sua persona, ma la persona di Cristo dobbiamo venerare nel Vescovo, come nell’ambasciatore vediamo non l’individuo, ma la nazione rappresentata. Per questo, pieghiamo il ginocchio dinnanzi al Vescovo, come lo piegheremmo dinnanzi a Cristo. Ricordo che nelle feste giubilari in onore del Cardinal Ferrari, celebrate poco tempo prima della sua morte, la Gioventù Cattolica Femminile Milanese aveva ricoperto di fiori freschi la tomba di san Carlo, sulla quale il Porporato offrì il Sacrificio santo. Ed il Vescovo di Cremona, Mons. Cazzani, in quella occasione, in un suo discorso, commentava l’atto gentile a questo modo: tutti i fedeli, e specialmente la gioventù, devono circondare il proprio Pastore coi fiori dell’affetto, della preghiera, dell’animo pronto e volonteroso. Felice il Vescovo che può raccogliere sull’Altare, dove egli celebra, i cuori delle sue pecorelle e offrirli a Dio, insieme col Cuore di Cristo, santificati e soprannaturalmente formati!

• Siccome il Vescovo non può attendere personalmente a tutti i bisogni del suo gregge, è aiutato dai Sacerdoti, che egli delega alla grande missione. Chi guarda il Sacerdote non con l’occhio della natura, ma con uno sguardo soprannaturale, non può fare a meno di salutare in lui il ministro di Dio, che ha rinunciato alla famiglia, per dedicarsi alla famiglia delle anime, come strumento della loro divinizzazione. Il Sacerdote consacra il pane ed il vino; e nelle sue mani Cristo s’incarna, per vivere fra noi sacramentalmente. Il Sacerdote ci assolve dai nostri peccati e dona Dio e la grazia alle anime, che col battesimo sono state introdotte nel regno del soprannaturale e che egli cura ed assiste sino al letto di morte, per consegnarle al Signore. Il Sacerdote predica e Gesù si incarna nella parola sacerdotale (...) e scende nelle nostre menti. È possibile, dunque, definire il Sacerdote, prescindendo dall’ordine soprannaturale, dalla grazia, da Gesù Cristo? Anime buone, che leggete queste pagine, se voi non siete Sacerdoti, difficilmente capirete cos’è un Sacerdote ed il palpito del suo cuore riconoscente verso Gesù, che lo ha eletto a tanta grandezza! Io non ho mai inteso questo così intensamente, (afferma Mons. Olgiati) ,come nel mattino in cui, ricevendo l’ordine del Suddiaconato, ho consacrato per sempre la mia vita al Signore. Ho impressa ancora nell’animo la memoria di quel giorno, quando nella pace serena dell’alba, con una folta schiera di altri giovani leviti, uscii dal Seminario per recarmi al Duomo, al grande Duomo di Milano. La città dormiva ancora; rari i passanti; e solo parevano salutarci festosi i primi raggi del sole di maggio, che baciavano il popolo di statue e le cento e cento guglie, ergentisi sulla basilica e quasi tendenti «l’ali, nel (desiderio) dei cieli». La cerimonia s’iniziò con tutto lo splendore e la magnificenza del culto. A noi giovani, bianco-vestiti, il Vescovo solennemente dava l’avviso: «Adhuc liberi estis; siete liberi ancora. Scegliete, decidete». E quella parola, in quel tempo (si era nel 1907), significava pressappoco così: «Non sapete, o giovani, che in una nazione vicina si è scatenata la persecuzione religiosa? Ignorate che Cristo è conculcato dovunque e che domani v’attende il disprezzo, forse la morte?». Il mondo, i primi rumori della vita febbrile che fuori del tempio si facevano sentire, sembravano soggiungere: «Giovani, che avete il sorriso dei vostri vent’anni, che fate? Perché rinunciare alla vita, alle vostre primavere fiorenti? Se volete coronarvi di rose, adhuc liberi estis, siete liberi ancora...». Ma quelle voci non trovavano eco nel nostro cuore giovanile. Un’altra voce echeggiava, unica, dominatrice, fascinatrice: «O candidi figli dell’ideale, avanti, avanti! Invocate l’aiuto di Dio!». Ci prostrammo allora faccia a terra; e, flebile come un lamento, s’alzò il canto delle litanie: «Kyrie eleison! Christe eleison! Signore, abbi pietà di noi! Cristo Gesù, abbi pietà di noi! Sancta Maria, ora pro eis! O Vergine Maria, prega per loro!». S’alzava la supplica ardente fra le lacrime nostre più tenere, più pure, più belle, - fra il pianto delle nostre mamme, che tanto avevano pregato e sofferto, e vedevano benedetto il sogno e la speranza... Il canto si diffondeva per le ampie navate; saliva su su, sino agli archi slanciati, sino alla cupola ardita, sino a Dio, per poi ricadere sui bianchi leviti commossi, come un augurio dolce di gioia celeste. Pochi momenti dopo, il campanone del Duomo diceva a Milano ridesta che un nuovo stuolo di giovani aveva giurato fedeltà al Re dei vergini. La voce del campanone si perdette certo fra l’indifferenza; ma chi l’avesse raccolta, avrebbe inteso tutta la poesia e la grandezza del sacerdozio, verso il quale, in quel mattino, noi procedevamo col cuore in festa.

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