Il Comitato Direttivo del Centro Italiano nel 1952 decise di riconfermare la propria fedeltà ai Principi Direttivi quali risultavano dall’Indirizzo Programmatico del dicembre 1943, data di fondazione del Partito. Vado ad enunciare alcuni punti di detto Programma applicativo elaborato nelle riunioni del marzo 1952. Ricordo ai gentili Lettori che stiamo analizzando questi scritti nell’intenzione dare un contributo alla restaurazione di una politica cattolica in Italia: quasi del tutto estinta per colpa della mistificazione “Democristiana” in permanente combutta con la setta dei “Social-Comunisti” e successive evoluzioni.

§ 1 Il Comitato ha affrontato in primo luogo la questione della forma di governo: «ha convenuto che non può ritenere legittimamente decaduto il potere di Sua Maestà il Re». Propugna pertanto «il riconoscimento del diritto al trono di Sua Maestà nell’ambito di una piena restaurazione cristiana dello Stato». Abbiamo già imparato come intenda il C.P.I. armonizzare il ritorno del Re e la vigente democrazia, o dichiarata tale. 

§ 2  «Le amministrazioni dei Comuni vanno riformate, sostituendo all’attuale ordinamento l’istituzione di Sindaci di nomina statale, assistiti da un Comitato consultivo e di controllo, elettivo. Un medesimo Sindaco potrà essere incaricato dell’amministrazione di più Comuni finitimi nelle zone rurali. I Sindaci saranno tratti da un apposito ruolo statale con larga partecipazione di membri non retribuiti scelti tra cittadini ritenuti degni della carica. Con gli stessi princìpi vanno amministrate le Provincie e le Regioni, le quali debbono avere competenza solo per i problemi di carattere (proprio), esclusa ogni funzione politica e legislativa».

§ 3 «Il cittadino, nello Stato, ha dei diritti, ma anche, importantissimi, dei doveri. Tra questi quello di essere pronto al richiamo della Patria per le necessità della difesa militare e della tutela dei diritti della Nazione nel Mondo. Questo dovere il cittadino deve sentire non come un peso, ma come un onore ed una garanzia per i suoi stessi interessi. Nella sua esplicazione deve pertanto essere animato da un profondo sentimento di amor di Patria (…). Tuttavia, ferma restando la consapevolezza della necessità che un tale spirito patriottico e senso di dovere animino ogni Italiano», il C.P.I. ritiene «più confacente agli interessi stessi di un’efficiente organizzazione militare e di una effettiva preparazione tecnica il sistema dell’Esercito professionale in confronto a quello della Leva annuale obbligatoria, che si può dubitare leda anche i diritti fondamentali della personalità individuale. Propugna quindi: l’abolizione della leva militare obbligatoria; l’istituzione di un Esercito professionale permanente per la difesa terrestre, marittima ed aerea; l’obbligo per tutti i cittadini di acquisire, e successivamente aggiornare, un grado di addestramento militare che dia sufficiente garanzia per le necessità della Patria in caso di emergenza. Lo Stato istituirà liberi corsi di addestramento e rigorosi periodici esami per accertare il grado di preparazione tecnico-militare dei singoli cittadini».

§ 4 «Ad eliminare gl’inconvenienti della dittatura statale nel settore culturale, fonte altresì di gravi oneri fiscali», il C.P.I. propugna «la revoca del riconoscimento statale dei titoli di studio (che hanno praticamente sostituito la tessera del P.N.F., ndR), con la conseguente graduale soppressione della scuola di Stato. L’obbligo dei genitori di procurare ai figli un minimo di istruzione dovrà comportare per gli inadempienti gravi sanzioni. Un largo sistema di borse di studio assicurerà la valorizzazione di quei giovani, privi di mezzi, che rivelino speciali capacità. Una severa disciplina degli esami di Stato, dei concorsi e delle prove di pratica professionale dovrà regolare l’ammissione agli impieghi pubblici ed all’esercizio delle professioni».

§ Il C.P.I. prevede inoltre: «Abolizione dell’arresto preventivo, eccettuati il caso di flagranza e, su ordine dell’Autorità giudiziaria, di particolari necessità di difesa sociale; invalidità della confessione del prevenuto; sostituzione della formula di assoluzione per insufficienza di prove con quella per non provata reità; ristabilimento della pena del carcere per le insolvenze colpose; erezione a reato della contumacia in sede penale e della latitanza; massima estensione delle pene pecuniarie in sostituzione di quelle detentive, regolandone l’ammontare in proporzione della condizione patrimoniale del reo; devoluzione al Tesoro dello importo delle pene pecuniarie, destinandole alle necessità del bilancio della Giustizia; rimborso delle spese e dei danni agli imputati prosciolti; ineseguibilità delle sentenze penali non definitive, nel caso di condanna a pene detentive; soppressione della sospensione condizionale della condanna; obbligo del lavoro per tutti i carcerati, accompagnato da una profonda revisione del sistema penitenziale, ispirata al criterio di tendere alla rieducazione morale, culturale e religiosa dei condannati; pubblicità a cura dello Stato delle sentenze di assoluzione; adeguamento dei ruoli della Magistratura e controllo di responsabilità per ritardata amministrazione della Giustizia; estensione dei poteri dei Giudici di vigilanza al fine della riduzione o trasformazione di pena per i condannati che risultino moralmente rieducati; abolizione del principio della irresponsabilità amministrativa da parte degli Ufficiali ed Agenti della Polizia giudiziaria, contro i quali lo Stato potrà rivalersi delle somme che a sua volta dovrà riconoscere ai privati per danni indebitamente provocati dalle attività di Polizia; revoca di tutta la legislazione discriminativa, in ogni tempo emessa, ispirata ad intenti di sopraffazione politica». Prosegue …

Carlo Di Pietro da Il Roma