Fin dalla Prima è il Motu proprio promulgato da Papa san Pio X il 18 dicembre 1903, poco dopo la sua elezione al soglio Pontificio. Il Pontefice intende, con questo Documento, contrastare il cosiddetto modernismo sociale divulgato in Italia soprattutto dall’apostata Romolo Murri, fondatore della Lega democratica nazionale e padre della sedicente “Democrazia” “Cristiana”. Usiamo le virgolette perché, come è noto a chi ha la fede cattolica, ai cultori della materia ed a tutti quelli che non rigettano l’uso di retta ragione, in realtà la DC non fu (e non è) né democratica e né cristiana. Fin dalla Prima è un Motu proprio davvero sintetico, schietto e ben schematizzato, sebbene ricchissimo di dottrina vincolante. Afferma difatti il Pontefice nell’incipit: «[...] abbiamo divisato di raccogliere [queste prudentissime norme] come in compendio nei seguenti articoli, quale Ordinamento fondamentale dell’azione popolare cristiana riportandole da quegli stessi Atti. Queste dovranno essere per tutti i cattolici la regola costante di loro condotta. [...] Che nessuno quindi ardisca allontanarsene menomamente». Noterete leggendo, che tutti i principi che il Pontefice qui approva, oggi vengono, al contrario, generalmente contraddetti o condannati, anche negli ambienti che si dicono cattolici ma che, in realtà, emanano da ogni poro della loro cotenna l’olezzo del veleno vaticanosecondista. Parimenti, tutto quello che il Pontefice qui condanna, viene, al contrario, incensato e divulgato dagli stessi miasmatici soggetti. Leggiamo adesso la dottrina vincolante di Papa san Pio X. «I. La Società umana, quale Dio l’ha stabilita, è composta di elementi ineguali, come ineguali sono i membri del corpo umano: renderli tutti eguali è impossibile, e ne verrebbe la distruzione della medesima Società (Encycl. Quod Apostolici muneris). II. La eguaglianza dei vari membri sociali è solo in ciò che tutti gli uomini traggono origine da Dio Creatore; sono stati redenti da Gesù Cristo, e devono alla norma esatta dei loro meriti e demeriti essere da Dio giudicati, e premiati o puniti (Encycl. Quod Apostolici muneris). III. Di qui viene che, nella umana Società, è secondo la ordinazione di Dio che vi siano principi e sudditi, padroni e proletari, ricchi e poveri, dotti e ignoranti, nobili e plebei, i quali, uniti tutti in vincolo di amore, si aiutino a vicenda a conseguire il loro ultimo fine in Cielo; e qui, sulla terra, il loro benessere materiale e morale (Encycl. Quod Apostolici muneris). IV. L’uomo ha sui beni della terra non solo il semplice uso, come i bruti; ma sì ancora il diritto di proprietà stabile: né soltanto proprietà di quelle cose, che si consumano usandole; ma eziandio di quelle cui l’uso non consuma (Encycl. Rerum Novarum). V. È diritto ineccepibile di natura la proprietà privata, frutto di lavoro o d’industria, ovvero di altrui cessione o donazione; e ciascuno può ragionevolmente disporne come a lui pare (Encycl. Rerum Novarum). VI. Per comporre il dissidio fra i ricchi ed i proletari fa mestieri distinguere la giustizia dalla carità. Non si ha diritto a rivendicazione, se non quando si sia lesa la giustizia (Encycl. Rerum Novarum). VII. Obblighi di giustizia, quanto al proletario ed ai padroni, sono questi: prestare interamente e fedelmente l’opera che liberamente e secondo equità fu pattuita; non recar danno alla roba, né offesa alla persona dei padroni; nella difesa stessa dei propri diritti astenersi da atti violenti né mai trasformarla in ammutinamenti (Encycl. Rerum Novarum). VIII. Obblighi di giustizia, quanto ai capitalisti ed ai padroni, sono questi: rendere la giusta mercede agli operai; non danneggiare i loro giusti risparmi, né con violenze, né con frodi, né con usure manifeste o palliate; dar loro libertà per compiere i doveri religiosi; non esporli a seduzioni corrompitrici ed a pericoli di scandali; non alienarli dallo spirito di famiglia e dall’amor del risparmio; non imporre loro lavori sproporzionati alle forze, o mal confacenti coll’età o col sesso (Encycl. Rerum Novarum). IX. Obbligo di carità de’ ricchi e de’ possidenti, è quello di sovvenire ai poveri ed agl’indigenti, secondo il precetto Evangelico. Il qual precetto obbliga sì gravemente, che nel dì del giudizio dell’adempimento di questo in modo speciale si chiederà conto, secondo disse Cristo medesimo (Matth. XXV) (Encycl. Rerum Novarum). X. I poveri poi non devono arrossire della loro indigenza, né sdegnare la carità dei ricchi, sopra tutto avendo in vista Gesù Redentore, che, potendo nascere fra le ricchezze, si fece povero per nobilitare la indigenza ed arricchirla di meriti incomparabili pel Cielo (Encycl. Rerum Novarum). XI. Allo scioglimento della questione operaia possono contribuir molto i capitalisti e gli operai medesimi con istituzioni ordinate a porgere opportuni soccorsi ai bisognosi, e ad avvicinare ed unire le due classi fra loro. Tali sono le società di mutuo soccorso; le molteplici assicurazioni private; i patronati per i fanciulli, e sopra tutto le corporazioni di arti e mestieri (Encycl. Rerum Novarum).
XII. A tal fine va diretta specialmente l’Azione Popolare Cristiana o Democratica Cristiana colle sue molte e svariate opere. Questa Democrazia Cristiana poi dev’essere intesa nel senso già autorevolmente dichiarato, il quale, lontanissimo da quello della Democrazia Sociale, ha per base i principi della fede e della morale cattolica, quello sopra tutto di non ledere in veruna guisa il diritto inviolabile della privata proprietà (Encycl. Graves de communi). XIII. Inoltre la Democrazia Cristiana non deve mai immischiarsi con la politica, né dovrà mai servire a partiti ed a finì politici; non è questo il suo campo: ma essa dev’essere benefica a favore del popolo, fondata sul diritto di natura e sui precetti del Vangelo (Encycl. Graves de communi - Istruz, della S. C. degli AA. EE. SS.). I Democratici cristiani in Italia dovranno del tutto astenersi dal partecipare a qualsivoglia azione politica che nelle presenti circostanze, per ragioni di ordine altissimo, è interdetta ad ogni cattolico (Istruz, cit.). XIV. In compiere le sue parti, la Democrazia Cristiana ha obbligo strettissimo di dipendere dall’Autorità Ecclesiastica, prestando ai Vescovi ed a chi li rappresenta piena soggezione e obbedienza. Non è zelo meritorio, né pietà sincera intraprendere anche cose belle e buone in sé, quando non siano approvate dal proprio Pastore (Encycl. Graves de communi). XV. Perché tale azione democratico-cristiana abbia unità di indirizzo, in Italia, dovrà essere diretta dall’Opera de’ Congressi e de’ Comitati Cattolici; la quale Opera in tanti anni di lodevoli fatiche ha sì ben meritato della Santa Chiesa, ed alla quale Pio IX e Leone XIII di s. m. affidarono l’incarico di dirigere il generale movimento cattolico, sempre sotto gli auspici e la guida dei Vescovi (Encycl. Graves de communi). XVI. Gli scrittori cattolici, per tutto che ciò tocca gl’interessi religiosi e l’azione della Chiesa nella Società, devono sottostare pienamente, d’intelletto e di volontà, come tutti gli altri fedeli, ai loro Vescovi, ed al Romano Pontefice. Devono guardarsi sopra tutto di prevenire, intorno a qualunque grave argomento, i giudizi della Sede Apostolica (Istruz. della S.C. degli AA. EE. SS.). XVII. Gli scrittori democratici-cristiani, come tutti gli scrittori devono sottomettere alla preventiva censura dell’Ordinario tutti gli scritti, che riguardano la religione, la morale cristiana e l’etica naturale, in forza della Costituzione Officiorum et munerum (art. 41). Gli ecclesiastici poi, a forma della medesima Costituzione (art. 42), anche pubblicando scritti di carattere meramente tecnico, debbono previamente ottenere il consenso dell’Ordinario (Istruz. della S.C. degli AA. EE. SS.). XVIII. Debbono fare inoltre ogni sforzo ed ogni sacrificio perché regnino fra loro carità e concordia, evitando qualsivoglia ingiuria o rimprovero. Quando sorgono motivi di dissapori, anziché pubblicare cosa alcuna sui giornali, dovranno rivolgersi all’Autorità Ecclesiastica, la quale provvederà secondo giustizia. Ripresi poi dalla medesima, obbediscano prontamente senza tergiversazioni e senza menarne pubbliche lagnanze; salvo, nei debiti modi ed ove sia richiesto dal caso, il ricorso all’Autorità superiore (Istruz. della S.C. degli AA. EE. SS.). XIX. Finalmente gli scrittori cattolici, nel patrocinare la causa dei proletari e dei poveri, si guardino dall’adoperare un linguaggio che possa ispirare nel popolo avversione alle classi superiori della società. Non parlino di rivendicazioni e di giustizia, allorché trattasi di mera carità, come innanzi fu spiegato. Ricordino che Gesù Cristo volle unire tutti gli uomini col vincolo del reciproco amore, che è perfezione della giustizia, e che porta l’obbligo di adoperarsi al bene reciproco (Istruz. della S.C. degli AA. EE. SS.). Le predette norme fondamentali, Noi, di moto proprio e di certa scienza, colla Nostra Apostolica Autorità le rinnoviamo in ogni loro parte, ed ordiniamo che vengano trasmesse a tutti i Comitati, Circoli ed Unioni Cattoliche di qualsivoglia natura e forma. Tali società dovranno tenerle affisse nelle loro sedi, e rileggerle spesso nelle loro adunanze. Ordiniamo inoltre che i giornali cattolici le pubblichino integralmente e dichiarino di osservarle; e le osservino infatti religiosamente: altrimenti siano gravemente ammoniti, e se ammoniti non si emendassero, verranno dalla Autorità Ecclesiastica interdetti. Siccome poi a nulla valgono parole e vigoria d’azione, se non siano precedute, accompagnate e seguite costantemente dall’esempio; la necessaria caratteristica, che deve rifulgere in tutti i membri di qualunque Opera cattolica, è quella di manifestare apertamente la fede colla santità della vita, colla illibatezza del costume e colla scrupolosa osservanza delle leggi di Dio e della Chiesa. E questo perché è il dovere di ogni cristiano, e poi anche perché chi ci sta di contro, abbia rossore, non avendo nulla, onde dir male di noi (Tit. II, 8)».
A cura di CdP da Sursum Corda n° 29