Comunicato numero 108. I Magi

Stimati Associati e gentili Sostenitori, uniamoci in preghiera contro gli iniqui “esportatori di democrazia” ed imploriamo il Signore degli eserciti affinché cessi, quanto prima, questa ennesima violenta aggressione a nocumento del popolo di Siria. Scrive il Salmista: «Corrupti sunt et abominationes operati sunt; non est qui faciat bonum» - Sono corrotti, fanno cose abominevoli, nessuno fa il bene. - Impreca ancora: «Quid gloriaris in malitia, qui potens es iniquitate? Tota die insidias cogitasti; lingua tua sicut novacula acuta, qui facis dolum. Dilexisti malitiam super benignitatem, mendacium magis quam loqui aequitatem. Dilexisti omnia verba perditionis, lingua dolosa» - Perché ti vanti del male o prepotente nella tua iniquità?  Ordisci insidie ogni giorno; la tua lingua è come lama affilata, artefice di inganni. Tu preferisci il male al bene, la menzogna al parlare sincero. Ami ogni parola di rovina, o lingua di impostura. - Finalmente attesta: «Deus destruet te in finem; evellet te et emigrabit te de tabernaculo et radicem tuam de terra viventium» - Dio ti demolirà per sempre, ti spezzerà e ti strapperà dalla tenda e ti sradicherà dalla terra dei viventi. Ciò detto, veniamo all’argomento del giorno: I Magi e la loro dottrina. Il libro che andiamo ad usare è  «Vita di Gesù Cristo» - Imprimatur 1940, 7a Edizione, Rizzoli & C. Editori, Milano e Roma, 1941, dell’Abate Giuseppe Ricciotti: riposi in pace!

• § 252. Attorno al neonato Messia, Luca finora ha condotto, oltre ai cortigiani celestiali, soltanto gente umile in funzione di cortigiani terreni, i pecorai della steppa e i due vecchi della città. Su tutti costoro tace Matteo; il quale invece gli conduce dappresso non solo personaggi insigni ma - ciò che può sorprendere nel pio israelita fra i quattro Evangelisti - personaggi precisamente non israeliti e appartenenti agli aborriti. Se questo nuovo episodio fosse stato narrato da Luca, si sarebbe detto ch’era stato introdotto per dimostrare avverato l’annunzio di Simeone riguardo alla rivelazione di genti; ma trattandosi di Matteo, non rimane che da richiamarsi alla realtà dei fatti selezionata diversamente dai diversi narratori. Essendo dunque nato «Gesù, ecco che magi da Oriente si presentarono a Gerusalemme dicendo: Dov’è il nato re dei Giudei? Vedemmo infatti la stella di lui nell’Oriente, e venimmo ad adorano. - Allora, avendo udito (ciò), il re Erode si turbò, e tutta Gerusalemme con lui; e avendo adunato tutti i sommi sacerdoti e gli Scribi del popolo, ricercava da essi dove il Cristo debba nascere. E quelli gli dissero: in Beth-lehem della Giudea; così infatti è stato scritto per mezzo del profeta “tu Beth-lehem, terra di Giuda, non sei in alcun modo la minima fra i duci di Giuda; da te infatti uscirà un duce il quale pascolerà il popolo mio Israele”» (Matteo, 2, 1-6). Gli inaspettati stranieri, dunque, erano magi e venivano da Oriente; questi sono a loro riguardo i soli dati sicuri, ma anche vaghi. Il più vago è Oriente, che geograficamente designa tutte le legioni di là dal Giordano, ove procedendo verso levante s’incontra dapprima l’immenso deserto siro-arabico, quindi la Mesopotamia (Babilonia), e infine la Persia: e infatti nell’Antico Testamento tutte e tre queste regioni sono designate come Oriente, anche la lontanissima Persia (come appare da Isaia, 41, 2, ove si allude al persiano Ciro il Grande). Ma precisamente in Persia, a preferenza delle altre due regioni più prossime, ci conduce il termine magi che è originariamente persiano e strettamente legato alla persona e alla dottrina di Zarathushtra (Zoroastro).

[Dalla nota 1 alla pagina 286. Erodoto afferma che magi era il nome di una tribù della Madia, e può darsi che ai tempi di lui i magi con le loro prerogative e leggi particolari costituissero una casta chiusa e una specie di tribù ; ma il loro nome è certamente assai più antico. Già nelle Gatha ricorre il termine magavan - e nell’Avesta recente il termine mogu (antico persiano magu), quali aggettivazioni del nome maga - «dono», e hanno il significato di «partecipe del dono» ; ora, poiché già nelle Gatha col termine «dono» è designata la dottrina di Zarathustra, evidentemente i « partecipi del dono » cioè i magi sono i fedeli di Zarathushtra, ossia i suoi discepoli. Difatti autori greci antichi e accreditati, quali Xantos, Ermodoro e Aristotile, convengono nel presentare i magi come seguaci di Zarathushtra, e definiscono la loro dottrina una filosofia «chiarissima ed utilissima»: per questi autori il primo mago fu Zarathushtra stesso. Bisogna scendere ad autori posteriori, specialmente a Bolos di Mendes, fondatore della scuola neo-pitagorica e naturalistica di Alessandria, per trovare i magi presentati come astrologi e stregoni, e confusi, perciò, in parte con i Caldei babilonesi ed in parte con i maghi egiziani; tuttavia più tardi, in Babilonia, anche i magi fecero di Zarathushtra un astrologo. Per tutto questo argomento, cfr. G. Messina, Ursprung der Magier und die zarathustrische Religion, Roma 1930; id., I Magi a Betlemme e una predizione di Zoroastro, Roma, 1933; id., Una presunta profezia di Zoroastro sulla venuta del Messia, in Biblica, 1933, pagg. 170-198].

Di Zarathushtra i magi furono originariamente discepoli; ad essi aveva egli affidato la sua dottrina riformatrice delle popolazioni dell’Iran, ed essi ne furono poi i custodi e i trasmettitori. La loro classe appare molto potente fin nei tempi più antichi, già all’epoca dei Medi e ancor più a quella degli Achemenidi: era un «mago» quel Gaumata (il «falso Smerdi») che usurpò il trono achemenide nel 522 av. Cr. durante la campagna di Cambise in Egitto; ma, anche dopo l’uccisione di Gaumata, i magi si mantennero sempre potenti nell’Impero persiano e nei regimi successivi, fin verso il secolo VIII dopo Cr. Nel campo culturale essi si saranno anche occupati del corso degli astri come tutte le persone colte a quei tempi ed in quelle regioni, ma astrologi e fattucchieri certamente non erano: ché anzi, come discepoli di Zarathushtra e fedeli trasmettitori dell’Avesta, essi dovevano essere i naturali nemici delle dottrine astrologiche e mantiche dei Caldei, le quali sono recisamente condannate nell’Avesta.

• § 253. I Magi venuti a Gerusalemme avevano dunque visto una stella in Oriente, avevano compreso ch’era la stella del «re dei Giudei», e perciò si erano messi in viaggio dall’Oriente per venire ad adorarlo. Riguardo alla stella abbiamo già espresso la nostra opinione secondo cui Matteo intende presentarla come un fatto miracoloso, da non potersi identificare con un fenomeno naturale (§ 174) poco appresso egli dirà che, usciti i Magi da Gerusalemme, la stella li precederà a guisa di fiaccola indicatrice della strada e si fermerà proprio sul posto dove stava il bambino ricercato (Matteo, 2, 9). Se del re Mitridate si narrava che alla sua nascita e all’inizio del suo regno era spuntata una cometa (Giustino, Hist., XXXVII, 2), e altrettanto si affermava di Augusto per l’inizio del suo impero (Servio, in Eneide, X, 272), nessuno però aveva mai detto che tali comete avessero indicato ad uomini un dato cammino passo passo, aspettandoli anche nelle soste, e poi rimovendosi, e infine fermandosi definitivamente sopra alla mèta. Stabilito pertanto questo carattere miracoloso, come si spiega che i Magi, veduta la stella, la riconoscono come quella del «re dei Giudei»? Che sapevano in precedenza essi, nella lontana Persia, di un re dei Giudei aspettato come salvatore in Palestina? Il riconoscimento della stella da parte dei Magi è, nella narrazione di Matteo, strettamente legato col carattere della stella: la miracolosa stella miracolosamente si fa riconoscere da essi come segno del neonato. Ma riguardo alle predisposizioni culturali dei Magi, e alla loro possibile conoscenza dell’aspettativa messianica dei Giudei, siamo oggi informati da recenti studi meglio che per l’addietro, e possiamo affermare che in Persia si aspettava per tradizione interna una specie di salvatore e inoltre si sapeva che una analoga aspettativa esisteva in Palestina. Trattiamo di ciò in nota come di questione troppo lunga per discutersi qui, ma troppo importante per esser tralasciata.

[Dalla nota 1 alle pagine 287 e 288. Il sistema teologico dei Magi, quale risulta dall’insieme dell’Avesta, è imperniato sul dualismo e sull’eterna lotta fra il Bene e il Male, fra Ahura-Mazdah il «Saggio Signore» e Anra-Mainyu lo spirito del male: della quale lotta è assai importante per il nostro argomento un tratto particolare, che implica la caratteristica idea del saushyant, il «soccorritore». È un’idea che si trova enunciata già nelle parti più antiche dell’Avesta, le Gatha, ed è specificata sempre più ampiamente nelle parti più recenti e nella letteratura medio-persiana; senonché, mentre da principio il «soccorritore» (uno o più) è un personaggio reale, storico, presente, più tardi la missione del «soccorritore» è assegnata a tre futuri personaggi che nasceranno dal seme di Zarathushtra e la cui attività è inquadrata a periodi ricorrenti; fra i tre il più importante è l’ultimo, chiamato per eccellenza il «soccorritore». Alla base di tale idea sta un concetto ottimista, perché la lotta fra il Bene e il Male terminerà col trionfo del primo, grazie all’intervento del «soccorritore». Nella concezione iranica, le vicende cosmiche ed umane si svolgono in un periodo di 12 millenni, divisi in quattro gruppi di 3.000 anni ciascuno. Nei primi due gruppi tutto è in pace; ma nel terzo gruppo comincia la lotta del Male contro il Bene (periodo mitico), e nel quarto gruppo appare Zarathushtra (periodo storico) che annunzia la dottrina di Ahura-Mazdah, ed egli stesso è il primo «soccorritore» coadiuvato da altri «soccorritori», cioè dai seguaci della stessa dottrina. È da notare, tuttavia, che il termine «soccorritore», saushyant, è un participio futuro. Ora, nell’Avesta recente, questa particolarità temporale fu ampiamente sviluppata, sotto l’influenza di altri concetti, e il termine fu applicato specialmente a un ben determinato personaggio escatologico, su cui insieme si trasportarono precedenti lineamenti mitici. Questo personaggio è Astvat-ereta, progenie di Zarathushtra, la cui missione è già accennata nel suo nome che significa «verità incarnata»; egli sarà il saushyant per eccellenza, perché con la sua opera assicurerà il trionfo finale del Bene sul Male e ricondurrà l’umanità alla sua primitiva condizione felice. Alcuni testi persiani successivi, dopo aver nominato altri due «soccorritori» discendenti di Zarathushtra, presentano il terzo ed ultimo, che sarà egualmente della stirpe di Zarathushtra ma partorito da una fanciulla «senza che alcun uomo le si avvicini» (Teodoro bar Konai). Giunto che sia questo ultimo «soccorritore», avverrà la resurrezione dei morti, il giudizio generale dell’umanità e la restituzione del regno assoluto di Ahura-Mazdah col trionfo del Bene. Siffatti concetti, noti al di fuori anche ai cristiani (specialmente agli scrittori siri geograficamente confinanti con i Persiani), fecero credere ad una profezia di Zarathushtra preannunziante il Messia ebraico. Ma questo ravvicinamento delle due figure, del saushyant persiano e del Messia ebraico, era già stato iniziato in precedenza da scrittori giudei, perché fin dai tempi di Ciro il Grande (morto nel 529 av. Cr.) il giudaismo era stato in contatto diretto con i Persiani. I cosiddetti Oracoli di Istape, un libro di cui ci sono pervenuti solo scarsi frammenti, mostrano chiaramente la tendenza ad intrecciare concetti della Bibbia con idee persiane: la quale tendenza è dovuta, come sembra più probabile, ad uno scrittone giudaico che voleva gettare un ponte di passaggio fra il mondo concettuale giudaico e quello persiano. Storicamente, dunque, è in tutto verosimile che verso l’inizio dell’Era cristiana fosse diffusa nella casta dei magi in Persia la conoscenza dell’aspettativa giudaica di un Re-Messia: che questa aspettativa straniera fosse identificata con l’aspettativa persiana di un saushyant «soccorritore»: e che taluni di loro s’interessassero in una maniera qualsiasi della comparsa di questo gran personaggio. (Per ulteriori notizie e rimandi agli antichi testi valgono gli scritti di G. Messina, citati nella nota precedente)]. 

Matteo non dice quanti fossero i Magi venuti; la tradizione popolare tardiva li credette più o meno numerosi, da un minimo di due a un massimo di una dozzina, ma con preferenza del numero tre suggerito certamente dai tre doni ch’essi offrirono: di questi tre, già da prima del secolo IX, si seppero anche i nomi, Gaspare, Melchiore e Baldassare.

• § 254. Erano proprio stranieri quei Magi e non sapevano proprio nulla delle condizioni politiche di Gerusalemme, giacché appena entrati si danno a domandare: Dov’è il nato re dei Giudei? Di re dei Giudei non c’era altri che Erode; bastava del resto conoscere un pochino il carattere di costui (§ 9 segg.) per stare sicuri che un suo eventuale competitore, appena si fosse mostrato, avrebbe avuto i giorni e anche le ore contate. Perciò, nell’interesse stesso del bambino ricercato, quella domanda era pericolosa nella sua ingenuità. I primi cittadini interpellati rimasero stupiti, e anche un poco turbati, perché una domanda di quel genere fatta da quegli ignoti personaggi induceva a subodorare tenebrose congiure, le quali si sarebbero portate appresso i soliti sconvolgimenti civili e le stragi di gente sospetta. Passando di bocca in bocca la domanda pervenne a gente della corte, e quindi anche ad Erode. Il vecchio monarca, che per sospetti di congiure aveva già ammazzato due figli e stava per ammazzarne un terzo, non poté non turbarsene; ma capì subito che, se una minaccia c’era, era ben diversa dalle altre. La sua polizia segreta, egregiamente organizzata, lo teneva informato dei minimi fatti che accadevano in città, e in quei giorni non era stato riferito assolutamente nulla di inquietante; d’altra parte dalla lontana Persia non si dirigevano facilmente le fila d’una congiura, nè si sarebbero inviate sul posto persone così inesperte ed ingenue come quei Magi. No, qui doveva esserci sotto qualcosa d’altro genere, qualche ubbìa religiosa [Idea priva di fondamento, che dà preoccupazione o avversione ingiustificata; scrupolo infondato, ndR], molto probabilmente la fisima di quel Re-Messia che i suoi sudditi aspettavano ma che egli non aspettava affatto. Ad ogni modo era bene premunirsi, dapprima informandosi chiaramente in proposito, e poi giocando d’astuzia. Trattandosi di beghe religiose, Erode consultò non l’intero Sinedrio (§ 58), ma quei suoi due gruppi ch’erano più versati in simili faccende, cioè i sommi sacerdoti e gli Scribi del popolo (§§ 41, 50), e propose loro il quesito astratto e generico dove il Cristo (Messia) debba nascere. Egli cioè voleva sapere quale sarebbe stato, secondo le tradizioni giudaiche, il luogo di nascita dell’aspettato Messia: saputo ciò, avrebbe provveduto egli a servirsi di quei semplicioni di Magi per fare i suoi propri conti col neonato re dei Giudei. I consultati risposero che il Messia doveva nascere a Beth-lehem, e citarono a prova il passo di Michea, 5, 1-2, che nel testo ebraico dice: «E tu Beth-lehem Efrata, piccola pur essendo nelle ripartizioni di Giuda, da te per me uscirà (colui che) sarà dominatore in Israele, le cui uscite (origini) dall’antichità, dai giorni eterni. Perciò (Dio) li consegnerà (in potere dei nemici), fino al tempo in cui la partoriente partorirà». Si noterà che questo passo non è riprodotto né integralmente né con queste precise parole dalla risposta dei dottori consultati, qual è riferita da Matteo (§ 252); ad ogni modo c’è l’essenziale, cioè la designazione di Beth-lehem come luogo d’origine del Messia, e in tal senso si esprime anche il Targum allo stesso passo. Questa designazione era dunque tradizionale nel giudaismo di quei tempi. Ottenuta questa risposta, Erode dovette rimanere perplesso. Beth-lehem era un paesucolo qualunque, in cui la sua polizia segreta non gli segnalava assolutamente nulla di sospetto; tuttavia quel complesso di stella, di sconosciuti Magi, e specialmente quell’appellativo di re dei Giudei, mentre da una parte stuzzicavano la sua curiosità, dall’altra disturbavano alquanto la sua tranquillità. Per soddisfare dunque alla prima e provvedere alla seconda, non rimaneva che servirsi degli stessi Magi, in maniera tale da non destare i sospetti né di loro né di altri.

• § 255. Questo piano fu attuato. Erode fece chiamare i Magi di nascosto (Matteo, 2, 7), perché non voleva né apparire troppo credulo dando importanza a gente forse squilibrata, né rinunciare alle sue misure di precauzione. Interrogatili quindi accuratamente sul tempo e modo dell’apparizione della stella, li lasciò andare a Beth-lehem: cercassero bene il neonato, e appena trovatolo ne informassero lui, perché sarebbe venuto anch’egli laggiù ad adorarlo. Mandare appresso a quei buffi orientali un manipolo di soldati con qualche ordine segreto sarebbe stato un provvedimento più sicuro, dispensando il vecchio monarca dall’aspettare la notizia che il bambino era stato trovato: ma lo avrebbe anche esposto alle beffe dei suoi sudditi, giacché in tutta Gerusalemme non si faceva che parlare di quella strana comitiva, pur prevedendosi con certezza che tutto sarebbe finito in una scena da ridere e che quegli orientali sarebbero risultati sognatori esaltati. Ad ogni modo essi, com’erano passati allora per Gerusalemme, così dovevano ripassarci al loro ritorno, e quindi Erode li avrebbe avuti sempre a sua disposizione. I Magi, dopo l’udienza reale, partirono. «Ed ecco la stella, che videro nell’Oriente, li precedeva finché venendo stette sopra dov’era il bambino. Ora vedendo la stella, godettero di gaudio assai grande. E venuti nella casa, videro il bambino con Maria la sua madre, e caduti l’adorarono: e aperti i loro forzieri, gli presentarono doni, oro, incenso e mirra. E ricevuta rivelazione per sogno di non ritornare da Erode, per altra strada si ricondussero alla loro regione» (Matteo, 2, 9-12). La narrazione è ristretta alle sole linee principali ed astrae da tempo e da luogo. Se ne raccoglie tuttavia che i Magi passarono almeno una notte a Beth-lehem, giacché vi ricevettero rivelazione per sogno, e non è escluso che vi rimanessero anche più d’un solo giorno; Si raccoglie pure che la famiglia di Giuseppe, abbandonata la grotta, si era ricoverata in una casa (§ 249). Avviandosi per rendere omaggio a un «re», i Magi avevano preparato donativi come esigeva l’etichetta orientale. La reggia di Erode in Gerusalemme splendeva d’oro, e lungo i suoi ambulacri i bruciaprofumi esalavano vapori d’incenso e di resine odorifere. Altrettanto avveniva in quel suo suntuoso Herodium ove il suo fiero costruttore sarebbe stato sepolto fra pochi mesi e che si elevava a poca distanza da Beth-lehem (§ 12); forse più d’una volta i pastori di là, aggirandosi alle falde della sua collinetta, ne avevano intravisto i riflessi aurei delle sale ed erano stati raggiunti dalle folate di profumo che ne uscivano. Conforme al cerimoniale delle grandi corti i Magi offrirono oro, incenso e quella resina profumata che tutti i Semiti chiamavano mōr, da cui il nostro nome di mirra. Erode stesso largheggiava in donativi con altri monarchi, specialmente se più potenti di lui: ad esempio, proprio in quei giorni, egli nel suo testamento lasciava ad Augusto un legato di ben 1000 o anche 1500 talenti (Guerra giud., I, 646; II, 10; cfr. Antichità giud., XVII, 323), somma altissima anche per quei tempi, che però fu rifiutata signorilmente da Augusto. I Magi certamente non poterono essere munifici quanto Erode, ma in compenso ebbero la gioia di vedere accettati i loro doni e inoltre d’accorgersi ch’erano opportunissimi: se tutti e tre i doni riconoscevano la dignità regale del neonato, specialmente l’oro arrivava come una provvidenza per restaurare le finanze di quella corte, la quale di suo non aveva né un tetto e forse neanche un mezzo siclo, dopo averne lasciati cinque interi al Tempio di Gerusalemme (§ 249). Compiuti gli omaggi, i viaggiatori dopo qualche tempo ripartirono alla volta del loro paese, ma non passarono per Gerusalemme e Gerico, bensì forse per l’altra strada che toccando la fortezza erodiana di Masada costeggiava la spiaggia occidentale del Mar Morto. E di loro non si seppe più nulla. Fine.

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.