Comunicato numero 205. La presenza del male e la Divina ProvvidenzaStimati Associati e gentili Sostenitori, «se ci fosse Dio — fin troppi ripetono — se Dio fosse provvido, non permetterebbe tanti mali, non ci lascerebbe soffrire così tanto». Oggi cercheremo di dimostrare la falsità di questa abusatissima proposizione e proveremo a spiegare la relazione che c’è fra la Divina Provvidenza e la presenza del male. La nostra principale fonte sarà l’opuscolo apologetico S.O.S. «La verità che più consola: la Provvidenza», a cura di Angelo Aramu, imprimatur 3 settembre 1944.

• Ecco un fatto che suole costantemente rinnovarsi nella storia delle contraddizioni umane: finché Dio se ne rimane nascosto nel Suo misterioso silenzio, e pur raggiunto da tutte le provocazioni degli uomini, trattiene con misericordia i rovesci della Sua giustizia, gli uomini o lo dimenticano, o orgogliosamente lo rinnegano, o apertamente lo provocano: «Abbiamo peccato — essi affermano — e che cosa ce n’è venuto di male?» (Eccli, V, 4). Appena però Dio li prende in parola, mentre i buoni si affrettano a invocarLo con più umile e fiducioso gemito di figli, i malvagi diventano i peggiori denigratori della Sua bontà. Essi mettono Dio in stato d’accusa per dichiararlo responsabile di quanto accade. Tra i buoni che glorificano Iddio nelle manifestazioni stesse della Sua giustizia, e i cattivi che ne prendono nuova occasione per offenderLo, ci sono quei cristiani meno fermi, i quali, pur credendo in Dio, ardiscono parlare della Sua Provvidenza come un cristiano non dovrebbe parlare. Siccome vedono che Dio non dispone le cose come essi vorrebbero, si credono quasi quasi nel diritto di dubitare se il Suo occhio giunga a vedere proprio tutto, o se per caso non s’inganni permettendo quel che in nessun modo dovrebbe permettere. Resta perciò necessario nel vortice dell’avversità acuire più la nostra mente e disperdere la nebbia che ostacola la nostra visione. La verità della Provvidenza divina non deve mai ottenebrarsi nella mente dell’uomo: Essa è l’unico faro che irradia di vera luce la vita; al Suo spegnersi non restano che tenebre ed il più disperato smarrimento.

• Vestigio della Provvidenza nelle creature. Come è mai possibile negare la Provvidenza di Dio? Se questa perfezione la riscontriamo, l’ammiriamo in noi, quando siamo spinti dal comando imperioso della nostra coscienza a provvedere, con generosa dedizione, con assidua diligenza alla vita dei nostri cari, alla conservazione e prosperità della nostra famiglia; se questa virtù e perfezione la scorgiamo con sorpresa negli stessi animali: la chioccia è provvida verso i pulcini, con amore li assiste, con avvedutezza li guida, con vigile occhio li segue e difende; è provvido l’uccellino, che prepara con finissima arte il nido per la nuova famiglia che aspetta; sono provvide le formiche, che si affaticano mirabilmente, unite nel comune intento di raccogliere a tempo opportuno le necessarie provviste per il futuro; e non avrà Iddio, l’Essere perfettissimo, questa perfezione, questa virtù? Non sono tutte le perfezioni delle creature uno scialbo raggio dell’infinita bontà di Dio?

• L’Ordine dell’Universo. Aggiungi un’altra evidente considerazione: l’ordine mirabile che si ammira in tutto il creato. «Vediamo nelle cose naturali tutto avvenire in modo ordinato e perfetto: ciò non potrebbe verificarsi, se tutto il creato non fosse spinto e regolato a buon fine, con provvida assistenza; perciò tutto quanto l’ordine dell’ universo è un attestato evidente di una provvida mano sapientemente regolatrice» (San Tommaso, Somma teologia, I, q. 103, a. I). Come spiegare l’armonia, il persistente ordine, con cui i miliardi di astri, i pianeti, le comete finora scoperte, continuano nel loro corso regolare, senza un provvido governo, che tutto l’universo sostenga, moderi e conservi? «Se una nave non può sulle onde del mare sostenersi a lungo senza il nocchiero, ma finisce presto col sommergersi, come potrebbe questo universo sussistere per tanto tempo senza una mente che lo governi?» (San Giovanni Crisostomo, Omelia X al pop. Antioch.). Aumenta di splendore questa visione del provvido governo di Dio sul mondo fisico, se riflettiamo sulle leggi senza numero, con cui costantemente si sorregge ed opera il mondo minerale, vegetale ed animale: tutte le scienze naturali sono un unico grandioso libro, sulle cui pagine stanno scritte, a caratteri indelebili, le prove irrefragabili della Provvidenza divina. E gli studi moderni non fanno che manifestare sempre più, a chi non sia accecato da pregiudizi, in che modo Iddio ha assegnato ad ogni essere il suo fine, come gli fornisce i mezzi per raggiungerlo, come dispone e dirige tutte le creature per farle concorrere all’ordine universale. Portiamo qualche esempio. A tutti è noto che generalmente i corpi riscaldati aumentano di volume, e viceversa si contraggono quando vengono raffreddati. L’acqua presenta al riguardo un’eccezione: il suo volume va diminuendo se la si raffredda sino alla temperatura di 4 gradi (supponiamo trattasi di acqua distillata, altrimenti la temperatura di massima densità è un poco più bassa), ma continuando il raffreddamento ritorna ad aumentare; il ghiaccio poi ha un volume notevolmente maggiore dell’acqua. Orbene questo semplice fenomeno fisico ha nell’economia della natura un’importanza veramente provvidenziale. Per esso infatti, durante l’inverno, l’acqua più fredda e il ghiaccio, più leggeri, rimangono alla superficie dei laghi e dei mari, mentre al disotto l’acqua si mantiene liquida e ad una temperatura sufficiente perché vi possano vivere i pesci e innumerevoli animaletti. Senza quella proprietà invece, molti laghi e mari finirebbero per trasformarsi in una massa ghiacciata onde ogni vita sarebbe spenta! È forse il caso che ha disposto tutto ciò? Iddio ha disposto per ogni essere vivente la struttura più adatta per vivere nell’ambiente che gli è destinato! Così per gli insetti, gli animali, le piante, l’uomo ...

• Non meno meravigliosi sono gli istinti con cui Dio provvede alla conservazione della vita e della specie degli animali. Ci limitiamo a due esempi. La femmina della vespa «Amillaria» punge alcune larve di farfalle in pochi punti corrispondenti ai gangli nervosi principali della vittima, introduce nella puntura un veleno che la paralizza, prende questa larva e la porta in vicinanza delle uova che depone in luogo nascosto : le larvette che nascono da queste uova trovano così nella larva paralizzata un cibo vivente e fresco, ma non pericoloso! Il ragno costruisce la tela, impiegando due sorta di fili di seta: una secca ed una vischiosa. Con quella secca costruisce il quadro principale, i raggi concentrici che sostengono i fili vischiosi, destinati ad impaniare gli insetti, e finalmente il suo nascondiglio nel centro. Per non rimanere egli pure impaniato nel vischio dei suoi fili, il ragno possiede delle ghiandole che secernono un liquido oleoso, neutralizzante l’azione del vischio: di tale liquido si spalma le estremità delle zampe, tanto quanto è necessario, senza sciuparne una goccia. «Questa mirabile attività non potrebbe svolgersi, se non soggetta ad una volontà superiore ordinatrice. Chi si rifiuta di ammettere ciò, non ha l’abitudine di pensare» (Anile, Le meraviglie del corpo umano, C. 3).

• Lo sguardo provvido di Dio è sopratutto rivolto all’uomo. Ma si potrebbe subito obbiettare: «Che m’importa, che Dio abbia cura continua degli astri del cielo e presieda costantemente alle vicende della natura, se poi ha dimenticato l’opera più grande delle Sue mani, l’uomo, lasciandolo in balia degli eventi, delle sue passioni, della sua libertà?». Difficoltà senza fondamento. La provvida cura manifestata da Dio nel mondo fisico non è altro che un indizio di una più vasta e mirabile Provvidenza, con cui regola le sorti dell’uomo in tutti i suoi giorni, in tutti gli istanti della sua esistenza. L’universo intero è per l’uomo, e l’uomo per Dio! Non avrebbe ragione alcuna il governo di Dio sul mondo materiale, se non avesse sopratutto il Suo sguardo fisso sull’uomo, costituito dalle Sue stesse mani re del creato. La stessa scienza che ci ha mostrato la Provvidenza nel mondo fisico, ci offre numerose prove di questa consolantissima verità. Eccone una. Allo spossato viaggiatore delle foreste o del deserto, si presenta una oasi o una capanna circondata da palme di cocco. Entra nella capanna, e l’ospite gli offre una bibita rinfrescante che infonde novello vigore. Invitato a partecipare al suo desco, il viaggiatore vede offrirsi alcuni cibi di verdure posti su piatti bruni, lucenti e tersi. Quindi gli si offre del vino veramente squisito. Verso la fine del pranzo: confetteria succulenta, e un bicchierino di generosa acquavite. Chi, in paese tanto sprovvisto e deserto, offre agli uomini tante dovizie? L’acqua estratta dal cocco prima che il frutto sia maturo. La mandorla così gustosa del frutto maturo. Il latte così gradevole contenuto all’interno della mandorla. La verdura così delicata, tenero germoglio dell’albero di cocco. Il vino ricavato incidendo il gambo del fiore di cocco. Vino che, esposto al sole, diventa anche un eccellente aceto. Lo stesso liquore che, bollito, dà lo zucchero per la confettura.  Finalmente tutti questi vasellami e questi utensili di cui ci siamo serviti a tavola, sono tutti fatti del guscio di cocco. Il legno forte e durevole usato per costruire la struttura della capanna. Le foglie secche della medesima pianta di cocco, intrecciate, diventano il tetto. Più ancora: a pochi passi dalla capanna, sulla spiaggia sta quella barca a vela: anch’essa costruita coi cocchi. Così le funi e le reti per la pesca realizzate con la fibra di cocco... Questa è la provvida pianta per l’indigeno. Ma l’industria moderna ha trovato nel cocco altre meraviglie ancora. Ecco come la Divina Provvidenza ha fatto ricchi, con una pianta sola, i poveri indigeni. Potrebbero essi, ragionevolmente, pensare che Dio si prenda più cura delle piante che di loro?

• La scienza non è che l’eco della fede. Perché non avessimo mai a dubitare di questo continuo sguardo di Dio su di noi, Gesù ha trovato queste espressive immagini: «Non vi affannate troppo di quello onde alimentare la vostra vita, né di quello onde vestire il vostro corpo. Guardate gli uccelli dell’aria, i quali non seminano, non mietono, né riempiono i granai; cionostante il vostro Padre celeste li pasce ugualmente. Non siete voi più di essi? Considerate i gigli del campo, come essi crescono; eppure non lavorano, né filano. Ora Io vi dico, che nemmeno Salomone, in tutto il suo splendore, fu vestito come uno di essi. Se dunque Dio riveste in tal modo l’erba dei campi, che oggi è e domani vien gettata nel forno, quanto più non vestirà voi, uomini di poca fede?» (San Matteo, VI, 25-30). Ed ancora: «Non è forse vero che due passerotti si vendono per un soldo? Eppure uno solo di questi non cadrà a terra, senza il permesso del Padre vostro. Non temete dunque: voi valete ben di più di molti passeri» (San Matteo, X, 29). «Non cadrà capello dal vostro capo» (San Luca, XXI, 18). Linguaggio stupendo, parole mirabili, che da sé sole bastano ad orientare e sostenere l’uomo nel cammino della vita, a custodirgli nell’anima la gioiosa certezza di non essere mai solo nelle prove quotidiane, ma sempre assistito, confortato dall’occhio vigile, dalla mano provvida di Dio, Padre universale. Ma non possiamo tralasciare le parole con cui Gesù compendia il Suo insegnamento: «Cercate Prima di tutto il Regno e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in soprappiù» (San Matteo, XVI, 32), ecco a quale condizione potremo sperimentare in nostro favore la Provvidenza di Dio: se avremo osservato la legge morale, quella legge che Iddio ha scolpito nel nostro cuore, e che ha più chiaramente confermato con la Sua parola. Poiché l’uomo, a differenza di tutte le altre creature terrene, ha un’anima, ha una libertà, e gli è assegnato un fine superiore ed ultraterreno, la partecipazione alla gloria stessa di Dio, a quello che Gesù Cristo chiama il Regno di Dio. Questo fine a cui l’uomo è destinato, è un bene che supera immensamente qualunque bene materiale, e perciò come l’uomo deve subordinare ogni altra cosa al raggiungimento del suo fine, così Iddio nel dirigere con la Sua Provvidenza gli avvenimenti umani, fa sì che tutto converga a guidare l’uomo alla salvezza della sua anima. Questo concetto ci deve rimanere costantemente dinnanzi agli occhi, se vogliamo comprendere qualche cosa della divina Provvidenza.

• Dio nella storia dell’umanità. A chi si limita a considerare gli avvenimenti della storia frammentariamente, uno separato dall’altro, potrà sembrare che in essi non intervengano che delle cause naturali: dei fattori economici o geopolitici, degli influssi fisici o fisiologici, delle passioni umane. Ma chi si solleva a considerare con uno sguardo sintetico tutta la storia dell’umanità, oltrepassando il velo dei fatti contingenti, potrà vedere, o almeno intravedere, un grande piano direttivo: il piano della Divina Provvidenza. Così finanche Gian Battista Vico, dopo i suoi lunghi e profondi studi sulla filosofia della storia, pronuncia una sentenza, che è sintesi della vita dei secoli: «La storia è la giustificazione della Provvidenza». «Le menti più elette, votatesi agli studi storici, nel movimento universale delle nazioni vedono un grande dramma, i cui innumerevoli attori, spesso inconsciamente, seguono un’alta ragione, secondo la frase felice: l’uomo si agita, Dio lo conduce» (Mons. Marini, Gli splendori del Credo, pagina 102, Amalfi 1939). E al centro della storia dell’umanità sta Gesù Cristo, il Redentore del mondo: i secoli che lo precedono tendono a Lui, quelli che lo seguono, vivono sotto le Sue irradiazioni. Diamone un breve cenno. Il popolo ebraico viveva sotto un assistenza tutta particolare: esso doveva conservare la promessa e l’aspettazione del Salvatore del mondo. Quattro imperi concorrono alla realizzazione dei disegni divini: l’impero babilonese fa schiavo il popolo ebreo e così viene in contatto con le sue credenze e tradizioni; l’impero persiano, mentre dapprima cerca di disperderlo, finisce col proteggerlo e favorirlo; l’impero greco ne facilita la diffusione e lo mette in valore, facendo tradurre dalla lingua ebraica i Libri santi, che vengono così universalmente conosciuti; l’impero di Roma stringe alleanza coi forti Maccabei e permette alla stirpe ebraica di diffondersi sempre più in tutte le contrade del mondo, portando ovunque la sua fede e la sua grande speranza.  I secoli si succedono e il desiderio, l’aspettazione del Messia è oramai universale. E quando Gesù nasce nella grotta di Betlemme, la Sua nascita non è nota che a pochi pastori e ad alcuni dotti orientali, eppure tutto nel mondo è predisposto affinché la Sua parola, come una scintilla, si propaghi attraverso tutti i popoli.

• La Chiesa cattolica opera della Provvidenza. L’opera grandiosa di Cristo è la Chiesa cattolica: Essa si sviluppa in un modo prodigioso. È il granello di senapa che deve diventare un grande albero! È il fermento che deve lievitare tutta la massa. Difficoltà insormontabili si frappongono alla sua diffusione. Gli uomini a cui è affidata sì grande opera sono dodici pescatori, rozzi, timidi, poveri, ignoranti, odiati perché appartenenti ad un popolo, che secondo l’espressione di Cicerone «è nato per la schiavitù», e a dire di Seneca: «una razza scellerata fra tutte». Non importa! Questi uomini, nel piano provvidenziale di Dio, devono riformare il mondo, conquistarlo, plasmarlo di una nuova civiltà. Con quali mezzi? Praticando, diffondendo e predicando una dottrina, piena di misteri, una morale, la più austera, che muove guerra a tutti i vizi e propone l’osservanza di tutte le virtù. Quali gli obbiettivi? Abbattere la superstizione, l’idolatria, la mitologia; infrangere le catene della schiavitù; disperdere ogni tirannia, sopprimere ogni crudeltà. La lotta incomincia cruenta! Per tre secoli gli imperatori di Roma si affaticano invano, con le più inaudite persecuzioni, ad arrestarne il corso. Ma la Croce trionfa e Costantino Magno china la sua fronte al Cristianesimo e riconosce la sua vittoria. «O cosa nuova e stupenda! — esclama San Giovanni Crisostomo — I Romani hanno potuto soggiogare migliaia e migliaia di Giudei, e non hanno potuto vincere i dodici loro Pescatori che combattevano con essi, spogli di tutto, senza armi! Le pecore hanno vinto i lupi» (Hom. 75 in Matt.; Hom. in Isaiam, C. 2). Altre lotte si preparano : le eresie, che mirano a falsare la sua dottrina, le irruzioni dei barbari, che minacciano di rovinare tutte le conquiste fino allora raggiunte, le usurpazioni violente e subdole dei re e imperatori, che vogliono limitarne la libertà aggiogarne l’autorità, la corruzione morale, che infiltrandosi nel suo centrale organismo, attenta ad offuscarne e (se mai fosse possibile) distruggerne la santità. Il protestantesimo, il liberalismo, l’anticlericalismo, la massoneria, il bolscevismo, il neopaganesimo sono nuove correnti avverse che le contrastano la marcia trionfale! Ma essa tutto travolge! «Nei momenti culminanti sono apparsi grandi Papi, grandi Vescovi, grandi Missionari, grandi Fondatori, grandi Riformatori, grandi Santi di tutte le condizioni sociali. Essi entrano nella scena della vita, non a caso, ma con un ordine, per missioni proprie, con attitudini speciali. Per lo svolgimento di un piano Prestabilito, per attuare un grandioso disegno. Benché separati gli uni dagli altri per ragioni di nazionalità e di tempo, essi formano un magnifico coro, sotto una sola direzione e un’identica guida» (Mons. Marini, Op. cit., pag. 99). Nessuno può spiegare questa storia della Chiesa senza il particolare intervento della Provvidenza di Dio.

• Provvidenza per i singoli. E Iddio non solo dirige il corso degli eventi politici e sociali per il bene della Chiesa, ma inoltre si prende cura dei singoli per dirigerli al conseguimento della vita eterna. La Provvidenza di Dio non si esaurisce come quella degli uomini, che è limitata nella loro scienza e nel loro potere. No, Iddio è infinitamente perfetto: Egli tutto sa, non solo quello che è necessario o conviene alla massa, ma anche quello che è necessario e conviene a ciascuno di noi. Egli tutto può, e senza far violenza alla libertà umana, senza far miracoli ad ogni pie sospinto, può modificare il corso degli avvenimenti per porgere ad ogni uomo i mezzi con cui egli possa salvarsi.

• Il problema del male. Ma qui sorge spontanea un’obiezione: «Se in Dio ci sono tante perfezioni, se Iddio si prende tanta cura degli uomini, come mai nel mondo c’è tanto male?». «Problema oltremodo difficile, non già perché non abbia la sua soluzione, la sua vera soluzione convincente ed appagante, ma perché questa soluzione suppone e richiede tante cose; suppone quella serenità di riflessione, così difficile ad avere, quando siamo umiliati o irritati sotto la sferza del male; quella sincera, ma poco gradita umiltà, che ci addita in noi stessi, nel nostro orgoglio, nella nostra intemperanza, nelle nostre passioni, la causa più frequente dei nostri mali; quell’equilibrio di giudizio, che ci fa individuare accuratamente i vari aspetti dell’obbiezione che si esamina, non ci fa abbandonare la verità già conquistata dinanzi alla gravità dell’obbiezione, ma ci fa discernere ciò che possiamo spiegare e ciò che non possiamo» (Gaetani, La Provvidenza Divina, Conf. VI, D’Auria, Napoli 1941). Molte intelligenze per questa grave difficoltà, che si erge contro la Provvidenza divina, si disorientano: il problema del male li spinge a mormorare, a criticare il governo di Dio. «Non osano costoro — diremo con Sant’Agostino — criticare un fabbro, un artefice nella sua officina, alla vista di tanti arnesi e strumenti, ed hanno l’ardire superbo di riprendere e criticare Iddio nel governo del mondo, vedendo tanti mali, di cui ignorano affatto l’alta finalità» (Sant’Agostino, in Ps. 148. In Genesim c. Manich. I, 16). Il primo atto doveroso, che dinanzi a questo gravissimo problema ci suggerisce la retta ragione, dopo il sicuro possesso della verità, è l’adorazione degli imperscrutabili giudizi di Dio e delle Sue vie recondite nel governo di ogni singolo uomo e di tutta l’umanità. «O abisso della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono incomprensibili i Suoi giudizi, imperscrutabili le Sue vie! Chi ha conosciuto il Pensiero del Signore?» (San Paolo, Ai Romani, II, 33). «Con chi si è consigliato, e chi è, che l’abbia istruito, gli abbia mostrata la via della giustizia e insegnata la scienza e fatto conoscere la via della Prudenza?» (Isaia, XL, 14).   Con questo previo atto di umile adorazione possiamo, adesso, fiduciosamente inoltrarci nella soluzione del problema, nell’indagine delle ragioni sapienti, per cui Dio vuole e/o permette tutti quanti i mali che affannano la breve esistenza umana.

• Se Dio è buono perché permette tanti mali? Chi pronunzia queste parole, forse dimentica che tra gli attributi divini c’è anche quello della giustizia, e che nel mondo troppe sono le ingiustizie che Lo provocano. Prima quindi di costituirci giudici di Dio, sarebbe necessario farci giudici di noi stessi (a tal proposito si legga l’esile e schietto approfondimento: «Non ho peccati ... che male faccio ... non rubo e non uccido» ---> https://bit.ly/3h94a5F). Prima di chiedere a Lui perché ci colpisce così duramente, dovremmo chiedere a noi stessi che cosa non abbiamo fatto per obbligarLo a colpirci. «Il peccato — dice il Santo Padre Pio XII — è nella vita degl’individui, nel santuario della famiglia, nell organismo sociale, non già soltanto per debolezza o impotenza tollerato, ma scusato, ma esaltato, ma entrato come da Padrone nelle manifestazioni più varie del vivere umano» (Radiomessaggio del 29 giugno 1941). Il peccato è entrato nella vita come un sistema. Ciò che il Vangelo ci mostra come il male sommo della vita, è stato invece convertito in un bene, è divenuto come concezione di vita, qualche cosa senza di cui la vita sarebbe impossibile. Un romanzo, uno spettacolo, un divertimento difficilmente oggi potrebbe dirsi interessante se non è condito dal peccato. E parlare di peccato a una gioventù che si abbandona a tutte le sfrenatezze, a coniugi dediti a ogni forma di frodi contro la santità dei loro obblighi, a uomini di più larga responsabilità, c’è solamente da sentirsi rispondere con un sorriso di compatimento. Iddio dovrebbe dunque esistere unicamente per tollerare sempre, e quasi quasi per rendersi col suo silenzio complice di tutte le loro lordure. Dire, pertanto, allo scoppiare di certi flagelli, che questi sono il frutto del peccato, è come parlare un linguaggio inintellegibile. Eppure bisogna riconoscere semplicemente che un Dio cosi buono permette tanti mali, perché l’umanità e cattiva (D. Mondrone, La divina Provvidenza negli enigmi dell ora presente, in Civiltà Cattolica, 1941, III, p. 91).

• Per la vita futura. Non vogliamo però dire che ogni male sia immediato castigo di un peccato, poiché molte volte le tribolazioni schiacciano gl’innocenti. È perciò necessario tener presente una delle leggi fondamentali che regolano l’esistenza umana: la destinazione a una vita futura. Certamente se tutto finisse con la vita presente, sarebbe impossibile giustificare la Divina Providenza nella distribuzione dei beni e dei mali; sarebbe impossibile comprendere perché tanto spesso le tribolazioni opprimano l’innocente (atteso che sia veramente innocente), mentre una quantità d’ingiustizia e di delitti rimangono impuniti. A quel modo che la conformazione dell’uccellino, racchiuso nell’uovo e pur dotato di becco per frugare i vermi nella terra, di ali per volare, di agili gambette per saltellare sui rami, sarebbe non un mistero ma un assurdo per chi si ostinasse a dire che esso è destinato da natura a morire nel guscio, e non sono per lui i campi spaziosi del cielo. Ma alla luce d’una vita futura tutto s’illumina, noi possiamo comprendere perché il giusto soffra in questa vita, perché Iddio permetta il trionfo momentaneo dell’ingiustizia e del male. Noi per ora non scorgiamo che il primo atto del dramma umano; il secondo o meglio lo scioglimento del dramma è la vita futura in cui ciascuno riceve la retribuzione delle sue opere. Iddio ora lascia impuniti tanti delitti, perché si riserva di giudicare i colpevoli al termine della loro vita: è paziente, perché è eterno. Questo è cosi vero, che filosofi cattolici e non cattolici, dall’evidente ingiustizia della vita presente, hanno dedotto con assoluta certezza l’esistenza di una vita futura (cfr. Opuscolo S.O.S., numero 58, Immortalità, pag. 23 seg.). Agli uomini di buona volontà impone invece spesso delle dure prove, prepara dei gravi dolori, affinché la loro vittoria sia più splendida, e il mezzo di acquistare una ricompensa eterna. Alla luce di questi principii sarà più facile comprendere la soluzione del problema del male.

• Principio generale della soluzione: Iddio dal male trae il bene. La chiave d’oro per aprire il difficile enigma ce la porge Sant’Agostino, enunciando in questi termini il principio generale: «Dio essendo il sommo bene non permetterebbe che esistesse il male nelle Sue opere, se non fosse così onnipotente e buono, da suscitare dal male il bene» (Ench., C. 11, M. 40 - 236). Secondo questo principio generale Dio non vuole mai direttamente il male, sia esso fisico (dolore o distruzione di una creatura) o morale (peccato), ma solo indirettamente; se fisico lo vuole in vista di un bene, se morale solamente lo permette, sempre in vista di un bene. Si noti l’importante distinzione: abbiamo detto che solo il male fisico può essere voluto da Dio, come mezzo per il raggiungimento di un bene: non il male morale. «Il male che proviene dalle cause naturali — osserva San Tommaso — o il male afflittivo in  Pena di una colpa Dio lo vuole, ma sempre come congiunto ad un bene, cosicché volendo, che si osservi la giustizia, vuole anche la pena per i suoi trasgressori, e volendo la conservazione dell’ordine naturale, vuole anche insieme la corruzione e la morte di molte creature» (San Tommaso, Somma Teol., I, q. 19, a. 9). Il male morale, invece, Dio non può in alcun modo volerlo, neppure come un mezzo ordinano ad un fine buono (il male e l’errore non hanno diritto all’esistenza), ma solo permettterlo, sempre in vista di un bene, il quale in rapporto a questo male morale non avrà ragione di fine, ma semplicemente di necessaria condizione. La ragione è profonda: il male morale dice opposizione assoluta alla volontà di Dio e volerlo anche semplicemente come mezzo per il raggiungimento di un bene, implicherebbe in Dio una contraddittoria volontà. La massima: «il fine giustifica i mezzi», è difatti falsa e pervertitrice. «Il peccato in quanto è peccato consiste nell’avversione della volontà creata dall’ultimo fine. Ora è impossibile, che Dio voglia questa avversione. Questo unicamente si addice a Dio: attrarre tutto a sé e che nulla sia da sé deviato. Egli è il sommo bene e non può essere causa di nessuna avversione dal sommo bene» (San Tommaso, De malo, Q. III, a. I.). Al contrario, il male fisico, essendo necessaria conseguenza della limitazione delle creature, può essere voluto da Dio come mezzo per un bene superiore. Così, ad esempio, per mantenere gli uccelli, che ci colmano di gioia coi loro gorgheggi, Dio può volere, anzi vuole espressamente la morte di innumerevoli bruchi. Li ha creati anche per questo; poiché la specie inferiore è per la superiore e tutte per l’uomo: l’uomo solo per Dio.

• Le soluzioni particolareggiate e pratiche. E quali sono i vantaggi, i beni, che l’uomo nell’intenzione di Dio, può e deve ricavare da tutti i mali della vita? A questo interrogativo il Cristianesimo ha risposto e continua a rispondere con una triplice soluzione, che Sant’Agostino, col suo genio, ha saputo ridurre in questa mirabile formola, che si potrebbe chiamare: tutta la sintesi cristiana del dolore: «Giovano questi mali o per correggere i peccati, o per esercitare e provare la virtù o per dimostrare la miseria della presente vita, affinché più ardentemente e con più insistenza si desideri quella in cui è la vera e perpetua felicità» (Sant’Agostino, De Trinit., XIII, M. 42, 1030). Esaminiamone il profondo contenuto.

• Giovano i mali per correggere i peccati. La correzione dell’uomo: ecco la prima finalità del dolore e di tutti i mali della vita. Facilmente l’uomo, abusando della sua libertà - (e Dio ci vuole liberi, non schiavi. Fanno decisamente pena quei paladini delle libertà e dei “diritti civili”, ovvero dei peccati mortali e di ogni aberrazione contro natura e contro l’ordine sociale, attaccare l’esistenza stessa di Dio, asserendo che non può esistere un Dio che voglia il male. Indirettamente essi sostengono che non può esistere un Dio che ci voglia liberi. Vorrebbero, questi paladini delle libertà, forse un Dio che ci faccia tutti Suoi schiavi?) -, abbandona la legge divina, la strada che lo conduce al suo alto destino, e con questo deviamento, cade nella più grave sventura, nel peccato, che non è altro che sviamento dalla somma sostanza, separazione da Dio, suprema felicità dell’anima umana. Dinanzi a questa miseranda aberrazione. Iddio, infinitamente buono e misericordioso, non può rimanere indifferente, ma s’inchina, sollecito della salvezza dell’uomo, ed il mezzo efficace che Egli sceglie nella Sua sapienza è il dolore. Semina di spine le vie dell’uomo iniquo, sparge di amaro le sue peccaminose gioie, simile a Padre amoroso, che vedendo un suo figliuolo traviato, lo riprende e castiga; a coscienzioso medico, che per impedire la cancrena e la morte dell’infermo, non tralascia di somministrare con mano ferma, le più disgustose ed amare medicine, e di fare le più dolorose amputazioni. «Per questo Dio fa sorgere la tribolazione, affinché il vaso, che è pieno di nequizia si vuoti e si riempia di grazia» (Sant’Agostino, Enarrat. in Psalm., 55, 14). «Può Dio in questo stesso giorno far cessare le tribolazioni, ma finché non ci vede purificati, finché non scorge in noi avvenuta la conversione e la seria penitenza, non scioglie la tribolazione. Egli fa, come un orefice, che fonde il suo oro: fintantoché non lo vede nel crogiuolo purificato da ogni scoria, non lo estrae dal fuoco» (San Gio. Crisostomo, Omelia al popolo Antioch., IV - 2). «Mediante l’energica, ma salutare terapia del dolore, l’orgoglioso diventa umile, l’iracondo mite, l’egoista generoso, il sensuale temperante e casto. E certi pregiudizi, certi dubbi religiosi, che nei giorni di felicità terrena e di tripudio mondano cercavano di annebbiare i valori religiosi e morali, perché questi valori erano troppo contrastanti con la concezione edonistica della vita, alla scuola del dolore, questi pregiudizi, questi dubbi svaniscono. Per cedere il posto al più ardente bisogno di avvicinarci, di stringerci a Dio, per invocare da Lui quella felicità vera e saziante, che le creature non sono riuscite a darci» (Gaetani, La Provvidenza divina, Conf. XII). Per questa sublime finalità del dolore leggiamo nei Libri santi: «Figlio mio, non rigettare la correzione del Signore, e non scoraggiarti quando sei castigato, perché Dio castiga chi ama e si compiace in Lui, come un Padre nel figlio» (Proverbi, III, 2). La storia di tante anime attesta quanto sia efficace il dolore e la tribolazione per correggere ogni traviamento. Eloquentissima questa testimonianza di Giosuè Borsi, dopo che Iddio l’aveva percosso con l’improvvisa morte del padre, poi con quella della sorella, e la povertà che venne a battere alle porte di una casa prima ricca: «Quando hai veduto, o Signore, che stavo per rimanere per sempre schiavo del vizio, e che, abbandonato a me stesso, mi sarei perduto irresistibilmente, ecco i grandi colpi della sventura. Signore, ti sei degnato di ricordarti di me e mi hai colpito più volte con mano ferma terribilmente; mi hai fatto piangere, mi hai avvilito. Ogni volta che mi hai visto pronto a ricadere, anzi ricaduto, ecco allora i Tuoi nuovi colpi, i Tuoi strazi più terribili. Grazie, grazie, o Signore, ora vedo che così mi hai salvato. Dovevi parermi crudele, ma eri infinitamente buono. Così mi sono rammentato di Te, così ho sperato in Te, così ho potuto ravvicinarmi alla Tua grazia. Il dolore è veramente il Tuo alleato, o Signore» (dai Colloqui). Si potrebbe obbiettare, che talvolta la sofferenza di questi mali, invece di condurre a Dio, allontana da Lui. Non si può negare, ma sono casi di eccezione, in confronto delle innumerevoli anime, che nel dolore hanno trovato la via della resipiscenza e della risurrezione. «O cosa magnifica! — possiamo chiudere questa considerazione con San Giovanni Crisostomo. Quello che è un supplizio si tramuta in salvezza. Al peccato tiene dietro il dolore: il dolore consuma e distrugge il peccato. Come il verme, nato nel legno consuma lo stesso legno, così il dolore che consegue al peccato, lo consuma e distrugge» (De poenitent., Hom. VII). Ed i parenti di Giosuè Borsi deceduti? Si Potrebbe obiettare che, per indurre particolarmente il Borsi alla conversione, Dio lo ha colmato di tali e tanti dolori: come la morte del padre amato e della sorella. Questi ultimi due che colpe avevano? Una obiezione che muore in principio, se si è avuta la pazienza di leggere con attenzione, senza pregiudizio, le massime e le spiegazioni fin qui date. Quanti moderni blasfemano accusando Dio della morte di un piccolo, innocente bimbo? Ebbene: quel bimbo non è certo morto per castigo, poiché, battezzato ed incapace di peccare, è adesso in Paradiso. È un castigo o è piuttosto un premio per il bambino che Dio ha voluto presto con Sé? Solo la stoltezza degli empi e dei moderni può accanirsi con simili pensieri così bassi e rozzi. Pecchi pure l’uomo moderno quanto vuole, ma lasci stare questi argomenti che non sono degni di chi non vede bene in quanto accecato dalla lussuria, dall’avarizia, dalla mollezza, dalla maldicenza, dal tradimento, dall’adulterio, dalla sodomia, dalla droga, dalla pornografia  e dalla cupidigia più in generale. Lo zotico - benché si dichiari illuminato e civile - pensi alla materie sozze e basse, sudice e sporche che gli si addicono: lasci stare i concetti elevati, sapienti e santi.

• Giovano i mali per provare la volontà umana. La prima soluzione del problema del male suppone nell’uomo il peccato; non è quindi applicabile all’uomo che si conserva fedele al dettame della  retta coscienza (= osservanza della legge naturale + servizio di Dio). Ed ecco perciò l’altra sublime finalità di tutti i mali della vita: «Giovano questi mali per esercitare e provare la virtù». La vita è una prova, è un combattimento! «Dinanzi all’uomo sta la vita e la morte, il bene ed il male: quello che avrà preferito gli si darà»  (Ecclesiastico, XV, 14). Ognuno è chiamato a pronunciarsi: o per la virtù — mèta la felicità eterna — o per il vizio — prospettiva un’eternità di dolore. — Questo è il vero concetto della vita umana! Concepirla diversamente è la più grande illusione; si voglia o non si voglia, la lotta resta e nessuno può sfuggirla. Ma se la virtù è una prova, un combattimento, ne consegue che devesi lottare contro difficoltà, che in essa ci devono essere ostacoli da superare, che abbiamo da affrontare nemici. Che prova sarebbe mai quella in cui non ci fossero sforzi e atti generosi da compiere? Ce lo attesta Gesù stesso: «Se amate (solo) quelli che vi amano, quale grazia ve ne viene?». Ora i mali della vita sono precisamente offerti a noi come occasione di combattimento, come esercizio di virtù. È nel furore della battaglia che risplende il valoroso soldato, che egli può compiere i più grandi eroismi, e guadagnare le decorazioni più invidiate; come pure si rivela il vile, abbandonando il suo posto di combattimento, fuggendo invece di fronteggiare il nemico, gettando a terra le armi invece di impugnarle per la salvezza propria e della Patria. «Come sotto uno stesso fuoco — rileva stupendamente Sant’Agostino — l’oro risplende e la paglia dà fumo, come in uno stesso setaccio passa il frumento e s’incaglia la pagliuzza, come sotto un medesimo torchio cola spremuto l’olio purissimo e la feccia, così una stessa tribolazione che sopraggiunge, prova, purifica, seleziona i buoni, mentre rovina e stermina i malvagi» (De Civ. Dei, Lib. I, C. 8, n. 2). Qui è anche tutta la sintesi del Vangelo: un invito al combattimento ed alla lotta continua; solamente a questa condizione si può divenire discepoli di Cristo. «Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (San Matteo, XVI, 24). Per questo Gesù ha additato la vita presente come una via stretta ed una porta angusta: «Quanto è angusta la porta e stretta la via che mena alla vita !» (San Matteo, VII, 13). Immagine di quella che dev’essere sempre la vita del cristiano: costante esercizio di virtù, sacrificio e immolazione continui. Se tutti i mali presenti nell’intenzione di Dio sono ordinati alla prova e valorizzazione della vita, all’acquisto dei meriti per la gloria immortale, essi evidentemente non sono mali, se non apparentemente; in realtà sono anch’essi beni e beni di un valore incalcolabile, secondo la splendida affermazione paolina: «Tengo per certo che i patimenti del tempo presente non hanno alcuna proporzione con la gloria futura, che si manifesterà in noi (Ai Romani, VIII, 18). «Quello che al presente è una momentanea e leggiera tribolazione diviene per noi un peso eterno di una sublime ed incomparabile gloria» (II Ai Corinti, IV, 17).

• Giovano i mali per dimostrare la miseria della presente vita. Secondo la prima soluzione i mali della vita servono a ricondurci nel sentiero abbandonato della vera felicità; la seconda spiega i mali come mezzi validissimi per farci avanzare in questo retto sentiero; ora i mali si rivelano efficacissimi richiami a mirare al termine gioioso del sentiero della virtù. Mirabile crescente di luce nel problema del male! È una triste constatazione: tutte le creature, che dovrebbero essere lo strumento per il raggiungimento di Dio, fine ultimo dell’umana esistenza, si trasformano generalmente in una barriera d’arresto. Vivendo immersi nel mondo sensibile, finiamo col perdere di vista i valori spirituali; pur avendo rivolti gli occhi verso il cielo, li curviamo unicamente sulla terra. L’uomo scambia le creature con Dio: ecco l’abbaglio rovinoso! Da questo funesto scambio ogni rovina temporale ed eterna! I mali della vita provvidenzialmente ci ridanno la visione della realtà, ci scoprono la miseria della vita presente, ci ridestano nell’anima le aspirazioni verso una vita migliore, verso Dio. Così «il dolore è il braccio Paterno, che ci trattiene sull’orlo dell’abisso, dove canta la sirena che sta per soffocarci. Il dolore è un male, ma un male che ci assicura il trionfo del più Prezioso dei beni, il bene del nostro vero ed eterno destino. Perché il dolore, considerato con serenità, con umiltà, con ragionevole coerenza, con spirito cristiano, non ci riduce alla disperazione, ma ci stimola e ci costringe a ricordarci il supremo destino. Quando abbiamo assaporato le delusioni e i disinganni, quando siamo presi dalla stanchezza, dalla nausea delle piccole e misere cose terrene, sotto l’influsso della grazia divina, noi sentiamo più vivo ed assillante ed irresistibile il bisogno dell’infinito e dell’eterno. Ce lo attesta Sant’Agostino, che ne aveva fatto l’esperienza: “Amareggiando tutti i beni inferiori, Iddio c’insegna ad amare quelli migliori ed impedisce che l’uomo, in viaggio per la patria, consideri come sua casa l’albergo (In Ps., 40)”» (Gaetani, La Provvidenza Divina, Conf XI). Come detto, ciò si accetta «sotto l’influsso della grazia divina», ovvero vivendo nell’amicizia di Dio. Ma il peccato mortale ci priva della grazia e ci fa nemici acerrimi di Dio, dunque troppo spesso incapaci di ragionare rettamente e di distinguere ciò che è bene da ciò che è male; ciò che è giusto da ciò che mondanamente conviene, eccetera ... È il cane che si morde la coda o, per usare una pittoresca massima di San Pietro, è il cane che torna a rotolarsi nel suo vomito e nel brago. Il “femminiello” che bestemmia Dio per l’AIDS è causa del suo stesso male, allora ben venga il castigo fisico per emendarlo. Così il drogato o l’ubriacone che si ritrovano in miseria e con il fegato a pezzi. Perché bestemmiare Dio? Perché dubitare di Dio? Perché accusare Dio di volere il male? Chi è stupido che perisca sotto il peso della sua stessa stupidità, in alternativa che si converta e si faccia santo nelle tribolazioni. Il passato è passato, il presente è per Dio, il futuro è nell’eternità.

•  Conclusione. Dopo tutte le riflessioni che abbiamo fatto, non è difficile comprendere le profonde cagioni della immani sciagure, che tutta l’umanità travolge in un cumulo di inaudite sventure. La retta ragione illuminata da questi fulgidi insegnamenti non si disorienta dinanzi a tante rovine, ma con chiaro intuito ravvisa la mano provvida di Dio, infinitamente buono e misericordioso, che tutto dispone per la salvezza eterna dell’umanità. La soluzione cristiana del problema del male, come ad ogni anima, così è applicabile ad ogni famiglia umana, ad ogni nazione, all’umanità intera. Quanti delitti non si erano accumulati sul mondo, quali rovinose deviazioni dalla legge naturale ed eterna non si erano pronunziate presso tutti i popoli, quale spaventosa marea di ateismo, d’irreligiosità, di immoralità non si era ovunque sollevata! Lo stesso Cristianesimo nelle sue massime fondamentali, che hanno creato la vera civiltà umana, osteggiato, negato, disvelto dalle menti e dai cuori degli uomini con insano furore, la Chiesa di Cristo assalita, conculcata, oppressa con sempre nuove e più ostinate persecuzioni. Poteva Iddio lasciare tanto disquilibrio tra le forze del male e quelle del bene? Poteva Iddio abbandonare tante anime in questo cammino di infelicità e di perdizione ? Ecco dunque le immani tribolazioni, da Dio soltanto permesse, in vista di una purificazione, di un arresto nell’aberrazione generale, di un futuro miglioramento. I buoni non sono sottratti ai mali comuni, perché con la loro rassegnata e generosa sofferenza concorrano a rimarginare tante piaghe, con un aumento di virtù riparino tanti delitti, ed ottengano con la loro volontaria espiazione un nuovo ordine di giustizia e di carità. Non dunque lamenti, critiche, bestemmie devono elevarsi contro la Provvidenza di Dio, ma una lode incessante: nelle sue mani sicure sta il timore regolatore di tutti gli avvenimenti; essa non è assente dal mondo, ma sempre vigile per custodire, dirigere, salvare eternamente l’umanità.

Da «La verità che più consola: la Provvidenza», S.O.S., di Angelo Aramu, imprimatur 3 settembre 1944. Sintesi e commenti a cura di CdP. 


Ratzinger Sinagoga Problema Male

In foto G. Ratzinger (Benedetto XVI) rende omaggio ai Giudei del Talmud visitando la Sinagoga di Roma e partecipando ai loro riti il 17 gennaio 2010. Il 28 maggio 2006 G. Ratzinger già visitò il «campo di concentramento Auschwitz» e subito, falsificando la storia, dichiara: «È quasi impossibile parlare in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l’uomo che non ha confronti nella storia». Evidentemente dimentica, per esempio, i primi tre secoli dell’era cristiana e dei Martiri. Ha l’ardire di proseguire il suo salamelecco agli eredi di Caifa - che ancora oggi ritengono Gesù un falso profeta e stregone, figlio di una donna di pessima reputazione - commentando gli accadimenti di Auschwitz-Birkenau in questi termini: «Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo?». Abbiamo risposto nel nostro semplice editoriale «La presenza del male e la Divina Provvidenza»,  tuttavia non ci stupiamo per le affermazioni di Ratzinger, noto modernista, divulgatore del dubbio e dell’apostasia ecumenica: ossia negatore dei dogmi. Prosegue: «Dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male?». Chiude affermando che «hanno sofferto per amor di Dio, per amor della verità e del bene» (Fonte Vaticana). Quale dio? Quale verità? Quale bene?