L’usura è un male largamente diffuso nell’epoca contemporanea. Nelle Nazioni cosiddette laiche - ovvero nei luoghi in cui si pretende legiferare contro le disposizioni del divino Creatore e contro la legge di natura, come se Dio non esistesse - l’oppressione dei poveri e degli inermi è troppo spesso favorita da legislazioni inique: pertanto diventa ostico colpire l’usuraio come si dovrebbe e difficilissimo garantire la giustizia e l’ordine sociale. La «Teologia morale» Roberti-Palazzini (Studium, Roma, Imprimatur 1957, dalla pagina 1512) ci dice che l’usura è illecita e peccato grave.

Distinguiamo l’usura aperta: «quando viene espressamente richiesta per il prestito»; dall’usura nascosta: «quando è celata in un altro contratto, che contiene il prestito, per il quale si chiede il guadagno». L’usura formalmente è «un peccato contro la giustizia commutativa e perciò porta con sé il dovere della restituzione». Il peccato di usura è «uguale al furto, perciò la quantità della materia si determina nello stesso modo come nel furto».

Gli usurai sono, dunque, «obbligati per giustizia a restituire i guadagni avuti dall’usura ai debitori oppure ai loro eredi». Se questi eredi sono sconosciuti o sono deceduti, «gli usurai sono obbligati a distribuire il guadagno ai poveri o alle cause pie, e lo stesso dovere hanno gli eredi degli usurai secondo il valore dell’eredità». Chi, avendone la facoltà, non restituisce, non è realmente pentito e non può salvarsi. Lo stesso dicasi per altra tipologia di truffatori!

L’essenza dell’usura consiste «nell’accettazione del guadagno del puro prestito», o, in senso più largo, è «l’abuso dell’indigenza del prossimo. In questo senso si parla del prezzo usuraio, dei salari usurai». L’usura è proibita dal diritto naturale, poiché è «contraria alla giustizia commutativa». È un grave peccato «sia che si faccia il prestito ai poveri, sia che lo si dia ai ricchi. Se si tratta dei poveri, c’è in più anche un peccato contro la carità».

Il Concilio di Vienna (1315) stabilisce che «deve essere punito come eretico chi si ostina ad affermare che l’usura non è un peccato» (Denzinger, n° 479). Papa Benedetto XIV nella «Vix pervenit» (1745) definisce: «Quel genere di peccato che si chiama usura, e che nell’accordo di prestito ha una sua propria collocazione e un suo proprio posto, consiste in questo: ognuno esige che del prestito (che per sua propria natura chiede soltanto che sia restituito quanto fu prestato) gli sia reso più di ciò che fu ricevuto; e quindi pretende che, oltre al capitale, gli sia dovuto un certo guadagno, in ragione del prestito stesso. Perciò ogni siffatto guadagno che superi il capitale è illecito ed ha carattere usuraio». Ancora: «Il vizio vergognoso dell’usura è aspramente riprovato dalle Lettere Divine. Esso veste varie forme e apparenze per far precipitare di nuovo nella estrema rovina i Fedeli restituiti alla libertà e alla grazia dal sangue di Cristo; perciò, se (i Fedeli) vorranno collocare il loro denaro, evitino attentamente di lasciarsi trascinare dall’avarizia che è fonte di tutti i mali».

Il Codex iuris canonici del 1917 - ultimo prima della Sede formalmente vacante - al can. 1543 sanziona: «Se un bene mobile viene dato a qualcuno in proprietà perchè lo restituisca più tardi nello stesso genere, da questo contratto non è permesso accettare nessun guadagno ratione ipsius contracti». Solo in alcuni casi - quando, cioè, l’interesse diventa il giusto prezzo del servizio reso col prestito di capitali - non è illecito «di mettersi d’accordo su un guadagno ammesso dalla legge, eccetto che non consti che questo è immoderato» (Ivi.).

L’usura non è solamente un peccato, ma nel  mentovato Codex è considerata anche come delitto. Cito: «Un laico che è stato legittimamente condannato per omicidio, usura, rapina è escluso di diritto dagli atti legittimi ecclesiastici e da qualsiasi ufficio che possa avere nella Chiesa; inoltre gli resta il dovere di riparare i danni» (can. 2354 § 1).

Dicevamo - con il Roberti-Palazzini - che in alcuni casi è lecito un interesse: «Quattro circostanze esterne, cioè: danno emergente, lucro cessante, rischio della cosa, pericolo di dilazione, hanno valore economico e quindi possono, verificandosi di fatto, costruire altrettanti titoli al diritto di proporzionato compenso, oltre la restituzione della cosa. Soltanto titoli estrinseci al mutuo, quando davvero si verificano, possono giustificare il diritto-dovere degli interessi e determinarne la giusta misura». 

Come si è appreso, il Codex (can. 1543) «ammette dunque la possibilità di interesse, se lo esige un titolo giusto e proporzionato». Tuttavia «il Codex non stabilisce una norma precisa per indicare la misura dell’interesse; generalmente si può accettare come tasso lecito quello ritenuto tale dal giudizio comune degli uomini prudenti, in rapporto alle condizioni industriali e commerciali del luogo; al di là si ha l’usura».

La Chiesa - prima dell’occupazione dei modernisti - ha negato agli usurai impenitenti anche la degna sepoltura.

Papa Leone XIII ci dice che, nell’epoca moderna, «accrebbe il male un’usura divoratrice che, sebbene condannata tante volte dalla Chiesa, continua lo stesso, sotto altro colore, a causa di ingordi speculatori» (Rerum novarum, 1891). Attualmente interi Popoli - guidati ordinariamente da inetti governi che svolgono funzioni pressoché ragionieristiche - sono strangolati da “debiti usurai” contratti con moderne entità sovranazionali di dubbia legittimità e gestite da soggetti poco inclini al lavoro.

Carlo Di Pietro da Il Roma