Nel 1207 la divina Provvidenza mandava al Re d’Ungheria, Andrea II, un tesoro di figliuola: Elisabetta. Venuta in età, la giovane regale fu data in sposa a Luigi Langravio di Turingia. Nella casa paterna Elisabetta aveva edificato il Regno d’Ungheria con le sue virtù straordinarie, e poi con quelle virtù, sempre di giorno in giorno progredite, edificò la Turingia. Elisabetta fu grande Terziaria francescana, la fervorosa figliuola di San Francesco d’Assisi. Un giorno la Santa entrò in chiesa con la grandiosità che le permetteva e, direi quasi, le imponeva il suo grado: un numeroso seguito di personaggi nobilissimi, le vesti sfarzose, la testa adorna d’un diadema di pietre preziose. Non c’è dubbio, la giovane sposa faceva una comparsa stupenda: la singolare sua bellezza sfolgoreggiava mirabilmente con quelle vesti e con quella corona. Il popolo entusiasmato diceva sospirando di gioia: «Quanto è bella!». Ma ecco che gli occhi d’Elisabetta corsero ad un crocifisso, ad un gran crocifisso. Quel crocifisso, nudo, con la testa coronata di spine, fece un’impressione indicibile sull’anima della giovane regale. «È possibile, disse gemendo nel profondo del suo cuore, è possibile che io possa portare queste vestimenta e questa corona, se il mio Signore è così nudo e la sua testa è coronata di trafiggenti spine? Non è possibile, non dev’essere possibile!». E subito, non potendosi spogliare delle sfarzose vesti, che in quel momento avrebbe voluto ridurre a brandelli, corse con le mani alla testa, ne strappò quella corona e la buttò sul pavimento della chiesa. Indi si prostrò piangendo e fece al suo Gesù questa preghiera: + «Voi foste, o Signore, povero ed io vi chiedo povertà; voi foste umiliato ed io vi chiedo umiliazioni; voi foste crocifisso ed io vi chiedo croci». Il Signore ebbe la benignità d’esaudire la preghiera della Sua serva, ed Elisabetta da quel giorno cominciò ad avere croci, umiliazioni e povertà. Così commenta il Padre Belmonte: Intanto pensino un poco a Sant’Elisabetta quelle donne che vanno in chiesa, dinanzi al crocifisso, con quelle vesti, con quegli adornamenti, con quei gingilli addosso! Quelle vesti, quegli adornamenti, quei gingilli credono esse che possano piacere al crocifisso, spogliato e coronato di spine? Quelle vesti, quegli adornamenti, quei gingilli, occasione diabolica per trarre le anime a perdizione, credono esse che possano recar piacere al cuore di quel Cristo che si sottomise ad una morte tanto infame e crudele per salvare le anime? O Santa Elisabetta, pregate per le vane e scandalose donne cristiane, pregate! (Tratto da Giacinto Belmonte cappuccino, Racconti miracolosi, 1887, con permesso dei Superiori, vol. II, pagine 541-543).

A cura di Carlo Di Pietro

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