Nelle pagine dei suoi Colloqui, Giosuè Borsi ricorda un piccolo aneddoto. «Fu durante l’eclisse del 1842. Un povero fanciullo del comune di Sièyes (Basses-Alpes) guardava il suo gregge. Ignorando del tutto l’avvenimento che si preparava, vide con inquietudine oscurarsi a gradi il sole, mentre nessuna nuvola, nessun vapore gli dava la spiegazione del fatto. Quando la luce ad un tratto disparve del tutto, il povero figliuolo, al colmo dello spavento, si mise a piangere ed a chiamare aiuto. Le sue lacrime scorrevano ancora, quando il sole dette il suo primo raggio. Rassicurato a questa vista, il ragazzo giunse le mani, gridando nel suo dialetto meridionale: «o beou souleoul (o bel sole!)». Borsi, ripensando all’eclisse della fede, che gli aveva oscurato la giovinezza, ed al sole di Gesù, che gliel’aveva di nuovo illuminata, commentava con una semplice e sublime parola l’aneddoto grazioso: «O Gesù, o bel sole!». Moltissimi cristiani, più sfortunati ancora del pastorello di Sièyes, vivono nelle tenebre. Il sole del soprannaturale è ignoto al loro cuore. I dogmi non significano nulla per essi. Ai Sacramenti si accostano di raro. Ed anche quando, in qualche rara confessione ben fatta, riacquistano la vita della grazia, sono simili a ciechi; pur nella festa gioiosa d’una serena giornata primaverile, essi non scorgono la luce, che inonda la loro anima; non hanno coscienza della loro divinizzazione. Gran cosa la coscienza, la consapevolezza, la visione chiara di ciò che si è e che si deve fare! Un padre, una madre, un maestro che hanno coscienza della loro missione, agiscono ben diversamente da chi non ha mai avuto tale stato d’animo. Combatte con ben diverso valore, in qualsiasi battaglia, colui che ha la convinzione della bontà d’una causa e colui che è spinto per forza ad un combattimento, di cui non comprende il significato. E nessuno può confondere la pretesa religiosità di chi si appaga d’una vita esteriore e di qualche pratica meccanicamente compiuta, con la fede di chi tutto contempla al raggio della religione cristiana. Dopo d’aver descritto, sia pur pallidamente, cos’è l’ordine soprannaturale e la grazia, dobbiamo quindi ora conquistare la coscienza, la consapevolezza di un simile sole; in altre parole, dobbiamo vedere come risolve il problema della sua vita, come organizza la sua esistenza il credente, che sa di essere figlio di Dio. Il figlio di un re viene educato con questo criterio: «Ricordati ed agisci in ogni momento, in modo conforme alla tua dignità»; noi, figli di Dio, non possiamo sottrarci ad un simile dovere. Quando l’eclisse della ignoranza religiosa termina, quando risplende il sole della Verità, noi necessariamente, consci della nostra grandezza divina, dobbiamo esclamare ad ogni istante, con la fede e con le opere: «O Gesù, o bel sole! ». La fede ci fa credere le verità rivelate da Dio, non per l’intrinseca loro evidenza, ma per l’autorità di Dio rivelante, che non può ingannare, né esser ingannato. Le opere ci fanno vivere secondo gli insegnamenti della fede. Noi non dobbiamo vivere dimentichi di Dio; ma la preghiera deve unirci a Gesù ed al Padre; la natura ci deve apparire sotto la luce nuova di Cristo Signore; la vita dev’essere da Lui ispirata; il dolore dev’essere cristianamente sofferto. Ecco i punti che cercheremo di svolgere: 1. - Quale metodo dobbiamo seguire per rendere sempre più intensa la nostra unione soprannaturale con Dio? 2. - Con quale occhio - se l’eclisse è finita e se Dio risplende su noi con la grazia - deve guardare la natura e le cose, chi ha coscienza della sua elevazione soprannaturale? 3. - Con quale sguardo deve il figlio di Dio considerare la vita, le sue vicende, e, di conseguenza, con quale spirito deve organizzare la sua attività di ogni ora, di ogni momento? 4. - Come deve sopportare i suoi dolori un cristiano? Sono fili - la preghiera, la natura, la vita ed il dolore, - che debbono congiungere il nostro cuore col Cuore di Cristo nel Tabernacolo. Anche attraverso questi “fili telefonici”, passerà il nostro grido di saluto: «O Gesù, o bel sole!».

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