Il grande San Luigi Gonzaga viene chiamato da tutti: «angelo in carne e uomo senza carne». Il munificentissimo Dio volle mostrare in Luigi i tesori più preziosi della Sua bontà e della sapienza Sua. Un solo peccato commise nella sua vita quell’«angelo in carne». Ecco qui il peccato. Quando era bambino rubò al padre pochi granelli di polvere da cannone e li bruciò per mero infantile divertimento. Ironizza il Padre Belmonte: «Non vi pare che sia questo un peccato grosso quanto il monte Bianco? Un bambino che ruba al padre suo un poco di polvere!». Eppure San Luigi credeva d’aver commesso un delitto degno della penitenza d’un anacoreta. Ai piedi del suo confessore s’accusava sempre di quel furto e l’accusa era fatta con lacrime cocentissime. Negli ultimi giorni della sua infermità egli volle riposare nel povero letto sempre sul lato destro, tanto che la spalla ne risentì, per pagare alla giustizia di Dio quel delitto. Oh i santi! Ma un portento che davvero sbalordisce in San Luigi fu la sua orazione mentale. Con volontà di ferro si propose nei primi anni della sua giovinezza di fare un’ora continua d’orazione mentale senza avere la minima distrazione. Cominciava a meditare e, se dopo cinque minuti, un quarto, una mezzora ed anche più si distraeva, egli ricominciava dall’inizio l’orazione. Accadde spesso nei primi anni dell’arduo esercizio che Luigi dovette stare in orazione mentale per sette e otto ore di seguito, giacché le distrazioni venivano sempre nel corso dell’ora della meditazione. Era un combattimento sublime, e se noi non fossimo tanto miserabilmente volti alle ciance e alle piccolezze del senso, dovremmo chiamare quel combattimento «più grande cento volte di quelli che sostennero nei campi di battaglia Alessandro, Cesare e Napoleone». Intanto con quell’esercizio, praticato con santa ostinazione per più anni, San Luigi arrivò al punto di non distrarsi più nella meditazione; anzi giunse alla condizione di vedersi sublimato in un’estasi divina appena cominciava la meditazione. Ecco le lotte dei santi! (Tratto da Giacinto Belmonte cappuccino, Racconti miracolosi, 1887, con permesso dei Superiori, vol. II, pagine 376 -377).

A cura di Carlo Di Pietro

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