La scorsa settimana scrivevo (con la Divini Redemptoris di Papa Pio XI) che, «oltre alla giustizia commutativa (di cui si è parlato), vi è pure la giustizia sociale, che impone anch’essa dei doveri a cui non si possono sottrarre né i padroni né gli operai». Socialismo e Comunismo divampano, millantando miglioramenti economici per eccitare gli animi, soprattutto in quei luoghi dove vizi diffusi ed infedeltà dei singoli, o addirittura dell’intera collettività, hanno fortemente aggredito la «giustizia sociale». È proprio della giustizia sociale «l’esigere dai singoli tutto ciò che è necessario al bene comune. Ma come nell’organismo vivente non viene provvisto al tutto, se non si dà alle singole parti e alle singole membra tutto ciò di cui esse abbisognano per esercitare le loro funzioni; così non si può provvedere all’organismo sociale ed al bene di tutta la società se non si dà alle singole parti ed ai singoli membri, cioè uomini dotati della dignità di persone, tutto quello che devono avere per le loro funzioni sociali».

Se si soddisferà anche alla giustizia sociale, oltre che alla commutativa, «un’intensa attività di tutta la vita economica svolta nella tranquillità e nell’ordine ne sarà il frutto e dimostrerà la sanità del corpo sociale, come la sanità del corpo umano si riconosce da una imperturbata e insieme piena e fruttuosa attività di tutto l’organismo». Tuttavia, prosegue il Sommo Pontefice, «non si può dire di aver soddisfatto alla giustizia sociale se gli operai non hanno assicurato il proprio sostentamento e quello delle proprie famiglie con un salario proporzionato a questo fine; se non si facilita loro l’occasione di acquistare qualche modesta fortuna, prevenendo così la piaga del pauperismo universale; se non si prendono provvedimenti a loro vantaggio, con assicurazioni pubbliche o private, per il tempo della loro vecchiaia, della malattia o della disoccupazione».

Papa Pio XI ribadisce quanto aveva già insegnato nella Quadragesimo anno: «(Solo così) l’economia sociale veramente sussisterà e otterrà i suoi fini, quando a tutti e singoli i soci saranno somministrati tutti i beni che si possono apprestare con le forze e i sussidi della natura, con l’arte tecnica, con la costituzione sociale del fatto economico; i quali beni debbono essere tanti quanti sono necessari sia a soddisfare ai bisogni e alle oneste comodità (sottolineo ONESTE), sia a promuovere gli uomini a quella più felice condizione di vita, che, quando la cosa si faccia prudentemente (sottolineo PRUDENTEMENTE), non solo non è d’ostacolo alla virtù, ma grandemente la favorisce».

Se poi, «come avviene sempre più frequentemente nel salariato, la giustizia non può essere osservata dai singoli, se non a patto che tutti si accordino a praticarla insieme mediante istituzioni che uniscano tra loro i datori di lavoro, per evitare tra essi una concorrenza incompatibile con la giustizia dovuta ai lavoratori, il dovere degli impresari e padroni è di sostenere e di promuovere (quelle) istituzioni necessarie, che diventano il mezzo normale per poter adempiere i doveri di giustizia». Ma «anche i lavoratori si ricordino dei loro obblighi di carità e di giustizia verso i datori di lavoro, e siano persuasi che con questo salvaguarderanno meglio anche i propri interessi».

Se, dunque, si considera «l’insieme della vita economica, - come già notato nella Quadragesimo anno, - non si potrà far regnare nelle relazioni economico-sociali la mutua collaborazione della giustizia e della carità, se non per mezzo di un corpo di istituzioni professionali e interprofessionali su basi solidamente cristiane, collegate tra loro e formanti, sotto forme diverse e adattate ai luoghi e circostanze, quello che si diceva la Corporazione»  [Cfr. Dizionarietto di Dottrina politica dei Papi (Ed. L’alleanza italiana, 1960, Vol. 1, pag. 172 segg.)].

Avendo parlato di Corporazione, devo necessariamente introdurre il concetto di Corporativismo cristiano, da non confondere col suo simulacro fascista. Il Roberti-Palazzini (Dizionario di teologia morale) ci dice che «è il programma di ricostruzione della società approvato solennemente dalla Chiesa (per esempio in Rerum novarum, Leone XIII ...) principalmente per porre rimedio alla proletarizzazione dei ceti più umili, prodotta dalla cosiddetta rivoluzione industriale, a cagione delle ideologie liberistiche che presiedettero al suo svolgimento».

Il Corporativismo viene elaborato come rimedio cristiano al «malessere sociale conseguenza di flagranti ingiustizie» e poggia «sulla certezza dogmatica della radicale inclinazione al male dell’uomo, che tende ad inquinare, oltreché le sue azioni individuali, anche quelle istituzionali». Il compito delle Corporazioni (associazioni miste di datori di lavoro e di lavoratori) era quello di «ricreare l’amicizia (ereditata dal luminoso Medio Evo e distrutta delle Rivoluzioni) fra i singoli membri della società allo scopo di una difesa unitaria dei loro (onesti) interessi, dell’assistenza mutua morale e materiale, e soprattutto della rinascita dello spirito di corpo (di cui ci ha parlato Pio XI)», ponendo «una solida base strutturale per la costituzione degli essenziali organismi politici».

È evidente che la Chiesa usa la carità (ricreare la vera amicizia) come soluzione del problema della cosiddetta “questione sociale”, mentre Socialismo e Comunismo poggiano sull’odio (lotta di classe): anche la storia recente ha attestato ed attesta inequivocabilmente le ragioni della Chiesa cattolica (ossia antimodernista) e gli orribili errori delle «pestilenziali utopie atee e materialiste».  

Carlo Di Pietro da Il Roma