Comunicato numero 142. Il lievito dei Farisei ed il segno dal cieloStimati Associati e gentili Sostenitori, rivolgiamo a tutti Voi i migliori auguri per la Festa dell’Immacolata Concezione della Santa Vergine Maria. Questo dogma fu proclamato da Papa Pio IX con la Bolla «Ineffabili Deus» il giorno 8 dicembre del 1854. Non significa che questa verità esiste, o è vera, solo da tal giorno, ma significa che esiste ed è vera da sempre e che, proprio in quel momento storico, la sapienza di Dio ne ha voluto la definizione. Nella ricerca «La questione del cosiddetto “Papa eretico”» (Cliccare qui), che abbiamo recentemente pubblicato sul nostro sito, si fa menzione anche alla mentovata infallibile definizione. Oltre la magnificenza di questa verità di fede, cosa si intende mettere in evidenza? Leggiamo alcune proposizioni del Pontefice: 1° Pio IX prende in considerazione la Sacra Scrittura e la Tradizione: «Dalle divine Scritture, dalla Tradizione, dall’autorità dei Padri, niente poteva essere desunto che fosse in contrasto con questa prerogativa (l’Immacolata Concezione) della Vergine»; 2° Pio IX considera il comune sentire della Chiesa: «Abbiamo udito i Cardinali di Santa Romana Chiesa rivolgerci l’insistente richiesta perché decidessimo di emanare la definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione»; 3° Papa Pio IX definisce: «Dopo aver presentato senza interruzione, nell’umiltà e nel digiuno, le Nostre personali preghiere e quelle pubbliche della Chiesa, a Dio Padre per mezzo del suo Figlio, perché si degnasse di dirigere e di confermare la Nostra mente con la virtù dello Spirito Santo; dopo aver implorato l’assistenza dell’intera Corte celeste e dopo aver invocato con gemiti lo Spirito Paraclito; per sua divina ispirazione, ad onore della santa ed indivisibile Trinità, a decoro e ornamento della Vergine Madre di Dio, ad esaltazione della Fede cattolica e ad incremento della Religione cristiana, con l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo, affermiamo e definiamo rivelata da Dio la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria fu preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento, e ciò deve pertanto essere oggetto di fede certo ed immutabile per tutti i fedeli. Se qualcuno, dunque, avrà la presunzione di pensare diversamente da quanto è stato da Noi definito (Dio non voglia!), sappia con certezza di aver pronunciato la propria condanna, di aver subito il naufragio nella fede (...)». Dunque il cattolico, senza alcun dubbio, crede che «la beatissima Vergine Maria fu preservata (...) immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento».

• Ora, numerosi moderni “Tradizionalisti”, che sarebbe meglio chiamare fallibilisti, i quali comunque riconoscono infallibile questa definizione del Pontefice, sostengono che Papa Pio IX avrebbe usufruito dell’infallibilità - promessa da Nostro Signore - nella formulazione di questo dogma principalmente per quattro ragioni: 1° avrebbe inteso definire (noi lo capiamo facilmente dalle parole usate); 2° si sarebbe attenuto alla Sacra Scrittura; 3° si sarebbe attenuto alla Tradizione; 4° avrebbe assecondato il comune sentire della Chiesa. Dove sbagliano? Ai nostri occhi, avendo appena letto le proposizioni del Pontefice, e ben conoscendo il dogma dell’infallibilità (Cliccare qui), i punti 2, 3 e 4, presentati - in questo preciso senso e significato - dai fallibilisti, suonano certamente male. Rispondiamo, invece, che il Pontefice, 1° pur prendendo in considerazione Scrittura e Tradizione («... dalle divine Scritture, dalla Tradizione, dall’autorità dei Padri, niente poteva essere desunto che fosse in contrasto con questa prerogativa della Vergine ...»), 2° pur considerando il comune sentire della Chiesa («... li abbiamo uditi rivolgerci l’insistente richiesta perché decidessimo di emanare la definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione ...»), 3° dichiara con Cristo e da sé (in quanto Papa): «Noi ... con l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo, affermiamo e definiamo rivelata da Dio la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria fu preservata... immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento». Qui è il Papa che dichiara che questa dottrina è stata rivelata da Dio («Noi ... dichiariamo, affermiamo e definiamo rivelata da Dio la dottrina che ...»), è il Papa la garanzia infallibile.

• Mi spiego meglio. I moderni fallibilisti - ovvero gli autoproclamatisi “Tradizionalisti” - sostengono che garanzie infallibili sarebbero, in ordine, 1° la Sacra Scrittura; 2° la Tradizione; 3° il comune sentire - o consenso - della Chiesa. A loro dire, difatti, la definizione del Pontefice sarebbe quasi accessoria o superflua (e sempre suscettibile di giudizio privato), poiché, a sentir loro, il Papa avrebbe usufruito dell’infallibilità promessa da Nostro Signore sol perché si sarebbe attenuto ai 3 soggetti precedentemente menzionati (Scrittura, Tradizione, Consenso). In caso contrario, sempre in presenza di una definizione di pari solennità e  nelle medesime circostanze, il Pontefice potrebbe facilmente definire il falso, rinunciando alla garantita infallibilità, a causa di una sua presunta - e per i fallibilisti possibilissima - defezione 1° dalla Scrittura; 2° dalla Tradizione; 3° dal consenso della Chiesa. Si capisce facilmente che il fallibilista ritiene che la prerogativa dell’infallibilità non sia propria del Romano Pontefice, ma esclusivamente della Scrittura, in alternativa della Tradizione, finalmente del comune sentire della Chiesa. Mentre il dogma cattolico ci insegna che è impossibile - poiché infallibilmente assistito dallo Spirito Paraclito - che il Pontefice, in una definizione di fede e costume, definisca il falso collocandosi palesemente contro le divine Lettere e contro la veneranda Tradizione; il fallibilista, al contrario, prevede che il Pontefice possa errare in una simile circostanza (ed anche di più solenne come in un Concilio universale), pur avendo conservato il carisma pontificio (quindi essendo veramente Papa), per di più pretende, almeno di fatto, che questa infallibilità sia propria della Scrittura, della Tradizione e del consenso della Chiesa: a palese detrimento dell’autorità del Vicario di Cristo o Pontefice.

• Ora, non intendo occupare tutto l’editoriale con questo argomento (rimando alla ricerca «La questione del cosiddetto “Papa eretico”» - Cliccare qui), ma appare evidente che questi signori non hanno compreso che non sono la Scrittura, la Tradizione ed il consenso della Chiesa a fare infallibile il Papa. Al contrario: 1° è il Papa che infallibilmente ci ha detto e ci dice cosa è Scrittura e cosa Scrittura non è; 2° è il Papa che infallibilmente ci ha detto e ci dice cosa è Tradizione e cosa Tradizione non è; 3° è il Papa che infallibilmente ci ha detto e ci dice chi è in comune sentire con la Chiesa e chi non lo è. Spero di essermi spiegato a sufficienza, tuttavia voglio concludere con un esempio palese e disarmante. Se un tal “Papa”, in pari contesto, dovesse definire - contro la Scrittura, contro la Tradizione e contro il comune sentire della Chiesa - che la Vergine Maria è una creatura mitologica che non è mai esistita, certamente il cattolico direbbe che questo tale non professa la fede cattolica e, quindi, non vuole e non può essere Papa. Direbbe che la Chiesa gerarchica ha il dovere di processare questo errante vestito da Papa ed eventualmente di deporlo. Il fallibilista, al contrario, già risponde che si tratta di un vero Papa che non ha avuto intenzione di usare l’infallibilità (una sorta di carisma transitorio ed intermittente) e che, quindi, ha potuto impunemente definire il falso. La reazione per parte fallibilista è già quella della cosiddetta resistenza ad oltranza contro il Papa (atteggiamento scismatico), quindi della disobbedienza ordinaria. Peccato che - e questo il fallibilista proprio rifiuta di accettarlo - il Papa (N.B.: secondo il fallibilista anche un acattolico può essere veramente Papa) è il Vicario di Cristo (e non può essere acattolico), quindi chi resiste al Papa, resiste a Cristo. Qualunque soggetto mediamente ragionevole capisce che la dottrina del fallibilista - ordinariamente di colui che si fa chiamare “Tradizionalista” - e la sua risposta sono palesemente incompatibili con la fede cattolica. Francamente mi rattristo e provo vergogna per loro! Attualmente i maggiori divulgatori di questo o simile sistema fallace sono i cosiddetti Lefebvriani, i Ratzingeriani, i seguaci di Plinio Corrêa de Oliveira, di Brunero Gherardini ed altri. Per conservare la fede, teniamo sempre a mente le parole che scriveva San Pietro Crisologo all'eresiarca Eutiche: «Soprattutto, ti esortiamo, di ricevere con obbedienza le cose che sono state scritte dal beato Papa della città di Roma, poiché San Pietro, che vive e presiede sempre sulla sua Sede, vi manifesta la verità della fede a tutti coloro che la chiedono». Chi non manifesta la verità della fede, ed anzi chi la combatte, evidentemente non ha avuto da Dio il carisma pontificio e quindi non può essere considerato Papa!
 
• Veniamo finalmente agli argomenti del giorno: «Il segno dal cielo. Il lievito dei Farisei. Il cieco di Bethsaida», dagli studi dell’Abate Giuseppe Ricciotti. § 392. Tornato Gesù in Galilea, saltarono nuovamente fuori i suoi pedinatori rimasti sul posto. I Farisei, fiancheggiati questa volta dai Sadducei (Matteo, 16, 1), entrarono in discussione con lui; e poiché la discussione non li persuadeva, gli chiesero una prova definitiva della sua missione, cioè un portento che calasse giù dal cielo. Questa sì che era la prova incontrastabile, da cui anch’essi sarebbero rimasti assolutamente convinti, non già guarire storpi, risuscitare morti e moltiplicare pani! Ci voleva qualcosa come un bel globo iridescente che calasse giù dal cielo, o anche che il sole s’oscurasse, oppure qualche altra meteora di tal genere: allora senza dubbio Gesù avrebbe vinto la sua causa! La richiesta non era nuova. A un atto magico di questo tipo avevano pensato quei Giudei che, disputando con Gesù dopo la prima moltiplicazione dei pani, avevano ricordato la manna calata dal cielo (§ 379); del resto il «segno» messianico per eccellenza era, nell’opinione diffusa d’allora, il portento astronomico e meteorologico (§ 446); fuor di questo, tutti gli altri portenti non avevano un valore probativo sicuro, appunto perché non corrispondevano all’aspettativa comune. Ma questa aspettativa, perché deformata ed avvilita, non fu appagata da Gesù. Udendo la richiesta, egli sospirò profondamente: e questa fu la sua vera risposta, fatta di commiserazione e di rammarico. Solo come un dippiù egli aggiunse: «Perché ricerca questa generazione un segno? In verità vi dico, non sarà dato a questa generazione un segno!». E lasciatili, salito nuovamente (in barca), se ne andò al di là (Marco, 8, 12-13).

• § 393. Essendo stata subitanea la partenza, i discepoli avevano dimenticato di far provviste, e lungo il tragitto si rammaricavano di aver con loro un solo pane. Gesù, udendo le loro parole, disse loro: «Guardatevi dal fermento dei Farisei e dal fermento di Erode!». Erode, cioè Antipa, fu menzionato certamente in conseguenza di discorsi o di avvenimenti precedenti; è probabile che fra coloro che avevano discusso testé con Gesù vi fossero agenti di Erode, o che i Farisei stessi agissero per conto di Erode, dato che costui aveva sempre la sua vecchia curiosità riguardo a Gesù (§ 357): la stessa partenza subitanea di Gesù indurrebbe a credere ch’egli volesse sottrarsi bruscamente alle insidiose e maligne investigazioni che venivano dalle due parti. I discepoli tuttavia, che si sentivano lo stomaco vuoto, non vedevano che relazione avesse il fermento con i Farisei e con Erode. Gesù, ricordando loro le due moltiplicazioni dei pani, li esortò a non preoccuparsi del pane materiale bensì nuovamente a star lontani dal suddetto fermento. Allora capirono ch’egli alludeva alle dottrine dei Farisei ed alle astuzie di Erode, che corrodevano lo spirito come un fermento corrode la pasta azima.

• § 394. Le ostilità trovate sulla riva occidentale del lago (e che dovettero essere molto più gravi di quanto risulti dagli scarsissimi accenni degli Evangelisti) avevano indotto Gesù a riportarsi a Bethsaida, forse per cercare animi meglio disposti; ma anche di ciò che avvenne là non ci è trasmesso nulla, salvo la guarigione riferita dal solo Marco (8, 22-26) il quale l’apprese certamente dalla catechesi di San Pietro. «E portano a lui un cieco, e gli raccomandano di toccarlo. E avendo preso il cieco per la mano, lo condusse fuori della borgata, e avendo sputato negli occhi di lui e postegli le mani sopra, lo interrogava: “Vedi alcunché?”. E (quello) guardando in su diceva: “Scorgo gli uomini, perché vedo come alberi che camminano!”. Allora di nuovo gli impose le mani sugli occhi, e (quello) vide distintamente e fu ristabilito e scorgeva nettamente da lontano tutte le cose. E (Gesù) lo mandò a casa sua dicendo: “Non entrar neppure nella borgata!”». Questa vivida descrizione, dovuta a San Pietro non meno che a San Marco, ci fa assistere ad una vera guarigione graduale; forse il cieco non era tale dalla nascita, perché riconosce subito uomini ed alberi, ad ogni modo la visione è dapprima torbida e confusa, e poi perfetta. Perché questa graduazione? Si possono ripetere le ipotesi fatte a proposito del sordomuto (§ 390), la cui guarigione ha qualche analogia con questa; ma, meglio che congetture, non siamo in grado di fare. Quanto all’impiego della saliva, si ritrova anche nelle prescrizioni dei rabbini per le malattie d’occhi; quindi anche questa volta i razionalisti seguaci del Paulus riusciranno a spiegare la guarigione in maniera naturalissima (sic! - Ricciotti sovente usa questo sarcasmo). [Dalla nota 1 alla pagina 467: Vale la pena di riportare alcune ricette rabbiniche, con lo sputo o senza, molto efficaci per il mal d’occhi. Conforme alla tradizione, lo sputo di un primogenito di padre ha virtù curativa (per gli occhi), mentre lo sputo di un primogenito di madre non ha virtù curativa (Baba Bathra, 126 b). Di Rabbi Meir si racconta che, per comporre un dissidio fra moglie e marito, si finse malato d’occhi, cosicché quella moglie, fingendo di curarlo, gli sputò sugli occhi, come appunto voleva il marito (Sotah pal., 16 d). Se si trattava di cataratta lo sputo non era necessario: «Per la cataratta prenda uno scorpione di sette colori, lo secchi all’ombra e ne macini una parte con due parti d’antimonio; ne metta tre piccoli cucchiaini in ogni occhio» (Ghittīm, 69 a). Altre ricette erano assai più complicate]. 

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.