Comunicato numero 98. I razionalisti e la vita di Gesù (Prima parte)

Stimati Associati e gentili Sostenitori, come avrete notato, ogni settimana pubblichiamo anche alcune preghiere al Santo del giorno, talvolta tridui e novene di preparazione ad una particolare festa o ricorrenza. Il settimanale, tuttavia, viene distribuito abitualmente la settimana successiva a quella di pubblicazione, quindi in ritardo rispetto alla liturgia della Chiesa. Abbiamo, pertanto, previsto un archivio on-line utilizzabile con puntualità per gli anni che seguiranno. Questo è il link: CLICCA QUI. Troverete anche numerose preghiere e devozioni da recitare quotidianamente. Sant’Alfonso ci ammonisce: «Chi prega si salva, chi non prega si danna!». Il culto è la manifestazione esterna di onore fatta ad una persona superiore alla quale ci sottomettiamo. Dio è l’Ente Supremo ed è il Signore assoluto dell’universo, quindi a Lui è dovuto il culto in massimo grado. Il culto è dovuto esclusivamente a Dio (latria); la ragione ci fa comprendere la gravità del culto al falso (o ido-latria). Una forma inferiore di culto (dulia) è lecita verso le creature (esempio gli Angeli ed i Santi) in quanto sono legate a Dio e Dio in esse manifesta la Sua virtù. Alla Vergine Maria si presta culto di iper-dulia. Dio si adora, le creature a Lui legate si venerano. La preghiera è un’elevazione dell’anima a Dio per esprimerGli i nostri sentimenti e desideri. La preghiera, come atto di religione, è un dovere ed è un bisogno dell’anima che sente le sue infermità e miserie, quindi si rivolge umilmente a Chi può aiutarla. L’efficacia della preghiera dipende dalla divina misericordia, tuttavia ordinariamente è proporzionata anche alla dignità di chi prega. Non c’è dubbio che nel modo con cui la Chiesa prega e loda il Signore, esprime ciò che crede, come lo crede ed in base a quali concetti onora pubblicamente Dio.

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• § 194. Le fonti della vita di Gesù - ossia in sostanza i Vangeli - ricevono la loro incomparabile importanza storica dall’argomento che trattano e dal modo come lo trattano. Loro argomento è l’origine della massima corrente religiosa, che è anche la più radicale innovazione apparsa nella storia della spiritualità umana, cioè il cristianesimo. Questo argomento poi è trattato senza mire polemiche né apparato erudito, ma solo mediante la comunicazione semplice e piana di dati biografici non abbondanti circa il fondatore del cristianesimo, e di punti essenziali poco più abbondanti circa la sua dottrina. Ma se queste notizie evangeliche non sono moltissime, hanno tuttavia un carattere che le distingue nettamente dalle notizie prevenuteci circa altri fondatori di grandi religioni. Taluni di costoro, ad esempio il Buddha e specialmente Zarathustra, sono oggi figure storiche vaghe e dai lineamenti sfumati; le sicure notizie che ne abbiamo distano molto per tempo e per luogo d’argomento, e se da esse si può concludere con certezza l’esistenza storica dei rispettivi personaggi e l’epoca approssimativa in cui vissero, poco più di questi generici lineamenti possiamo estrarne, mentre il vero volto di quei personaggi rimane per noi coperto da un velo più o meno denso. Al contrario le notizie evangeliche circa la vita e la dottrina di Gesù, pur non pretendendo affatto di esaurire l’argomento, sono precise, circostanziate, spesso minuziose; soprattutto poi esse si presentano come provenienti o direttamente da discepoli immediati di Gesù, i quali gli erano stati a fianco lungo tempo e conoscevano bene uomini e cose, o almeno da informatori di poco posteriori, i quali avevano goduto di lunga familiarità con gli stessi discepoli. Oltre a ciò le fonti evangeliche, trattando della vita e della dottrina di Gesù, non fanno in sostanza che esporre tutto un tessuto di fatti miracolosi accentrati attorno a lui. Ora, è vero che pure agli inizi di altre grandi correnti morali si ritrovano fatti meravigliosi di vario genere e di realtà storica indiscutibile, quali l’arcano daimònion che guida occultamente Socrate nel rinnovamento della filosofia greca, oppure le gesta appena credibili di Alessandro Magno che iniziano il travolgente ellenismo; ma fatti di tal genere sono bensì meravigliosi, non già miracolosi, giacché né il fenomeno psicologico di Socrate sembra che entrasse nel campo propriamente fisico, né le gesta di Alessandro, per quanto superassero l’ordinario livello delle imprese umane, risultano in contrasto con le leggi fisiche della natura. D’altra parte, anche limitandosi al campo strettamente religioso, sono esistiti fondatori di potenti religioni, come Mani e Maometto, che non si sono presentati affatto come operatori di miracoli, secondo i più sicuri documenti storici, e non hanno avuto alcuna pretesa di essere taumaturghi. I Vangeli invece, mentre descrivono Gesù come del tutto alieno da risonanti gesta militari o politiche, gli attribuiscono fin dal suo concepimento, per continuare anche dopo la sua morte, ogni sorta di miracoli fisici, compiuti tanto su se stesso quanto su altri uomini, tanto su esseri viventi quanto su corpi inanimati: inoltre ricollegano intimamente siffatti miracoli con la sua missione di fondatore di una nuova religione, presentandoli come prove di quella missione. Da tutto ciò scaturiscono tre conseguenze strettamente concatenate fra loro. Stando cioè alle fonti evangeliche, in primo luogo i fatti e i detti che noi sappiamo di Gesù ci vengono comunicati da persone o contemporanee e familiari a lui, o almeno di poco posteriori ma sempre ottimamente informate; - in secondo luogo, questi nostri informatori attestano fatti strettamente miracolosi; - in terzo luogo, questi fatti sono stati operati a provare la missione religiosa di Gesù. Il passaggio dall’uno all’altro di questi tre punti è spontaneo; il lettore che scorrendo i Vangeli accetta il primo punto, passa inevitabilmente al secondo, e da questo inevitabilmente al terzo salvo che trovi il modo di spezzare uno dei tre anelli della catena. Se la catena non è spezzata il lettore deve finire logicamente con accettare e fare sua propria la religione predicata da Gesù; questo, del resto, è lo scopo apertamente confessato da uno dei Vangeli quando conclude: «Tali cose sono state scritte affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio d’Iddio, e affinché credendo abbiate vita nel nome di lui» (Giovanni, 20, 31).

• § 195. La storia delle ricerche fatte lungo i secoli sulla biografia di Gesù è, in sostanza, la storia delle prove a cui è stata sottoposta la saldezza di ciascuno di questi tre anelli. - Sono veramente autorevoli, per tempo e per luogo, gl’informatori evangelici? - I fatti straordinari da essi narrati sono attestati con veracità ed obiettività, e rivestono un carattere veramente miracoloso? - Questi fatti dimostrano veramente l’autenticità della missione religiosa di Gesù? Naturalmente, conforme alla differente indole dei vari tempi, si è insistito più sull’uno o sull’altro di questi tre punti; ma da essi non si è usciti, né si sarebbe potuto uscire. Il terzo e ultimo punto è stato il meno dibattuto, sia perché esso è di natura più filosofica che storica, sia perché la sua accettazione è praticamente inevitabile quando siano accettati i due punti precedenti, e ciò tanto nei secoli passati quanto ai nostri tempi; sebbene oggi, col predominio del metodo storico-critico, il punto più discusso sia divenuto il primo, cioè il valore storico degli informatori evangelici. Gli antichi scrittori, accettando i Vangeli come libri sacri ed ispirati, non sentivano necessità di dimostrare in modo particolare la loro autorità storica, salvo nel caso che questa fosse impugnata da scrittori non cristiani: ma ordinariamente i Vangeli erano per essi libri di speculazione teologica o di parenesi (o esortazione - ammonimento) edificativa. Non mancarono però dei casi in cui la necessità apologetica richiamò la loro attenzione particolare sul valore puramente storico dei Vangeli. Anche prima che nell’anno 400 Sant’Agostino scrivesse il De consensu evangelistarum, erano stati mossi contro la credibilità dei racconti evangelici gli attacchi di Celso, a cui aveva risposto Origene, e poi quelli di Porfirio a cui avevano replicato parecchi cristiani. Purtroppo gli scritti di ambedue i filosofi pagani non sono giunti fino a noi; ma dalle notizie indirette che ne possediamo, possiamo farcene un’idea approssimativa. Celso, poco prima del 180, pubblicò il suo Discorso veritiero, con cui assale in minor parte Gesù ed in maggior parte i cristiani. Egli tiene a far rilevare che in precedenza si è informato bene del suo argomento, giacché ripete fiduciosamente rivolto ai cristiani: «Io so tutto (sul conto vostro)!»; ha infatti letto i Vangeli, e li cita nel suo discorso attribuendoli regolarmente ai discepoli di Gesù. Ciò nonostante egli accetta dai Vangeli solo i fatti che corrispondono alle sue mire polemiche, quali le debolezze della natura umana di Gesù, il lamento della sua agonia, la sua morte in croce, ecc., che sarebbero a parer suo tutte cose indecorose per un Dio: invece sostituisce gli altri dati biografici con le sconce calunnie anticristiane messe in giro già allora dai Giudei; spesso poi altera l’indole dei fatti, talvolta deforma anche le parole delle citazioni, e in genere sparge a piene mani il ridicolo sull’odiato argomento con un metodo che anticipa sotto vari aspetti quello del Voltaire. Ma queste ragioni storiche sono, in realtà, solo sussidiarie, e il vero argomento fondamentale è filosofico: Celso, che mira a rinsaldare l’unità politica dell’Impero romano di fronte alla minaccia dei Barbari, giudica indiscutibilmente assurda l’idea di un Dio fattosi uomo, e quindi erronea la storia evangelica; perciò i cristiani, se vorranno essere ragionevoli, dovranno abbandonare tali assurdità e ritornare ai tradizionali Dei dell’Impero. Porfirio, il discepolo del neoplatonico Plotino, è molto più sodo di Celso. Nei suoi 15 libri Contro i cristiani, apparsi sullo scorcio del secolo III, egli conserva un tono più moderato (a quanto possiamo raccogliere dai frammenti), e si dà tutto a rilevare le contraddizioni o inverosimiglianze storiche ch’egli trova nei Vangeli; ma anche qui, come in Celso, l’obiezione più forte è sollevata in nome dei principii filosofici: «Può patire un Dio? Può risuscitare un morto?». La risposta negativa che evidentemente bisogna dare a tali domande, secondo Porfirio, decide anche di tutta la questione; qualunque interpretazione dei racconti evangelici sarà preferibile a quella che ammetta il patimento di un Dio o la resurrezione di un morto. Quando l’Impero diventò ufficialmente cristiano, non solo non comparvero più nuovi scritti contro l’autorità storica dei Vangeli, ma disparvero anche quelli già pubblicati: ad esempio, i libri di Porfirio Contro i cristiani furono ufficialmente proscritti per decreto della corte di Bisanzio nel 448. Seguitarono tuttavia a circolare, scritte in ebraico o trasmesse oralmente, le sconce calunnie giudaiche di cui già si era servito Celso, e che più tardi confluirono nel libello Toledōth Jeshua, di cui già si è trattato (§ 89).

• § 196. La “Riforma” protestante non disturbò direttamente il concorde giudizio della cristianità circa l’autorità dei Vangeli: sembrò anzi rafforzarlo perché, respingendo ogni autorità di tradizione e di magistero ecclesiastico e non ammettendo altra rivelazione che quella scritta, tanto meno avrebbe potuto richiamare in dubbio l’autorità anche storica dell’unica fonte della rivelazione. Ma la salvaguardia protestante era rafforzata solo apparentemente, mentre alla prova dei fatti risultò fallace e rovinosa: i protestanti stessi mossero i primi attacchi contro i Vangeli e li rinnovarono poi continuamente fino ad oggi, cambiando sempre le posizioni di combattimento ma sempre applicando puntualmente un principio fondamentale nella “Riforma”, quello del libero esame. Ma anche su questo mutamento pratico del protestantesimo ebbero un’influenza decisiva le idee filosofiche esterne, come già presso gli antichi critici pagani: dai quali, infatti, nei tempi nuovi furono inconsciamente ricopiati taluni atteggiamenti. I primi a romperla con il concetto ortodosso protestante furono alcuni seguaci del Deismo inglese, che fra altro identificava rivelazione soprannaturale e ragione naturale: alcuni tentativi fatti in tal senso, specialmente con la mira di eliminare l’elemento taumaturgico dai miracoli evangelici (Woolston, 1730; Annet, 1744), non ottennero larga risonanza, ma rimasero nondimeno come semi per il futuro. In Francia il Filosofismo s’inoltrò alquanto sulle stesse strade. L’enciclopedico Voltaire non avrebbe potuto fare a meno di occuparsi anche dei Vangeli, e lo fece col suo abituale ricorso a sarcasmi denigratori ed a sottigliezze sofistiche; sia in altri dei suoi innumerevoli scritti, sia specialmente ne La Bible enfin expliquée (1776) e nella Histoire de l’établissement du christianisme (1777), egli tratta Gesù da vanitoso impostore, San Paolo da energumeno insensato, rimette a nuovo le vecchie calunnie delle Toledōth Jeshua, e mescolandole con le leggende di vangeli apocrifi le contrappone ai dati dei Vangeli canonici.

• § 197. Ma i meschini risultati ottenuti dal Deismo inglese e dal Filosofismo francese, furono di gran lunga superati in Germania dall’Illuminismo (Aufklärung), il quale, mentre era ostile non meno delle altre due scuole a ogni idea di soprannaturale, era per di più sbocciato nella stessa patria della “Riforma” e del libero esame. Nel tempo che il Voltaire si perdeva in Francia nei suoi lazzi sconnessi, in Germania si portavano a termine tentativi più organici e complessi. Un professore di lingue orientali ad Amburgo, H. S. Reimarus, poco prima della sua morte (1768) finì di scrivere una Apologia degli adoratori razionali di Dio, di ben 4000 pagine, che non ardì però pubblicare; ma ne pubblicò sette ampi estratti (nel 1774, 1777 e 1778) il Lessing, allora bibliotecario a Wolfenbüttel, come Frammenti di un anonimo, di cui gli ultimi due ricevettero i rispettivi titoli di Sulla storia della resurrezione e Dello scopo di Gesù e dei suoi discepoli. In questi estratti il Reimarus sferra un ordinato attacco dapprima contro ogni idea di soprannaturale, poi contro la rivelazione dell’Antico Testamento, e infine contro tutta la storia evangelica. Gesù sarebbe stato un focoso agitatore politico, che voleva suscitare una sommossa popolare contro i Romani padroni della Palestina; fallita la sommossa con la crocifissione di Gesù, i suoi seguaci avrebbero travisato il vero scopo di lui, spacciandolo per rinnovatore puramente spirituale e religioso; ne avrebbero perciò rapito il corpo, dicendo che era risuscitato e che la sua morte era servita a redimere l’umanità; i quattro Vangeli canonici non sarebbero che la consacrazione ufficiale di questa catena di disinganni e di inganni, giacché i cristiani «non sono che dei pappagalli i quali ripetono ciò che sentono dire». Ma nel paese stesso dell’Illuminismo un’interpretazione di tal genere, anche prescindendo dal suo palese fanatismo anticristiano, era o appariva troppo puerilmente semplicista per poter incontrare molti consensi; e in realtà, se essa toglieva dai racconti evangelici l’«irrazionale» elemento miracoloso, v’introduceva una sproporzione non meno irrazionale tra causa ed effetto, facendo dipendere l’intero cristianesimo da un ammasso di deliri e di ciurmerie: il che sarebbe stato un «miracolo» contro i principii storici più elementari, arduo ad ammettersi non meno dei miracoli evangelici. Perciò i Frammenti dell’anonimo di Wolfenbüttel produssero il solo risultato di segnalare una via sbagliata nell’interpretazione anti-soprannaturale della storia evangelica, e si attirarono parecchie confutazioni da parte protestante. Fra le quali è notevole quella di J. S. Semler (1779), conosciuto per i suoi lavori di filologia sacra e specialmente per il metodo dello «storicismo critico» applicato ai Vangeli; questo metodo, ispirato anch’esso al Deismo inglese, scorgeva nei Vangeli la sintesi di correnti spirituali diverse, trovava nella predicazione di Gesù molti «adattamenti» fatti a malincuore di fronte ai pregiudizi dei contemporanei, e scendeva inoltre a minute interpretazioni fisico-naturali di miracoli evangelici. Prosegue la prossima settimana ... 

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.