La scorsa settimana dicevamo - con San Pietro (At., V, 29) e con San Paolo (Ai Rom., XIII, 1-7) - che uno dei doveri più certi è «rispettare l’Autorità ed obbedire alle leggi giuste», tuttavia «dove il diritto di comandare è assente o dove si prescrive alcunché di contrario alla ragione, alla legge eterna, alla sovranità di Dio, è giusto non obbedire agli uomini per obbedire a Dio» (cf. Papa Leone XIII, «Libertas», 20.6.1888 ed altrove).
Per meglio capire l’aspetto precipuamente morale, ma anche pratico, ci faremo aiutare dal Roberti-Palazzini («Dizionario di Teologia morale», Studium, Roma, Imprimatur 1957, pagg. 1243-35).
La «resistenza al potere illegittimo od agli abusi dei pubblici poteri può essere passiva o attiva». La resistenza passiva «si limita a non obbedire». Che questo «sia lecito - attesta il Manise - non è messo in dubbio da nessun moralista». Difatti: «La legge è una prescrizione ordinata secondo ragione per il bene della comunità, ed una legge ingiusta non è una legge, ma un’ingiustizia». Concludiamo: «Chi disobbedisce ad un potere (civile) ingiusto od emanante una legge ingiusta non nega il principio di autorità nella sua subordinazione al legittimo potere». Anzi: «La disobbedienza ad una legge ingiusta diventa un dovere ogni volta che una legge prescriva atti contro la legge naturale o la legge positiva divina od ecclesiastica, dovendosi obbedire, come insegna l’Apostolo, prima a Dio che agli uomini (At., V, 29)». Difatti se questo «dovere della resistenza passiva alle leggi ingiuste fosse praticato da tutto un popolo, si avrebbe una barriera fortissima contro ogni abuso del pubblico potere».
Risposta o reazione da non confondere con la sedizione, la ribellione e la rivolta: di cui già si è detto utilizzando ordinariamente parole di ferma condanna (es. in La Rivoluzione, in Catechismo sulle Rivoluzioni ed altrove).
Agli abusi dell’Autorità civile «è lecito opporre una resistenza anche attiva, senza con ciò venir meno al rispetto ed all’obbedienza». Per approfondire: «Nessuno può negare la liceità della resistenza compiuta entro i limiti della legalità». Ma quando «i mezzi esclusivamente legali non bastano, può essere giustificata anche una resistenza fuori dell’ambito della legge civile, ossia fatta con mezzi non sanciti né approvati dalla legislazione di uno Stato». La legge civile, difatti, «non è l’unica norma della moralità, né tutto il lecito è anche legale». La legge «non può concedere tutto né tutto negare, mentre invece può (accadere che essa conceda o neghi) senza ragione o contro la legge naturale e quella eterna». È d’uopo, pertanto, distinguere «il legale o l’illegale dal legittimo e dall’onesto».
Ci possono essere «casi in cui sia lecita anche la resistenza con la forza all’esecuzione di leggi ingiuste, quando cioè non vi siano altri mezzi di difesa». Anche ai cristiani «è lecito difendersi, né bisogna confondere la difesa con la violenza».
Prosegue il Roberti-Palazzini: «Gli abusi del pubblico potere sono violazioni del diritto, ingiustizie, soprusi, atti di forza, aggressioni, contro cui si fa una resistenza non aggressiva, ma difensiva». Se, per ipotesi, «l’unica resistenza efficace contro l’aggressione è il ricorso alla forza, anche questo, esperiti tutti gli altri mezzi, può essere lecito». L’individuo, la famiglia e la società, come ci è noto, hanno «diritti anteriori e superiori a quelli del potere civile».
Che dire della rivolta politica? Cito: «Un potere che abitualmente emana leggi gravemente ingiuste ed arbitrarie è un governo tirannico». Ci domandiamo: È lecita la rivolta per eliminarlo? I moralisti rispondono: «La questione presenta gravi difficoltà d’ordine più pratico che teorico. Innanzitutto è assai difficile stabilire quando un potere si oppone completamente ed evidentemente al bene comune, e quindi perde la sua legittimità, per cui sorge il diritto ed il dovere della difesa della salute pubblica». È evidente che, «ammesso il diritto all’azione diretta (...) ogni volta che i cittadini disapprovano l’opera dei pubblici poteri, si avrebbe la guerra civile in permanenza». E questo è un grave male che arrecherebbe più danno alla società che giovamento (cf. «Diuturnum Illud» ed altrove).
«Nel Medioevo, quando l’Europa era cristiana, esisteva un potere morale superiore agli Stati nella persona del Papa, il quale non deponeva, come si suol dire erroneamente, i sovrani, ma constatava e dichiarava che un sovrano era divenuto illegittimo a causa della sua tirannia e che non aveva più diritto all’obbedienza». Nella società moderna, «non essendo (più) riconosciuto ed accettato questo giudice supremo dei fatti morali, è estremamente difficile giudicare in modo indubbio, quando il regime perde il diritto di governare per abuso di potere».
Sorgerebbe un’altra questione: quella della Sede di San Pietro occupata solo materialmente da decenni, evidentemente in stato di privata autorità. Diciamo solo che i “padrini” della Rivoluzione hanno, per il momento, portato a compimento il loro proposito più arduo e funesto (cf. «Istruzioni dell’Alta Vendita»).
Torniamo al tema: «Occorre che il pericolo della salute pubblica sia veramente grave ed immediato e che non esista altro mezzo di resistenza». Ancora: «Occorrono una solida speranza di esito favorevole ed una fondata previsione che i vantaggi compensino i danni». In ultimo: «La rivolta è un grave turbamento dell’ordine sociale, con facili eccessi e con pericoli di creare mali peggiori; perciò deve essere usato - (diciamo dai giusti) - come mezzo estremo di difesa sociale e solo quando è indispensabile per la salute pubblica».
Ci basti riflettere sui gravissimi e quasi insanabili mali che, per esempio, la Rivoluzione francese ha arrecato al genere umano, per capire quanto sia preferibile resistere sì alla misura iniqua, e solo se è veramente tale, con tanta prudenza e preghiera.
Carlo Di Pietro da Il Roma