Poste le Premesse, che abbiamo analizzato nelle due scorse settimane, veniamo ad enunciare alcuni dei principali Articoli contenuti nello Statuto del Centro Politico Italiano, organizzazione che, nascente, si distinse già negli anni ’40 per la dichiarata difesa dei diritti di Dio (cf. Quas Primas, Pio XI) e della verità cristiana in politica e nella società d’Italia.

Diversamente dai tanti trasformisti al soldo della Rivoluzione, che facilmente passarono dalla camicia nera alla “resistenza partigiana”, la leadership del C.P.I., già durante il ventennio, si schierò contro la «statolatria pagana e quelle misure ostili al diritto naturale» del Fascismo (cf. Non abbiamo bisogno, Pio XI), dovendo operare talvolta in clandestinità. Ideologo del C.P.I. fu il compianto giurista Carlo Francesco D’Agostino, dunque vado ad elencare schematicamente il “suo” programma indicando, per ulteriori zelanti investigazioni, alcuni dei principali documenti di Magistero su cui poggiano i vari enunciati.

§ 1 dei Principii Direttivi: «(…) I diritti fondamentali dell’individuo sono anteriori alla esistenza ed alla volontà dello Stato, la cui altissima missione è di aiutare l’uomo a raggiungere i fini propri nella indispensabile partecipazione alla vita sociale».

§ 2 «I fini spirituali dell’uomo hanno la prevalenza su quelli temporali, e la Rivelazione cristiana, che ha dischiuso la nuova èra della civiltà, ne determina l’àmbito e le esigenze. La Società più perfetta, che sulle attuali rovine ed esperienze occorre ricostruire, può essere soltanto dunque una Società cristiana: di un cristianesimo però autentico, che è scuola di amore e di sacrificio, quello del Vangelo, che vive attraverso la perenne giovinezza della Chiesa, e che appunto perché afferma il primato dello spirituale fa un dovere di ricercare ed attuare la giustizia anche nell’ordine materiale: cristianesimo che le ragioni di questa giustizia pone nella interpretazione più alta dell’uguaglianza, che è la fraternità: e lo strumento adeguato per realizzarla, attraverso la dedizione di sé, vede nel dono che rende l’uomo più simile a Dio, quello della libertà» (cf. Libertas, Leone XIII).

§ 3 «La famiglia, sorgente e custode della vita, è la base dell’ordinamento politico e la istituzione primordiale per la istruzione e la educazione dell’uomo. Lo Stato deve quindi difenderla contro ogni attentato alla sua unità ed alla sua missione, deve favorirla nell’esplicazione dei suoi compiti e supplirla, in collaborazione con la Chiesa, nelle sue deficienze». D’Agostino al § 3 si lascia guidare dalla Casti Connubii di Papa Pio XI d’immortale memoria: «Quanti difendono strenuamente l’inviolabile saldezza del matrimonio, si rendono grandemente benemeriti sia del bene privato dei coniugi e della prole, sia del bene pubblico dell’umana società. (…) La famiglia è più sacra dello Stato, e gli uomini, anzitutto, sono procreati non per la terra e per il tempo, ma per il cielo e per l’eternità. (…) Importa moltissimo alla pubblica autorità che il matrimonio e la famiglia siano bene costituiti, ma anche per quanto concerne i beni propri delle anime: il sancire cioè giuste leggi, che riguardino la fedeltà della castità e il mutuo aiuto dei coniugi e cose simili, e la loro fedele osservanza, giacché, come insegna la storia, la salvezza dello Stato e la prosperità della vita temporale dei cittadini non possono restare salde e sicure, ove vacilli il fondamento su cui si appoggiano, che è il retto ordine morale».

§ 4 «Il lavoro (…), in una Società che pretenda ad un minimo di rispetto il lavoratore onesto e sobrio, che adempie coscienziosamente i suoi doveri, deve poter trovare nel suo lavoro, per mezzo dell’organizzazione sociale, i mezzi sufficienti per far vivere ed allevare la famiglia, e, normalmente, per formarsi un piccolo patrimonio famigliare». In questo caso il C.P.I. intende realizzare in politica le sapienti direttive della Rerum novarum del sapientissimo Pontefice Leone XIII: «Quando l’operaio riceve un salario sufficiente a mantenere sé stesso e la sua famiglia in una certa quale agiatezza, se egli è saggio, penserà naturalmente a risparmiare e, assecondando l’impulso della stessa natura, farà in modo che sopravanzi alle spese una parte da impiegare nell’acquisto di qualche piccola proprietà. Poiché abbiamo dimostrato che l’inviolabilità del diritto di proprietà è indispensabile per la soluzione pratica ed efficace della questione operaia. Pertanto le leggi devono favorire questo diritto, e fare in modo che cresca il più possibile il numero dei proprietari. Da qui risulterebbero grandi vantaggi, e in primo luogo una più equa ripartizione della ricchezza nazionale. La rivoluzione (massonica, socialista e liberale, ndR) ha prodotto la divisione della società come in due caste, tra le quali ha scavato un abisso. Da una parte una fazione strapotente perché straricca, la quale, avendo in mano ogni sorta di produzione e commercio, sfrutta per sé tutte le sorgenti della ricchezza, ed esercita pure nell’andamento dello Stato una grande influenza. Dall’altra una moltitudine misera e debole, dall’animo esacerbato e pronto sempre a tumulti. Ora, se in questa moltitudine s’incoraggia l’industria con la speranza di poter acquistare stabili proprietà, una classe verrà avvicinandosi poco a poco all’altra, togliendo l’immensa distanza tra la somma povertà e la somma ricchezza».

(§ tratti da Nuova Alleanza, Quaderno VIII, pag. 24 segg.). Prosegue …

Carlo Di Pietro da Il Roma