Chi l’avrebbe potuto immaginare! Quella Santa Elisabetta, ch’era la carità in persona, che faceva da madre a tutti gli sventurati, venne visitata da Dio con grandi sventure e si ridusse ad una miseria estrema. Quando aveva appena vent’anni il marito le morì in Otranto. Cominciarono allora le sue sventure. Il fratello del marito successe al trono ed ella venne spogliata di tutto, perfino delle private possessioni e proprietà. Coi piccoli figli dovette uscire a piedi dal castello di Vartborgo, che con tante virtù aveva santificato. Non pratica dei luoghi ed errando alla ventura, una notte prese stanza in un misero albergo. Sentendo da quell’albergo suonare la campana d’un convento di Francescani, la quale chiamava i Frati a salmeggiare in coro, ella si alza e corre alla chiesa a pregare. Quel convento era stato edificato da lei medesima. Quando il mattutino fu compito, fece chiamare il superiore e lo pregò di cantare con tutti i religiosi un Tedeum per ringraziamento al Signore. E di che Elisabetta intendeva ringraziare il Signore? Delle grandi tribolazioni che le aveva mandato! Grande anima! E delle tribolazioni quella giovine eroina non si sentiva mai sazia. Affidò i figliuoletti ad alcune persone caritatevoli, ed ella cominciò con gran pazienza a lavorare per lucrarsi uno scarso cibo. E lo scarso cibo, guadagnato col lavoro, Elisabetta lo partiva sempre coi poveri. Molti poveri però si erano rivolti contro di lei, perché non potevano avere l’elemosina abbondante di prima. Il fatto di una vecchia poi arrivò all’eccesso dell’ingratitudine e della malvagità più satanica. La Santa aveva in preferenza beneficata una vecchia, la quale in casa sua non aveva persona viva. Or accadde che la nostra Eroina un giorno incontrò quella brutta vecchiaccia sul passaggio sopra alcune acque negre, scolaticcie, assai limacciose e fetide. Subito la vecchiaccia venne presa da una stizza infernale, urtò la povera Elisabetta e la fece precipitare in quelle acque, gridando: «Tu che non hai voluto vivere da Duchessa, giaci ora in quell’acqua immonda». La mite e soave Duchessa s’alzò come potè meglio, e disse sorridendo: «In verità questo fango mi è più caro degli ornamenti dei miei giorni felici». Poi da sé andò a risciacquare le vesti in un vicino ruscello. - Sempre noi abbiamo la bocca aperta per lamentarci contro il Signore, quando Egli ci vuole mandare pietosamente qualche piccolissima mortificazione. Ricordiamoci tutti del Tedeum di Santa Elisabetta.

Da «Racconti Miracolosi», Padre Giacinto da Belmonte, 1887, Vol. II, pagine 63-65.

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