Teologia Politica n° 38. Obiezione numero sei. Chi non è Cattolico non può accettare la Dottrina sociale della Chiesa

La sesta obiezione alla Dottrina sociale della Chiesa proposta dal Guerry è: «Poiché la Dottrina sociale si fonda sulla Rivelazione, quelli che non credono alla Rivelazione non possono accettare l’insegnamento sociale della Chiesa» (Op. cit., pag. 46).

Obietta sant’Alfonso: «Le leggi giovano sì bene a conservare i buoni costumi negli uomini morigerati, ma non li formano nei cattivi; la sola religione rivelata forma i buoni costumi, e fa che poi le leggi siano tutte osservate […] Se non vi fosse la vera religione, la quale insegna esservi un giudice sovrano che vendica le infedeltà, rare volte gli uomini osserverebbero le promesse, onde senza questo timore gli empi crescerebbero in eccesso» (Sant’Alfonso sull’ecumenismo …, in Sursum Corda, 21.09.16). Difatti da quando si pretende di negare Dio e l’Inferno gli empi sono cresciuti come funghi!

Prosegue il Dottore utilissimo: «La massima parte degli uomini non è capace di ben operare per la sola mira del pubblico bene; l’interesse particolare si trova quasi sempre opposto all’interesse comune: il solo timore dei castighi divini mette freno ai disordini. E quindi avveniva (cita il Barbeyracco) che i sadducei, perché negavano l’immortalità dell’anima, erano nemici della società».

Dopo aver fornito anche le prove storiche a garanzia della sua docenza, il Liguori conclude con esempi di preveggenza, egli difatti condanna in anticipo sia la Rivoluzione (Francese, Risorgimentale, etc…): «si noti qui il temerario spirito di libertà e seduzione , che promuovono i deisti nei popoli contro la soggezione che debbono ai loro sovrani. Pretendono essi insomma stabilire la pubblica tranquillità con indurre i sudditi a sottrarsi dall’obbedienza dei principi e delle loro leggi»; che il Comunismo: «Dicono inoltre gl’increduli, che per stabilire la comune felicità nei popoli sarebbe necessario mettere fra tutti l’uguaglianza dei beni. […] Io dico che da ciò ne avverrebbe la comune infelicità, e lo provo. Se tutti fossero eguali nelle ricchezze e negli onori, tutti sarebbero infelici; perché il ricco non avrebbe chi lo servisse nei bisogni della vita umana: come potrebb’egli venir provveduto di vesti, di cibi, di mobili e di tante altre cose necessarie alla vita? Ciascuno, per esserne provveduto, dovrebbe saper fare tutte le arti. E se ognuno poi dovesse faticare manualmente per cibarsi, per vestirsi e per ogni altra cosa che gli bisognasse, chi potrebbe attendere a studiare i libri, a scrivere delle scienze necessarie a ben vivere [es. la medicina, ndR] ed a ben intendere le Scritture sacre? Chi potrebbe occuparsi ad esaminare e giudicar le cause nei tribunali? Qual uomo poi vorrebbe soggettarsi a servire un altro, se fosse egualmente provveduto di beni e di onori? E così l’ignorante non troverebbe chi lo ammaestrasse, l’infermo non troverebbe chi lo medicasse […]» (Ivi.).

Conclude alla prova dei fatti: «La vera religione è quella, che ponendo ordine a tutti i bisogni umani, fa che il ricco sovvenga il povero, il povero serva al ricco, il dotto istruisca l’ignorante, etc... Ed ecco in tal modo ciascuno è sovvenuto nelle proprie necessità, ed è dato senso a tutte le ineguaglianze, poiché questi scambievoli soccorsi bastantemente compensano l’ineguale distribuzione dei beni, e formano la pubblica tranquillità» (Ivi.; cf. Riflessioni sulla verità della Divina Rivelazione, Cap. III).

Mons. Guerry dimostra che: «La Dottrina sociale della Chiesa ha come fondamento la legge naturale». Su questa base inoppugnabile, «può verificarsi l’accordo con tutti coloro che hanno fiducia nella natura umana ragionevole». La Dottrina sociale fa «appello alla retta ragione». Essa ha «una forte concezione dell’uomo, che anche le persone più lontane dalla Chiesa possono ammirare» (anche i prevenuti nel loro segreto), come testimoniano gli storici imparziali sulla pace e la fertilità del Medioevo cattolico. La Chiesa, difatti, è l’unica che «difende i diritti primordiali dell’uomo e i suoi valori personali. Richiede un’economia umana, del bene comune, di giustizia sociale, di amor fraterno […]; Non contraddice i dati della ragione e della legge naturale […]; Conferisce […] una protezione dagli errori. Ai motivi di ragione per agire, specialmente per la cooperazione alla edificazione di un ordine economico e sociale, essa aggiunge altri motivi molto impegnativi per un’anima cristiana, motivi di fede, di speranza, di amor di Dio e del prossimo».

Sant’Agostino, quando dice «Dilige et quod vis fac» - «Ama e fa’ ciò che vuoi», spot usato dagl’iniqui per continuare a peccare “con sgravio”, espone invece la 1a Lett. di san Giovanni, dove la parola amare significa, come in tutta la Scrittura,  uniformarsi alla volontà di Dio: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama» (Gv. 14,21). Ed ancora: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola» (Gv. 14,23). Chi «ama» Dio, ovvero chi «rispetta comandamenti» (e precetti), potrà fare ciò che vuole, senza smettere di «amare», poiché farà bene, secondo la volontà di Dio. Difatti: «Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: “Lo conosco”, e non osserva i Suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. Chi invece osserva la Sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto. Da questo conosciamo di essere in Lui. Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come Lui si è comportato». (1 Gv. 2,3-6).

Papa Pio XII nel suo Radiomessaggio del 1° settembre 1944 difende la «civiltà cristiana», ovvero cattolica, e conclude: «L’anima di una pace degna di questo nome [è … la] giustizia che con imparziale misura a tutti dà ciò che ad ognuno è dovuto e da tutti esige ciò a cui ognuno è obbligato, una giustizia che non dà tutto a tutti, ma a tutti dà amore e a nessuno fa torto, una giustizia che è figlia della verità [di Dio, ndR] e madre di sana libertà e di sicura grandezza».

Carlo Di Pietro da ControSenso Basilicata