La dottrina della Chiesa - insegna Papa Pio XI dopo aver dimostrato «gli errori e le pestilenze del Comunismo» - è l’unica che possa «apportare vera luce, come in ogni altro campo, così anche nel campo sociale, e possa recare salvezza di fronte all’ideologia comunista. Ma bisogna che tale dottrina passi sempre più nella pratica della vita». Continuo ad utilizzare la solenne inappellabile Divini Redemptoris del 19.03.1937.

Quello che «più urge al presente è adoperare con energia gli opportuni rimedi per opporsi efficacemente al minaccioso sconvolgimento che si va preparando». Il Pontefice si domanda: «Che cosa bisogna fare, di quali rimedi servirsi per difendere Cristo e la civiltà cristiana contro quel pernicioso nemico?». Risponde: «Il fondamentale rimedio è un sincero rinnovamento di vita privata e pubblica secondo i (veri) princìpi del Vangelo in tutti coloro che si gloriano di appartenere all’Ovile di Cristo, affinché siano veramente il sale della terra che preservi la società umana da una tale corruzione».

Pio XI prosegue: «Anche in paesi cattolici, troppi sono coloro che sono cattolici quasi solo di nome; troppi coloro che, pur seguendo (chi più e chi meno) le pratiche più essenziali della religione che si vantano di professare, non si curano di conoscerla meglio, di acquistarne una più intima e più profonda convinzione, e meno ancora di far sì che all’esterna vernice corrisponda l’interno splendore di una coscienza retta e pura, che sente e compie tutti i suoi doveri sotto lo sguardo di Dio».

Dunque: «Chi non vive veramente e sinceramente secondo la fede (cristiana), non potrà oggi, mentre tanto gagliardo soffia il vento della lotta e della persecuzione, reggersi a lungo, ma verrà miseramente travolto da questo nuovo diluvio che minaccia il mondo, e così mentre si prepara da sé la propria rovina, esporrà al ludibrio anche il nome cristiano».

Il Sommo Pontefice insiste su due particolari «insegnamenti di Gesù-Cristo che hanno speciale connessione con le attuali condizioni del genere umano»: 1) Il distacco dai beni terreni; 2) Il precetto della carità.

Espone il primo punto: «I ricchi non devono porre nelle cose della terra la loro felicità né indirizzare al conseguimento di quelle i loro sforzi migliori; ma, considerandosene solo come amministratori che sanno di doverne rendere conto al supremo Padrone, se ne valgano come di mezzi preziosi che Dio loro porge per fare del bene; e non lascino di distribuire agli (onesti) poveri quello che loro avanza, secondo il precetto evangelico». Mentre «i poveri, a loro volta, pur adoperandosi secondo le leggi della carità e della giustizia a provvedersi del necessario e anche a migliorare la loro condizione, devono sempre rimanere essi pure “poveri di spirito”, stimando più i beni spirituali che i beni e i godimenti terreni». Non dimentichiamo che «non si riuscirà mai a fare scomparire dal mondo le miserie, i dolori, le tribolazioni, alle quali sono soggetti anche coloro che all’apparenza sembrano più fortunati». Quindi, «per tutti è necessaria la pazienza cristiana che solleva il cuore alle divine promesse di una felicità eterna». Non si tratta di «una consolazione e una promessa vana come sono le promesse dei comunisti»;bensì «sono parole di vita che contengono una somma realtà e che si verificano pienamente qui in terra e poi nell’eternità».

Il Papa espone il secondo punto: «Ancora più importante, come rimedio del male di cui trattiamo, o certo più direttamente ordinato a risanarlo, è il precetto della carità (da non confondere con la filantropia massonica, col cosiddetto buonismo o col miserabilismo fariseo dei modernisti che oramai occupano quasi tutte le nostre chiese, ndR)». Per assicurarsi la vita eterna e poter soccorrere gli indigenti con efficacia, «è necessario ritornare ad una vita più modesta; rinunziare ai godimenti, spesso anche peccaminosi, che il mondo oggi offre in tanta abbondanza; dimenticare se stesso per l’amore del prossimo. Una divina forza rigeneratrice si trova in questo “precetto nuovo” di carità cristiana, la cui fedele osservanza infonderà nei cuori un’interna pace sconosciuta al mondo, e rimedierà efficacemente ai mali che travagliano l’umanità». Tuttavia «la carità - ammonisce il Pontefice - non sarà mai vera carità se non terrà sempre conto della giustizia. L’Apostolo insegna che “chi ama il prossimo, ha adempiuto la legge”; e ne dà la ragione: “poiché il Non fornicare, Non uccidere, Non rubare, … e qualsiasi altro precetto, si riassume in questa formula: Amerai il tuo prossimo come te stesso”». Se dunque, «tutti i doveri si riducono al solo precetto della vera carità, anche quelli che sono di stretta giustizia, come (per esempio) il non uccidere e il non rubare; una carità che privi l’operaio del salario a cui ha stretto diritto, non è carità, ma un vano nome e una vuota apparenza di carità. Né l’operaio ha bisogno di ricevere come elemosina ciò che a lui tocca per giustizia; né si può tentare di esimersi dai grandi doveri imposti dalla giustizia con piccoli doni di misericordia. Carità e giustizia impongono dei doveri, spesso circa la stessa cosa, ma sotto diverso aspetto».

La carità pretende «la giustizia sociale, che impone anch’essa dei doveri a cui non si possono sottrarre né i padroni né gli operai. Ed è appunto proprio della giustizia sociale l’esigere dai singoli tutto ciò che è necessario al bene comune» [Cfr. Dizionarietto di Dottrina politica dei Papi (Ed. L’alleanza italiana, 1960, Vol. 1, pag. 169 segg.)].

Carlo Di Pietro da Il Roma