Comunicato numero 103. I razionalisti e la vita di Gesù (Sesta parte)

Stimati Associati e gentili Sostenitori, quanta tristezza nelle ultime cinque settimane avendo studiato i deliri e le turpi offese dei razionalisti sulla Santa Persona di Gesù. Tutti i loro sforzi di conciliare l’inconciliabile, tutti i loro studi di falsa scienza, tutti i loro sofismi si traducono nel rigetto della divinità di Gesù, quindi nella negazione della Sua stessa storica esistenza. Oggi termineremo questa brutta pagina - studio utilissimo nel nostro percorso di formazione apologetica - poggiando ancora sui meticolosi studi critici dell’erudito Abate Ricciotti: «Le interpretazioni razionaliste della vita di Gesù». Il libro utilizzato è: «Vita di Gesù Cristo» - Imprimatur 1940, 7a Edizione, Rizzoli & C. Editori, Milano e Roma, 1941 - di Giuseppe Ricciotti: riposi in pace.

• § 219. All’attacco del Couchoud il Loisy [in foto lo scomunicato Alfred Loisy: «La sola presenza del suo cadavere sarebbe una causa di profanazione per il cimitero», ndR] ha risposto, occasionalmente, in maniera secca e sdegnosa dichiarando fra l’altro che «noi non abbiamo mai preso sul tragico le speculazioni dei mitologi». Ma che l’attacco avesse in realtà qualche elemento tragico, è apparso dalle ultime pubblicazioni del Loisy, quella su La nascita del cristianesimo (1933) rincalzata dalle Osservazioni sulla letteratura epistolare del Nuovo Testamento (1935). In questi scritti egli accentua sempre più il suo scetticismo storico circa la biografia di Gesù, e passa a giustificare questo scetticismo con una critica sempre più radicale delle lettere di San Paolo. Lo scetticismo è espresso in questi termini: «Rassegniamoci a sapere soltanto che, nel tempo in cui Ponzio Pilato era procuratore della Giudea, forse nell’anno 28 o 29 della nostra era, forse un anno o due prima, un profeta si levò in Galilea, nella regione di Cafarnao. Si chiamava Gesù... Questo Gesù era della più umile origine. Non è probabile che il nome di suo Padre, Giuseppe, e quello di sua Madre, Maria, siano stati inventati dalla tradizione. Alcuni fratelli, ch’egli aveva, hanno goduto di un’autorità più o meno considerevole nella prima comunità. Senza dubbio era nato in qualche borgo o villaggio ove fu visto da principio insegnare». Si noterà come queste parole siano molto simili a quelle che già udimmo sullo stesso argomento dal Renan (§ 206), sebbene costui poi non si attenesse in pratica al suo scetticismo: il Loisy, invece, ci si attiene. Del resto questo Gesù non avrebbe avuto neppure il tempo d’esplicare una vasta operosità, giacché la sua predicazione in Galilea «non è potuta durare a lungo; sarà fare una misura abbondante, prolungarla per qualche mese»: dopo di che, avvenne il viaggio a Gerusalemme e la morte. Ma anche così assottigliata, questa figura di Gesù ha sempre contro di sé - come faceva rilevare il Couchoud - la testimonianza di San Paolo, che a neppure vent’anni di distanza dalla morte di Gesù fa di quest’uomo un essere divino, autore della redenzione umana, della grazia universale, dell’Eucarestia e dei cristiani misteri di salvezza; quindi, o è falsa la figura del Gesù delineata dal Loisy, o è falsa la testimonianza di San Paolo. Il Loisy ha scelto, naturalmente, la seconda alternativa. Nel passato egli aveva ammesso l’autenticità sostanziale delle lettere di San Paolo, assegnandole al periodo tra gli anni 50 e 61; ma adesso, per sfuggire alla suddetta obiezione, mantiene tale assegnazione solo di nome, mentre in realtà la abbandona, giacché scomponendo le singole lettere in una gran quantità di frammenti ne attribuisce ancora a San Paolo solo una minima parte, e al contrario dichiara interpolati i frammenti più ampi e soprattutto più impaccianti per la sua teoria, attribuendoli a una «gnosi mistica» della fine del secolo I. Dopo lunghi tentennamenti, anche il fastidioso passo in cui San Paolo attribuisce a Gesù l’istituzione dell’Eucarestia (I Corinti, 11) è dichiarato falso e interpolato (§ 548).

• § 220. In questo nuovo radicalismo applicato a San Paolo il Loisy ha avuto un predecessore, Henri Delafosse. Sotto questo appellativo, che è uno dei vari pseudonimi di Joseph Turmel, costui ha pubblicato in una collana edita dal Couchoud (il riavvicinamento dei due studiosi è significativo) alcuni volumetti (1926 segg.) in cui egualmente anatomizza le lettere di San Paolo, conservando all’Apostolo brevi tratti ed attribuendo quasi tutto il resto a Marcione, che avrebbe scritto verso l’anno 150. Opera analoga ha fatto il Turmel, ancora sotto lo pseudonimo di Delafosse, per le lettere d’Ignazio d’Antiochia (1927) dichiarate d’origine marcionita, e per quella di Policarpo dichiarata interpolata. Le conclusioni del Turmel, salvo l’attribuzione a Marcione, sono state condivise e largamente impiegate dal Loisy. Ma, se il Loisy ha avuto in ciò un predecessore, non pare che abbia avuto dei seguaci: gli stessi suoi antichi discepoli si sono rifiutati di seguirlo nel suo nuovo radicalismo. [L’Abate Ricciotti scrive prima dell’avvento del funesto “Vaticano Secondo” che, quantomeno nei fatti, dimostrerà e dimostra con i suoi gregari di attingere a piene mani nella torbida melma del Loisy, ndR]. In Italia è stato scritto: «Parliamoci chiaro. Alfredo Loisy ha segnato un’orma incancellabile nella critica religiosa del secolo ventesimo con la sua critica dei Sinottici, condizionata sopra tutto dallo sforzo di isolare l’apporto paolino nella tradizione evangelica, quella di Marco innanzi tutto. Se ora il Paolo storico, il Paolo delle lettere, evapora nelle nostre mani e si perde nelle nebbie della speculazione gnostica del secondo secolo, la critica dei Vangeli (a cui i papiri stanno imponendo limiti cronologici sempre più circoscritti) (esattissimo: cfr. § 160) è da rifare: e sarebbe da rifare, caso mai, in maggior conformità alla tradizione ortodossa. Bel risultato, invero, di tante scomuniche!» (in Religio, gennaio 1936, pag. 67). Altrettanto è avvenuto in Francia, ove M. Goguel e Ch. Guignebert hanno respinto le ultime conclusioni del Loisy, sebbene ambedue accettino la teoria escatologica e siano debitori a lui di molte cose. Il Goguel ha pubblicato una Vita di Gesù (1932), a cui ha tenuto dietro uno studio su La fede nella resurrezione di Gesù nel cristianesimo primitivo (1933): nella biografia predomina l’idea escatologica, pur riscontrandovisi qualche lineamento proveniente dalla Scuola liberale; nello studio successivo, negata la realtà storica della resurrezione, si tenta spiegare come sia sorta la fede in essa. Il Guignebert ha pubblicato un Gesù (1933) in cui, quasi sempre, segue passo passo il Loisy dell’antica maniera, e si mostra ben più radicale del Goguel. Ma anche questa volta torna la questione già accennata a proposito di Bruno Bauer e dei recenti mitologi: si tratta cioè di sapere se dal punto di vista della coerenza critica e della dialettica conseguenziaria - non già della documentazione storica - il Loisy maestro si trovi in regola molto più dei suoi riluttanti discepoli. La logica infatti ha le sue ferree leggi, che spingono fino alle ultime conseguenze quando si sono stabiliti taluni principii. Quando perciò si è stabilito che dai Vangeli deve risultare un Gesù visionario escatologico, e a tale scopo si sono frantumati i Sinottici e si sono gettati via la massima parte dei loro frammenti insieme con l’intero IV Vangelo: quando in questo lavoro sono stati perfettamente d’accordo maestro e discepoli: quando infine il maestro s’avvede che il lavoro già fatto non serve a nulla se non si estende anche all’irriducibile San Paolo tradizionale, ed estende perciò il lavoro anche a San Paolo; allora ogni persona che ragioni troverà che, dal punto di vista della coerenza, il maestro va rettamente per la strada che si è tracciata, mentre i discepoli riluttanti sono illogici, perché si fermano a mezza strada per un ingiustificato conservatorismo.

• § 221. Ma si può fare anche un’altra questione, e chiedere se lo stesso Loisy sia veramente giunto alle ultime conseguenze dei suoi principii. Nella sua lunga operosità scientifica si rileva chiaramente una continua accentuazione di radicalismo, per cui egli ha successivamente sconfessato opinioni meno demolitrici dapprima professate. Ad ogni modo più radicali di lui sono oggi i mitologi colleghi del Couchoud, dalle cui negazioni egli aborre. Certamente tra Couchoud che nega l’esistenza storica di Gesù, e il Loisy che l’afferma, c’è un abisso. Ma l’abisso sembra più teoretico che pratico. A che si riduce, in pratica, il Gesù storico del Loisy? A un giovane Galileo visionario, che ha predicato per due o tre mesi, e che infine è stato giustiziato a Gerusalemme. Altro non si sa (§ 219). È un’ombra, un semplice fantasma, che un tenue soffio farebbe svanire; il Loisy però non vuol dare quel soffio, e ricorre all’espediente di polverizzare le lettere di San Paolo, piuttosto che fare svanire il fantasma. Il ricorso è coerente, ma da disperati; e appunto per questo evidente carattere di disperazione non è stato né sarà imitato. Non sarebbe dunque più agevole, e soprattutto più logico, dare quel decisivo soffio e fare svanire quell’ombra di Gesù storico, come ha fatto il Couchoud? Vero che il Loisy, e dietro lui il fedele Guignebert, ha più volte risposto al Couchoud che l’ipotesi ha il torto «di non spiegare l’origine del cristianesimo». Ma il Couchoud può sempre replicare chiedendo se l’ombra del Gesù storico, mantenuta dal Loisy, spieghi davvero l’origine del cristianesimo, o almeno la spieghi meglio dell’idea religiosa velata di storicità che il Couchoud preferisce; può inoltre insistere affermando che, quand’anche l’origine del cristianesimo non fosse spiegata nell’ipotesi che Gesù non sia esistito, ciò tutt’al più sarebbe un altro fra i molti casi in cui la storia deve ricorrere alla sapiente ars nesciendi: ma che, ad ogni modo, sarebbe evitata la mostruosa assurdità storica di presentare rigidi monoteisti giudei che adorano a masse un uomo morto poco prima e da essi ben conosciuto (§ § 216, 218). Il dramma spirituale dei razionalisti che si rifiutano di seguire il Couchoud, consiste in questo. Essi affermano che l’esistenza storica di Gesù non può essere richiamata in dubbio, garantita qual è da testimonianze gravissime, numerose, solenni: se si respingessero queste testimonianze, si dovrebbero respingere a maggior ragione le testimonianze riguardo all’esistenza storica di Socrate, Alessandro Magno, Annibale, Mani, Maometto, Carlo Magno, e d’infiniti altri personaggi, cosicché tutta la storia cadrebbe. Senonché le identiche testimonianze, gravissime, numerose, solenni, mentre garantiscono l’esistenza storica di Gesù, attestano anche le sue qualità soprannaturali e la sua potenza taumaturgica: perciò, come si conclude da quelle testimonianze che Gesù è veramente esistito, così bisognerebbe concludere ch’egli era un essere soprannaturale e che operò miracoli. Ma questa conclusione è per i razionalisti impossibile a priori, e di qui il loro dramma: essi devono dimostrare a posteriori che le testimonianze in favore del Gesù soprannaturale e taumaturgo non hanno alcun valore, mentre essi stessi le giudicano autorevolissime in favore del Gesù storico. Il metodo seguito per raggiungere questa dimostrazione a posteriori è come - oramai sappiamo - quello della selezione dei testi: i testi irriducibilmente «soprannaturali» sono scartati perché privi di valore storico; gli altri, meno irriducibili, sono sottoposti al processo della dolce sollecitazione cara al Renan (§ 207), e così sono ricondotti al livello puramente naturale e riacquistano valore storico. Ma questo metodo, per quanto sia comodo agli scopi aprioristici di chi lo applica, è troppo puerile, e puerile specialmente per la sua arbitrarietà. Proprio l’Harnack, cioè un razionalista insigne, previde che alla critica dei Vangeli sarebbe avvenuto come a quel fanciullo che tolse via ad una ad una tutte le foglie di un bulbo, giudicandole nella sua mente puerile ingombranti o accessorie al bulbo stesso, ed aspettandosi di ritrovare nell’interno un nocciuolo: e invece, gettata via l’ultima foglia, restò con nulla in mano. Gli avvenimenti successivi hanno mostrato che la previsione dell’Harnack era giustissima, giacché i critici che sfrondavano i testi più o meno abbondantemente sono stati seguiti dai critici che li hanno rasi al suolo indistintamente. Nulla, infatti, è più logico della logica stessa, quando sia applicata rigorosamente.

• § 222. Una conclusione appare evidentissima, a chi riassuma risultati delle molteplici esperienze fatte dal Reimarus fino ad oggi, ed è che quando si comincia a cancellare una parte della figura del Gesù storico qual è presentata dai Vangeli, o si ottiene una figura storicamente assurda che ben presto è abbandonata, oppure si finisce col cancellarla del tutto. I lineamenti del Gesù dei Vangeli sono tanto riconnessi e collegati fra loro, che si richiamano necessariamente a vicenda; quindi, o si lasciano come sono, oppure si cancellano fino all’ultimo. E appare evidentissima anche un’altra conclusione, in relazione diretta con la precedente: ed è che l’accettare tale quale la figura del Gesù dei Vangeli, oppure il cancellarla in parte o tutta, è una conclusione dettata soprattutto da criteri filosofici non già storici. La linea di divisione, la vera cresta di displuvio, che separa i due campi è un criterio filosofico, cioè la «possibilità» del fatto soprannaturale e del miracolo fisico: tutti gli altri criteri storici, in confronto con questo filosofico, sono di gran lunga meno importanti per uno studioso che già si sia schierato nell’uno o nell’altro dei due campi. Previa «possibilità» nel campo di destra; previa «impossibilità» nel campo di sinistra: ecco il vero spirito che animerà le successive investigazioni storico-documentarie in ambedue i campi, e ne suggerirà le conclusioni. Gli accampati di sinistra accetteranno volta per volta qualunque soluzione del problema storico di Gesù, da quella del Reimarus fino a quella dei mitologi, pur di non ammettere quella «possibilità» che per essi è un’assurdità maggiore di qualunque assurda soluzione. Gli accampati di destra avranno il compito di assicurarsi caso per caso che la previa «possibilità» sia diventata «realtà», e di schiarirne l’inquadramento nei contemporanei fatti storici; ma, per il resto, non incontrano ostacoli molto gravi. Questa condizione degli accampati di destra è rilevata da un accampato dell’estrema sinistra, cioè dal Couchoud, con le seguenti parole: «Quanto più ci ripenso, tanto più mi convinco che il Gesù storico non è pienamente accettabile se non dai credenti e non capito bene se non da loro». - «I credenti hanno la chiave di questi antichi testi. Essi li leggono senza fatica, ne penetrano il vero senso; potranno desiderare la spiegazione di un dato particolare, ma difficoltà radicali non ne incontrano. Per essi non esiste un enigma di Gesù. L’ostacolo in cui io urto, di sapere come mai Paolo avrebbe adorato un Giudeo suo contemporaneo elargendo gli gli attributi di Jahvè (cfr. § 218), non esiste. Paolo ha trattato Gesù da Dio, perché Gesù è veramente Dio. I credenti sono nella luce». – «Nel campo dell’esegesi la loro posizione è invidiabile. Essi ricevono di fronte e accettano nel loro senso pieno quei documenti che i critici prendono di sbieco e nei quali tentano di fare una rischiosa selezione».

• § 223. Su questo punto esiste poi una controversia delicata. Dagli accampati di sinistra partono spesso all’indirizzo degli accampati di destra voci disdegnose, che li accusano di essere sotto la tirannia del dogma e di non godere di quella libertà scientifica di cui si gode nel campo di sinistra. Bisogna distinguere. In primo luogo, quando un dato principio è stato liberamente e coscientemente accettato, si potrà parlare di salda adesione ma non di tirannia. Eppoi, vi sono dogmi e dogmi: vero dogma è quello religioso; ma vi sono anche assiomi filosofici che valgono per “dogmi” laici, riscotendo adesioni così tenaci da non invidiare praticamente nulla ai dogmi religiosi. Ora, sarebbe puerile o insincero negare che il campo di sinistra abbia i suoi “dogmi” laici, rappresentati da quegli assiomi filosofici che guidano le sue ricerche e dettano le sue conclusioni ben più dei documenti storici. Questa constatazione non è ammessa né spesso né volentieri dagli accampati di sinistra; ma la loro ben comprensibile ritrosia ha avuto talune felici eccezioni, fra cui la seguente: «Se il problema (cristologico) che ha appassionato ed assorbito per secoli i pensatori cristiani è oggi proposto di nuovo, ciò avviene molto meno perché la storia ne è meglio conosciuta, che non in conseguenza del rinnovamento integrale che è avvenuto e prosegue nella filosofia moderna» (A. Loisy, Autour d’un petit livre, pagg. 128-129). Ecco una confessione tanto sincera quanto preziosa. Cosicché le voci disdegnose della sinistra verso la destra non sono punto giustificate, e possono benissimo esser ritorte dalla destra verso la sinistra con ragioni per lo meno di ugual peso; tanto più che, in pratica, se vi sono state diserzioni da sinistra verso destra, ve ne sono state anche da destra verso sinistra. Né si vorrà seriamente sostenere che l’abbandono del “dogma” laico è cosa sempre facile ed agevole, e che non avviene altrettanto nel campo opposto: in realtà l’esperienza dimostra che per attaccamento al “dogma” laico si affronta volentieri anche una specie di “martirio” laico, quale è quello di accettare la ridicolaggine suprema della teoria di un Paulus o l’assurdità suprema della teoria di un Couchoud. Affrontare simili ridicolaggini e assurdità, non è quasi un “martirio” laico? Nei due campi si parlano in realtà due lingue diverse, chiamate rispettivamente «naturalismo» e «soprannaturalismo». Il campo di sinistra, che parla il «naturalismo», non comprende né desidera comprendere l’altra lingua; il campo di destra, che parla il «soprannaturalismo», comprende benissimo l’altra lingua, soltanto afferma ch’è una lingua straniera nel paese chiamato Vangelo e quindi il visitatore di questo paese non riuscirà ivi né a capire né a farsi capire con questa sola lingua. Avviene perciò che gli accampati di sinistra disdegnano per principio tutto ciò che dicono quei di destra, come gente che parli una lingua barbara. La miglior prova ne è che l’accennata opera del radicale Schweitzer, la quale tratta estesamente delle ricerche sulla biografia di Gesù (§ 210), non s’occupa quasi affatto di pubblicazioni del campo di destra. Al contrario, gli accampati di destra s’interessano molto delle pubblicazioni dell’accampamento di sinistra, perché (oltre il resto) vi riscontrano altrettanti fallimenti delle varie teorie naturalistiche, come di discorsi fatti da persone che parlino tutte le lingue tranne la giusta, e che perciò hanno ridotto il loro accampamento a una specie di torre di Babele. Quest’ultimo paragone potrà sembrare qui inopportuno per la sua indelicatezza: ma in tal caso la responsabilità ricade su chi lo ha impiegato per la prima volta, cioè precisamente su un altissimo gerarca dell’accampamento di sinistra, il Loisy, il quale ha potuto esprimere il seguente giudizio: «Si è assai tentati di pensare che la teologia contemporanea - fatta eccezione per i cattolici romani per i quali l’ortodossia tradizionale ha sempre forza di legge - è una vera torre di Babele, ove la confusione delle idee è anche più grande della diversità delle lingue”(in The Hibbert Journal, VIII-3, aprile 1910, pag. 486). Se queste parole vogliono essere un bilancio dei risultati ottenuti, gli accampati di destra le ascolteranno volentieri come confessione di un fallimento.

• § 224. I risultati pratici ottenuti nel campo di sinistra, che è il solo di cui ci siamo occupati, sono quelli fin qui esposti. È avvenuto cioè che quasi ogni nuova generazione, dal Reimarus fino ad oggi, ha gridato al trionfo credendo di aver finalmente raggiunto la definitiva e vera soluzione del “problema di Gesù”; senonché, immancabilmente, la successiva generazione ha ripudiato la decantata soluzione e ne ha cercata un’altra. Vi sono, è vero, alcuni punti messi al sicuro dopo tante ricerche; ma si tratta di punti secondari, sui quali consente volentieri anche il campo di destra mentre la vera questione principale, cioè il problema in se stesso di Gesù, è ancora là in attesa di una risposta. L’ultima soluzione proposta trionfalmente è stata quella degli escatologisti; ma da quando essa fu proclamata è già passata quasi una generazione quindi, se ancora vige la legge del secolo scorso, non dovrebbe tardare il suo ripudio totale. E in realtà, i preannunzi di questo ripudio già si scorgono, e numerosi; non si scorgono invece i segni di una parusia, che apporti la sostituzione. Né sarà facile congegnare una nuova e ben delineata teoria storica, essendo già state esplorate abbastanza le varie zone dentro e fuori l’antico giudaismo. Rimane, è vero, la possibilità di scoperte inattese, che portino alla luce documenti importanti; ma anche qui le previsioni non sono rosee, giacché i papiri scoperti in questi ultimi anni, mentre mostrano un viso benigno ed amorevole verso i Vangeli antichi e compatti della tradizione, mostrano invece una grinta singolarmente arcigna e scontrosa verso i “vangeli” tardivi e interpolati degli escatologisti (§160). Se dunque il passato insegna qualcosa riguardo al futuro, è prevedibile nel campo di sinistra un accentuato radicalismo riguardo alle fonti - nonostante le attestazioni paleografiche dei documenti - e un più sfiduciato scetticismo riguardo alla ricostruzione della biografia di Gesù. Nel campo di sinistra, insomma, il Gesù storico sembra destinato inesorabilmente alla tomba. Su un angolo di essa i mitologi, o i loro successori, scriveranno NEMO; gli escatologisti o i loro successori rifiuteranno questa iscrizione come grave offesa alla storia, e in un altro angolo scriveranno IGNOTUS; ma poi gli uni e gli altri si aiuteranno a vicenda a rotolare la pietra all’ingresso della tomba, vi apporranno di comune accordo i sigilli, e davanti alla porta chiusa si sdraieranno insieme a far la guardia. Fine!

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.