Un giorno San Macario, tornando alla sua cella, incontrò il demonio, il quale brandiva un’orribile falce ed era tutto ardente d’indicibile rabbia. Che cosa intendeva fare quel demonio, per permissione di Dio, contro San Macario? Voleva segare a metà il povero Santo. Macario guardò quel mostro diabolico e dimostrò di non avere nessuna paura. Il demonio si adirò ancor di più per la reazione del Santo e gli si avvicinò per vibrargli il colpo mortale. Povero demonio! In un momento le forze gli vennero meno, la falce gli cadde di mano e fece la figura d’un terribile assassino disarmato da un fanciullo in le fasce. Tutto confuso e fuori di sè, allora si rivolse a Macario e gli disse: «Io patisco da te gran violenza, o Macario, perché desidero grandemente di nuocerti e non posso. Tu fai molto, ma io faccio quel che fai tu, e più ancora: tu digiuni spesso, ed io non mangio mai; tu dormi poco, ed io non conosco il sonno; tu sei casto, ed io non so le donne neppure per ombra. Però in una cosa sola mi vai innanzi, e questa è la tua grande umiltà. Se non avessi avuto siffatta umiltà, già da tempo ti avrei trascinato alla perdizione». Così detto, il demonio, urlando e fremendo, sparì. Gran Dio! Addirittura il demonio, dunque, venne costretto a fare le lodi dell’umiltà? E si richiedono altri pretestuosi argomenti per innamorarci perdutamente d’una virtù così sublime? Chi vuole salvarsi senza umiltà, è simile a colui che senza ali vuole affidarsi ad un gran volo. (Tratto da Giacinto Belmonte cappuccino, Racconti miracolosi, 1887, con permesso dei Superiori, vol. II, pagine 10-11).

A cura di Carlo Di Pietro

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