Comunicato numero 178. Il massimo comandamento. Il Messia figlio di David

Stimati Associati e gentili Sostenitori, «Instaurare omnia in Christo». Tra una settimana si svolgerà la quattordicesima «Giornata per la Regalità Sociale di Cristo». La giornata ha come finalità la formazione dei cattolici militanti, militanti del regno di Cristo nella vita privata (e quindi vivere abitualmente in stato di grazia, osservare i 10 comandamenti ed i precetti della Chiesa, assistere ogni domenica alla Messa ed accostarsi frequentemente ai Sacramenti), nella vita familiare e nella vita professionale (mettendo Dio al primo posto, secondo il motto di Santa Giovanna d’Arco: «Dieu premier servi»). Per chi, poi, è impegnato in associazioni culturali o movimenti politici, considerare la religione cattolica il fine principale del proprio impegno e non secondario, a partire dal punto oggi fondamentale: la questione dell’autorità nella Chiesa.

• Don Francesco Ricossa sarà il docente del seminario di studi: «Gli amici e i nemici della regalità di Cristo», che prenderà in esame tre anniversari legati al 1919, considerati alla luce del Magistero. Di particolare interesse la rivista «Fede e Ragione», fondata e diretta da don Paolo de Töth - l’ultimo dei cattolici integrali - per continuare la «buona battaglia» antimodernista e antimassonica. La rivista rappresenta una miniera di articoli (anche di mons. Umberto Benigni) che non hanno perso la loro attualità, poiché basati sui princìpi della verità eterna, che meritano di essere letti e studiati. Appuntamento, quindi, alle ore 10 di sabato 12 ottobre nei saloni del M. B. Center di Modena: Cliccare qui. Video di presentazione della giornata: Cliccare qui. Comunicato tratto dalla pagina Facebook di don Ugo Carandino.

• Dalla «Vita di Gesù Cristo» dell’abate Ricciotti oggi studieremo il capitolo: «Il massimo comandamento. Il Messia figlio di David». § 517. L’alternativa di Farisei e Sadducei continuò ancora in quel giorno operosissimo per Gesù. La risposta data ai Sadducei piacque a uno Scriba presente alla discussione, il quale perciò si fece avanti e propose a Gesù una questione che corrispondeva bene ai metodi rabbinici: «Qual è il comandamento primo di tutti?» (Marco, 12, 28) o come è riportata da Matteo (22, 36): «Qual (è il) comandamento (più) grande della Legge?». La Legge scritta infatti, ossia la Torah, conteneva secondo i rabbini 613 precetti (§ 30), dei quali 248 erano positivi perché comandavano una data azione, e 365 erano negativi perché proibivano di fare alcunché: gli uni e gli altri, poi, erano ripartiti in precetti “leggieri” e precetti “gravi” a seconda dell’importanza che si attribuiva loro. Ora, fra tutti questi comandamenti vi sarà pure stata una specie di gerarchia, e fra i precetti “gravi” ve ne sarà stato uno gravissimo che superava per importanza tutti gli altri. Ciò appunto voleva sapere da Gesù questo Scriba. La risposta di Gesù fu quella già data al dottore della Legge per cui fu pronunziata la parabola del buon Samaritano: Gesù recitò l’inizio dello Shemà (§ 438). «Il primo (comandamento) è: “Ascolta Israele! Il Signore Iddio nostro è Signore unico; e amerai il Signore Iddio tuo con tutto il cuore tuo, e con tutta l’anima tua, e con tutta la mente tua, e con tutta la forza tua”. (Il) secondo (comandamento è) questo: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Maggiore di questi, altro comandamento non è». Veramente lo Scriba aveva interrogato circa un solo comandamento, il massimo fra tutti; Gesù ha risposto recitando il comandamento dell’amore di Dio, ma quasicché tale comandamento non sia da solo integro e pieno - almeno nel campo pratico - vi aggiunge l’altro dell’amore del prossimo: questi due precetti, che si riconnettono l’un l’altro, formano per Gesù il comandamento «massimo». Le stesse idee erano già state espresse nel Discorso della montagna (§§ 327, 332).

• Lo Scriba approvò cordialmente la risposta di Gesù riscontrando da parte sua che il doppio amore di Dio e del prossimo valeva più che tutti gli olocausti e i sacrifizi del Tempio. In premio di questa sua replica Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno d’Iddio». Gli mancava, infatti, soltanto di credere nella missione di Gesù ad imitazione di Pietro, di Giovanni, e di tanti altri. Se ciò poi avvenisse, non sappiamo. Dopo questa discussione finita con l’accordo dei due, ci si dice che «nessuno più  osava interrogarlo» (Marco, 12, 34). Gesù però venne per conto suo alla riscossa. Avvicinatosi nel Tempio stesso a un altro gruppo di Farisei, intavolò una questione riguardo al Messia: Da quale stirpe sarebbe disceso il Messia? Di chi sarebbe egli stato figlio? Gl’interrogati, d’accordo con tutta la tradizione ebraica, risposero: Di David. Gesù allora fece osservare che nella sacra Scrittura David stesso, il cui nome figura nell’iscrizione in cima al Salmo 110 ebr. (Vulg. 109), si esprime ivi così: «Oracolo di Jahvè al mio Signore: “Siedi alla mia destra, finché Io ponga i tuoi nemici (quale) sgabello per i tuoi piedi!”». Da questo passo Gesù argomentò: «Se dunque David lo chiama “Signore”, come è figlio di lui?». La forza dell’argomentazione poggiava su due punti ammessi anche dai Farisei: in primo luogo, che nel Salmo parlava David come mostrava la sua iscrizione; in secondo luogo, che il Salmo trattava del futuro Messia, come risulta dal largo impiego in questo senso che se ne fa nel Nuovo Testamento (più di quindici volte) e che presuppone il consenso della parte avversaria. Perché mai, dunque, David chiamava «Signore» il futuro Messia che era suo discendente? Ciò dimostrava, secondo Gesù, che il Messia era più che un semplice «figlio di David» e racchiudeva in sé qualità che lo rendevano più che Giona e più che Salomone (§ 446) e anche più che David; ma Gesù voleva avere dai Farisei la spiegazione di questa apparente incongruenza. Quei Farisei però non poterono rispondere nulla. Più tardi, dal secolo II in poi, i rabbini risolsero la questione sostenendo che il Salmo non si riferiva al Messia, bensì ad un altro personaggio: che di solito era creduto Abramo, talvolta David stesso (!), e secondo la solitaria notizia di Giustino (Dial. cum Tryph., 33 e 83) il re Ezechia. Questa mutazione di riferimento fu evidentemente determinata dalla polemica anticristiana (cf. Testi rabbinici in Strack e Billerbeck, Op. cit., vol. IV, pagg. 452-465) .

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Da Vita di Gesù Cristo, imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.