Correva il secolo quinto della Chiesa cattolica e nell’Irlanda, all’epoca immersa nelle tenebre dell’idolatria e della più ottusa superstizione, venne mandato dal misericordiosissimo Dio un Apostolo, le cui fatiche e penitenze spaventano anche oggi l’immaginazione nostra. Intendiamo parlar di San Patrizio. Fin da quando era giovanissimo cadde nelle mani dei barbari, i quali gli affidarono il compito di governare le pecore, ed egli sopportò tante sofferenze con un coraggio sorprendente. Tuttavia, adesso, non vogliamo fare parola delle sue virtù praticate nei giorni della giovinezza, bensì di quelle esercitate quando la Provvidenza volle chiamarlo alla sublime dignità episcopale ed affidargli la grande opera d’evangelizzare l’Irlanda. Ecco qui, dunque! Sebbene Patrizio fosse scrupoloso osservatore anche dei più piccoli doveri del suo sacro ministero, nondimeno mai cessava dal pregare lungamente. Si ponga ben attenzione a quel che stiamo per narrare. Ogni giorno diceva non l’Uffizio, come debbono i sacerdoti, ma tutto il Salterio davidico, tutti gli inni e i cantici della Chiesa e duecento orazioni ancora. Trecento volte al giorno adorava Dio piegando a terra le ginocchia, e in ciascuna delle sette ore canoniche, nelle quali va diviso l’ufficio divino, egli cento volte faceva il segno della santa Croce. La notte, poi, la divideva in tre parti: - nella prima recitava cento Salmi del Salterio e piegava le ginocchia duecento volte; - nella seconda recitava gli altri cinquanta Salmi del Salterio stesso, immerso nell’acqua fredda e spesso gelata,tenendo il cuore, gli occhi e le mani rivolti al cielo; - nella terza, infine, prendeva un brevissimo sonno sopra una nuda pietra. Oggigiorno tutte queste orazioni non impauriscono la nostra immaginazione? Ma con tutte queste penitenze e lunghissime orazioni Patrizio arrivò sino ad una vecchiaia estrema. Noi delle volte soventi non recitiamo alla Madonna una terza parte del santo Rosario per paura di guastarci la salute! (La festa di San Patrizio non può essere la festa della birra e degli avvinazzati). (Tratto da Giacinto Belmonte cappuccino, Racconti miracolosi, 1887, con permesso dei Superiori, vol. II, pagine 350-351).

A cura di Carlo Di Pietro

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