Insegna Papa Leone XIII, Sapientiae christianae, 10.01.1890: «La legge è il dettame della retta ragione dalla legittima autorità promulgato e non vi è legittima autorità se non deriva da Dio sommo Re e Signore di tutte le cose, che solo può dare a un uomo sugli altri l’impero».

Nella Au milieu des sollicitudes, 16.02.1892, lo stesso Sommo Maestro di Dottrina sociale attesta e decreta: «Governi politici diversi si sono succeduti: imperi, monarchie, repubbliche. Rimanendo sul terreno delle astrazioni, si arriverebbe a stabilire quale di queste forme sia la migliore, considerandole in loro stesse; si può anche veritieramente riconoscere che ciascuna di queste forme è buona, purché sappia andar dritto al suo fine, e cioè al bene comune, per il quale è costituita l’autorità sociale; conviene aggiungere, infine, che da un punto di vista relativo l’una o l’altra forma di governo può essere preferibile in quanto si adatti meglio al carattere ed ai costumi di una o altra particolare Nazione. In questo ordine speculativo di idee i cattolici, come ogni altro cittadino, hanno piena libertà di preferire una forma di governo piuttosto che un’altra, appunto perché nessuna di esse, per se stessa, si oppone alle esigenze di una sana ragione e neppure alle massime della dottrina cristiana. Quando dalle astrazioni si scende sul terreno dei fatti, occorre star bene in guardia a non rinnegare i principii or ora stabiliti; essi permangono irremovibili. Incarnandosi però nei fatti si rivestono di un carattere di contingenza determinato dal contorno in cui si verifica la loro applicazione. In altre parole, se ogni forma politica per se stessa è buona, e può essere messa in atto nel governo dei popoli, tuttavia in fatto il potere politico non lo si riscontra sotto una medesima forma presso tutti i popoli; ciascuno ne ha una sua propria. Questa forma nasce dall’insieme delle circostanze storiche o nazionali, pur sempre umane, che fanno sorgere in una nazione le sue leggi tradizionali, anche fondamentali: da queste si trova determinata la forma particolare di governo e la regola di trasmissione dei supremi poteri».

Ed ancora, nella Notre consolation del 3.05.1892, spiega: «In politica, più che altrove, si verificano cambiamenti inattesi. Monarchie colossali crollano o si smembrano: dinastie soppiantano dinastie: sulle forme politiche adottate altre se ne costituiscono, come nel nostro secolo se ne sono avuti sovrabbondanti esempi. Questi cambiamenti, nella loro origine, sono ben lungi dall’essere sempre legittimi: è anzi difficile che lo siano. Tuttavia il criterio supremo del bene comune e della pubblica tranquillità esige che si accettino questi nuovi regimi stabilitisi di fatto, succeduti ai precedenti governi che, di fatto, non più sussistono. Per tal via le regole ordinarie della trasmissione dei poteri (civili, ndR) restano sospese, e possono anche, col tempo, restare definitivamente abolite. Comunque si giudichino queste trasformazioni straordinarie nella vita dei Popoli, di cui a Dio spetta calcolare le leggi ed all’uomo trarre partito dalle conseguenze, l’onore e la coscienza tuttavia esigono, in qualsiasi situazione, una subordinazione sincera ai governi costituiti; essa è dovuta in nome di quella sovrana, indiscutibile, inalienabile norma detta “la ragione del bene sociale”. Dove andrebbero a finire onore e coscienza se fosse permesso al cittadino di sacrificare il beneficio della pubblica tranquillità alle sue vedute personali ed ai suoi legami di partito?».

Nessuna utopia, dunque, ma: a) Distinguiamo l’origine di questi cambiamenti (possibili nella società squisitamente umana); b) Prendiamo atto del fatto;  c) Seguiamo la norma della ragione del bene sociale. La storia degli ultimi tre secoli - dopo gli stravolgimenti provocati dalle inique Rivoluzioni - certifica, all’atto pratico, quale debba essere ordinariamente la risposta del buon cristiano. Nei precedenti articoli già si è detto come, in che modo ed entro quali limiti è lecito muoversi.

Finalmente: «Coloro che sono intimamente convinti dello spirito cristiano, sentono come obbligo di coscienza di dover obbedire all’autorità legittima e di rispettare i diritti di chicchessia; questa disposizione di animo è il più efficace mezzo per recidere alla radice ogni disordine, ogni violenza, tutte le ingiustizie, il desiderio di novità, l’odio fra i diversi ordini sociali…» (Leone XIII, Auspicato concessum, 17.09.1882). Cfr. Dizionarietto di Dottrina politica dei Papi (Ed. L’alleanza italiana, 1960, Vol. 1, pag. 23 segg.).

Carlo Di Pietro da Il Roma