Comunicato numero 118. Il tramonto di Giovanni Battista

Stimati Associati e gentili Sostenitori, con enorme gioia Vi comunichiamo che abbiamo iniziato i lavori per la futura pubblicazione - a Dio piacendo - del prezioso volume «Storia d’Italia», scritto da San Giovanni Bosco.  La «Civiltà cattolica», quando era degna di portare tale nome, ossia quando le sue pagine trasmettevano scritti di venerandi uomini di fede e di dottrina integralmente cattolica, parlò molte volte di quest’opera. Intendiamo, in tale breve presentazione, riportarne alla luce alcuni stralci.

• Inizio della citazione. In un tempo come il nostro, nel quale della menzogna storica si fa un manicaretto per avvelenare le menti giovanili, molto importa rendere note le opere che nell’educazione della gioventù possono servire d’antidoto alle predette corruttele. E che tale sia questo veramente egregio libro del chiarissimo Don Bosco non  bisogna di provarlo alla lunga. Altrove, parlando di questa storia, indicammo i meriti particolari che in sé contiene, e che sono di assai cresciuti nella nuova edizione che annunziamo. Per lo scopo che l’Autore si propone, che è d’insegnare la storia patria ai giovanetti Italiani con facilità, con brevità, con chiarezza, noi non esitiamo ad affermare che il libro nel suo genere non ha forse pari in Italia. È composto con grande accuratezza e con una pienezza rara a trovarsi nei compendi. Tutto il lavoro è diviso in quattro epoche, la prima delle quali incomincia dai primi abitatori della penisola, e l’ultima giunge sino alla guerra del 1859. Un confronto dei nomi geografici dell’Italia vetusta coi nomi moderni chiude il libro a maniera di appendice. Sotto la penna dell’ottimo Don Bosco la storia non si tramuta in pretesto di bandire idee di una politica subdola o principii di un’ipocrita libertà, come purtroppo avviene di certi altri compilatori di Epiloghi, di Sommarii, di Compendii che corrono l’Italia e brulicano ancora per molte scuole godenti reputazione di buone. Alla veracità dei fatti, alla copia della materia, alla nitidezza dello stile, alla simmetria dell’ordine, l’Autore accoppia una sanità perfetta di dottrine e di massime, vuoi morali, vuoi religiose, vuoi politiche. E questa è la qualità che ci sprona a raccomandare caldamente questo libro a quei padri di famiglia, a quei maestri, a quegli istitutori che desiderano di avere figliuoli e discepoli eruditi nella germana istoria patria, ma non intossicati dalla falsa storia patria. Conviene pur dirlo, giacché è per nostra grande sciagura troppo vero. Quella colluvie di scritti elementari e pedagogici che ora allaga la nostra penisola, è per la massima parte appestata dagli errori moderni contro il Papato, contro la Chiesa, contro il Clero, contro l’autorità divina ed umana. La diabolica congiura dei figliuoli delle tenebre contro la Luce eterna opera indefessamente a guastare fino dal seme le tenere anime dei giovanetti. Quindi noi stimiamo di fare un atto di amicizia suggerendo ai cattolici nostri lettori un libro elementare il quale né procede da un congiurato contro la verità, né ha le magagne che corrompono ai nostri giorni le menti inesperte. Fine della citazione.

• Probabilmente la nostra pubblicazione sarà pronta per il mese di ottobre, tuttavia, trattandosi di un lavoro abbastanza complesso, non ne siamo certi. Affidiamo questa opera alla potente intercessione dello stesso San Giovanni Bosco, oltre che di San Giovanni di Dio, Protettore della nostra piccola Associazione. Ciò detto, veniamo all’argomento del giorno: «Il tramonto di Giovanni», secondo le preziose istruzioni dell’Abate Giuseppe Ricciotti - riposi in pace!

• § 291. Nel colloquio con Nicodemo era stato accennato al battesimo in acqua e Spirito, che non era certamente quello di Giovanni [Battista, ndR]. Nel frattempo Giovanni continuava ad amministrare il suo rito, e a tale scopo si era recato ad Ainon presso Salim (§ 269). Dopo il colloquio con Nicodemo, Gesù rimase ancora qualche tempo in Giudea, ma sembra che si allontanasse alquanto dalla malfida capitale recandosi più a settentrione: l’aperta campagna offriva più libertà d’azione a lui ed a chi voleva ricorrere a lui, lontano dalla sospettosa sorveglianza dei maggiorenti sacri e dei Farisei. Certamente il luogo ove egli s’intratteneva era ben provvisto d’acqua, forse un’insenatura del Giordano, perché troviamo inaspettatamente che anche i discepoli di Gesù amministrano un rito battesimale come quello di Giovanni. Era questo il battesimo in acqua e Spirito a cui si era accennato nel colloquio con Nicodemo? No, quasi certamente. Il IV Vangelo, infatti, fa espressamente rilevare che non Gesù personalmente amministrava questo battesimo, bensì i suoi discepoli (Giov., 4, 2); del resto lo Spirito non era stato (loro) ancora dato (Giov., 7, 39; 16, 7), né i discepoli di Gesù erano stati ancora edotti sulla Trinità divina e sulla morte redentrice del Cristo, che saranno elementi essenziali del futuro battesimo in acqua e Spirito (Matteo, 28, 19; Romani, 6, 3 e seguenti). Era dunque anch’esso un rito puramente prefigurativo e simbolico, analogo a quello di Giovanni; perciò Giovanni continuò ad amministrare il suo, anche quando i discepoli di Gesù battezzavano, mentre avrebbe dovuto cessare se avessero battezzato in acqua e Spirito. Tuttavia avvenne un dissenso. Un giorno fra i discepoli di Giovanni ed un Giudeo sorse una disputa a proposito di purificazione; forse il Giudeo, dei dintorni di Gerusalemme e non Galileo, stimava più purificativo, perché più peregrino, il rito amministrato dai discepoli del Rabbi galileo, e quindi lo preferiva a quello di Giovanni. Amareggiati, i discepoli di costui ricorsero al loro maestro e gli riferirono la presunta rivalità di Gesù: «Rabbi, quello ch’era insieme con te di là dal Giordano, al quale tu hai reso testimonianza - guarda! - costui battezza e tutti vengono a lui!». I focosi discepoli forse s’aspettavano che Giovanni inveisse ingelosito, e invece l’udirono rallegrarsi consolato: «Non può un uomo acquistar nulla, se non gli sia dato dal cielo. Voi stessi mi rendete testimonianza che dissi: “Non sono io il Cristo (Messia), ma sono stato inviato avanti a lui” (§ 269). Chi ha la sposa è sposo: ma l’amico dello sposo, che sta (presente) e l’ascolta, gioisce di gioia per la voce dello sposo. Questa mia gioia, dunque, è compiuta. Bisogna che egli cresca, e io invece diminuisca (Giov., 3, 27-30)». Frequentissimo negli scritti poetici dell’Antico Testamento era stato l’uso di presentare il Dio Jahvè come lo sposo della nazione d’Israele. Qui, per Giovanni, lo sposo è il Messia Gesù, ed in queste mistiche nozze egli, come precursore, ha l’ufficio di “amico dello sposo” (§ 281). Ma lo sposo è già alla porta, ed egli ne ha udito la voce; gioire quindi bisogna, non già attristarsi e ingelosire! Lo splendore lunare diminuisce e si perde man mano che quello solare s’accresce: e cosi bisogna «ch’egli cresca e io invece diminuisca».

• § 292. Fu l’ultima testimonianza di Giovanni. Qualche settimana dopo, probabilmente nel maggio, l’austero censore dello scandalo di corte finiva imprigionato a Macheronte (§ 17). È difficile che i Farisei fossero del tutto estranei a questo imprigionamento, e non vi avessero una parte occulta e indiretta. I Sinottici attribuiscono l’imprigionamento alla riprovazione dello scandalo, Flavio Giuseppe alla malvista popolarità di Giovanni, ma ambedue i motivi sono giusti e si assommano insieme benissimo; tuttavia il IV Vangelo ci fa intravedere anche un terzo motivo: «Udirono i Farisei che Gesù fa discepoli e battezza più che Giovanni» (Giov., 4, 1), e allora Gesù abbandona la Giudea e fa ritorno in Galilea. Cosicché Gesù teme che la sua popolarità, maggiore di quella di Giovanni, lo esponga alle gelose insidie dei Farisei; per questo motivo s’allontana. Era dunque Giovanni già caduto in quelle insidie? Nessuno ce lo dice espressamente, ma in equivalenza i Sinottici ci comunicano che Gesù si allontanò dalla Giudea appena si riseppe dell’imprigionamento di Giovanni. Questa, dunque, fu l’insidia in cui era caduto Giovanni per colpa dei Farisei, oltreché per il suo merito d’aver censurato lo scandalo di corte. I Farisei, volendo disfarsi dal fastidioso e vigilato riformatore, astutamente si sarebbero serviti del rancore che la corte di Erode Antipa aveva contro di lui, aizzando il tetrarca ad imprigionare l’austero censore dello scandalo e il popolare dominatore di turbe. Se Giovanni si tratteneva ancora ad Ainon presso Salim, non era sul territorio del tetrarca Antipa, ma su quello della città libera di Scitopoli che faceva parte della Decapoli (§ 4), e quindi non poteva essere arrestato colà dal tetrarca. Ma Scitopoli s’incuneava fra i due tronconi del territorio di Antipa, la Galilea e la Perea; fu dunque facile attirare Giovanni sul territorio di Antipa con qualche pretesto presentato abilmente da compiacenti mediatori. Più tardi i Farisei tenteranno una mediazione inversa, perché fingendosi protettori di Gesù vorranno che egli si allontani spontaneamente dal territorio di Antipa: probabilmente anche questa nuova mediazione fu sollecitata dallo stesso Antipa, il quale perciò in questa occasione fu chiamato «volpe» da Gesù (Luca, 13, 31-32) (§ 463). Nelle oscure segrete di Macheronte, Giovanni languì molti mesi in estenuante attesa. Fine della citazione. La prossima settimana, Dio volendolo, il Ricciotti ci erudirà sulla vicenda evangelica che vede protagonista principale sempre Gesù, presso Sichem, alle prese con la donna Samaritana che va verso il pozzo. Il libro usato è  «Vita di Gesù Cristo» - Imprimatur 1940, 7a Edizione, Rizzoli & C. Editori, Milano e Roma, 1941, dell’Abate Giuseppe Ricciotti. Fine.

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.