Comunicato numero 102. I razionalisti e la vita di Gesù (Quinta parte)

Stimati Associati e gentili Sostenitori, sono pronte le felpe e le magliette Sursum Corda 2018: «Sancte Joseph, Patrone S. Ecclesiae, ora pro nobis!».Proseguiamo studiando criticamente, con l’Abate Ricciotti, le «Interpretazioni razionaliste della vita di Gesù». Il libro utilizzato è: «Vita di Gesù Cristo» - Imprimatur 1940, 7a Edizione, Rizzoli & C. Editori, Milano e Roma, 1941 - dell’Abate Giuseppe Ricciotti: riposi in pace.

• § 213. Se, pertanto, si confrontava questa concezione messianica dei rabbini, ch’era predominante ai tempi di Gesù, con quanto i Vangeli riferiscono circa la predicazione di Gesù, si trovava, non già una somiglianza nell’insegnamento morale-religioso, bensì una corrispondenza nella ripartizione dei tempi. Anche Gesù contrappose il «secolo» presente di malvagità al «secolo» futuro di gloria, in cui gli eletti prenderanno parte dopo la resurrezione al regno celestiale preparato loro dal Padre; tuttavia dal «secolo» futuro egli distingue nettamente l’èra del Messia, la quale appartiene al «secolo» presente, si svolgerà su questo mondo, e vi continuerà per un periodo storico indeterminato: ma, benché indeterminato, questo periodo sarà certamente lungo, giacché per conservare stabilmente la sua società messianica Gesù impartisce le già rilevate norme d’indefinita scadenza. Né diversa risulta l’opinione della plebe che, in un momento solenne della operosità messianica di Gesù, lo acclama pubblicamente al suo ingresso in Gerusalemme: «Osanna! Benedetto il Veniente in nome del Signore! Benedetto il veniente regno del nostro padre David! Osanna negli eccelsi!» (Marco, 11, 9-10). Da queste acclamazioni appare evidente che quella plebe attendeva da Gesù anche un regno politico (cfr. Giovanni, 6, 15) - e in ciò era ben lontana dal pensiero di Gesù (cfr. Atti, 1, 6-8) - tuttavia si trattava sempre di un regno visibile, terreno, del «secolo» presente, non già di un regno invisibile, celestiale, del «secolo» futuro. E senza dubbio questa opinione della plebe era in armonia con quella degli Scribi e dei Farisei, suoi autorevoli maestri, non già con quella degli estremisti apocalittici e degli Zeloti (§ 83), che disperati del «secolo» presente aspettavano la palingenesi nella calata taumaturgica del «secolo» celestiale. Queste e molte contestazioni, mosse sulla base di documenti storici ai seguaci della teoria escatologica, provocarono repliche e discussioni numerose, e smorzarono alquanto il primo entusiasmo con cui la teoria era stata accolta: ad ogni modo, ancora oggi, essa è la predominante, e nuove ipotesi organiche per sostituirla non sono state prospettate.

• § 214. Ma nel frattempo si delineava fra gli studiosi una nuova corrente, la quale, più che concentrarsi sulla vita e l’insegnamento di Gesù stesso, faceva oggetto delle sue ricerche il cristianesimo primitivo e specialmente San Paolo. Oramai era assodato - contro le affermazioni dell’antico luteranesimo - che tutto ciò che noi sappiamo circa i fatti di Gesù ci è pervenuto attraverso la tradizione della Chiesa primitiva, e che le stesse fonti scritte evangeliche non sono altro che documenti di quella tradizione (§ 112); sembrò quindi necessario investigare come fosse formato quel mondo spirituale che ci ha trasmesso i Vangeli, quali fossero in esso gli elementi originali e quali gli importati dal di fuori, quanto di ciò che sembrava tipicamente cristiano potesse eventualmente essere una infiltrazione nella Palestina di concetti non palestinesi. Col proposito di tali ricerche la nuova corrente non intendeva ritornare ai metodi della Scuola di Tubinga (§ 200 segg.); quella, infatti, si era racchiusa nel mondo del cristianesimo primitivo, studiandone i presunti contrasti interni ma ignorando del tutto le influenze provenienti su di esso dall’esterno: adesso invece si mirava precisamente a rintracciare queste influenze, istituendo una metodica comparazione fra il cristianesimo primitivo e le altre religioni, contemporanee o anteriori ad esso, anche se nate fuori della Palestina. Erano i criteri del metodo della Storia comparata delle religioni. In realtà, influenze esterne sul cristianesimo primitivo erano già state affermate in precedenza, ma di solito limitatamente a taluni concetti e termini della filosofia greca; adesso, invece, si ricercarono influenze anche delle regioni ellenistiche, specialmente di culti misterici, e più remotamente influenze di religioni orientali: infatti, il sincretismo religioso che imperò nell’ellenismo anteriore e contemporaneo al cristianesimo e che aveva assimilato concetti svariatissimi di provenienza orientale, poteva far sospettare che avesse introdotto taluni dei suoi concetti nel cristianesimo nascente, influendo su esso o direttamente, oppure mediante il tardivo giudaismo della Diaspora o anche della Palestina. Parecchi furono i campi investigati, che fruttarono conoscenze veramente nuove: fra i numerosi studi apparsi basti qui accennare a quelli di Fr. Cumont sulla Religione di Mitra (1896, 1900) e sulle Religioni orientali nell’ Impero romano (1906); a quelli di R. Reitzenstein sull’Ermetismo (1904), sulle Religioni misteriche ellenistiche (1910), sul Mistero di redenzione iranico (1921); agli studi sul Mandeismo di W. Brandt (1889, 1893, 1910, 1912,1915), di M. Lidzbarski (1900, 1905, 1915), di L. Tondelli (1928); agli studi Sullo Gnosticismo di W. Bousset (1907), di E. De Faye (1913), di F. C. Burkitt (1932). Ma assai più limitate, spesso incerte o anche del tutto arbitrarie, furono le conclusioni dedotte dal confronto di queste religioni orientali col cristianesimo: non fu evitato, cioè, lo spontaneo pericolo di affermare una identità di sostanza dove era soltanto una vaga corrispondenza di forma, e l’altro pericolo cronologico anche più grave di prendere per una dipendenza del cristianesimo ciò che era una dipendenza dal cristianesimo. Quest’ultimo caso è avvenuto nei riguardi del Mandeismo, che a bella prima taluni studiosi troppo affrettatamente giudicarono essere una fonte della teologia del IV Vangelo: oggi, raffreddati i primi fervori, si ritiene comunemente che la strana setta dei Mandei è stata largamente influenzata dal cristianesimo, e non viceversa (§171).

• § 215. Ma l’argomento preferito, per gli studiosi di Storia delle religioni comparate, è stato San Paolo, considerato praticamente come il vero fondatore del cristianesimo o almeno come il costruttore della sua impalcatura concettuale. Questa costruzione avrebbe ben pochi elementi originali, mentre molti altri sarebbero stati desunti da varie religioni orientali ed applicati con leggieri adattamenti al Gesù idealizzato, ossia al Cristo, e alla dottrina attribuita a lui: tali sarebbero il concetto di Cristo «uomo dal cielo» (I Corinti, 15, 47), che sarebbe desunto dal mito orientale dell’«Uomo primigenio», molti concetti misterici specialmente riguardo al Battesimo e all’Eucaristia, e altri sulla grazia e lo Spirito. In sostanza si ricercava, a proposito di San Paolo, ciò che si potrebbe chiamare un «cristianesimo precristiano», ossia anteriore a Gesù. A questa corrente si oppose nettamente, fra altri, lo Schweitzer (§210), che in una nuova Storia delle ricerche su San Paolo (1911) e più tardi in uno studio sulla Mistica dell’apostolo (1930), rimase fermo alla sua teoria escatologica, applicata anche a San Paolo, e davanti all’alternativa di una dipendenza del pensiero cristiano dal giudaismo o dall’ellenismo, parteggiò risolutamente per la prima. Al contrario il Loisy, in uno studio sui Misteri pagani e il mistero cristiano (1919), ammetteva una larga influenza delle religioni misteriche ellenistiche sul cristianesimo da San Paolo in poi. In realtà lo Schweitzer, sul terreno pratico, aveva avuto lo sguardo più acuto del Loisy: egli cioè aveva preveduto che il metodo storico-comparativo, ingolfandosi nella ricerca del «cristianesimo precristiano», avrebbe finito per negare l’esistenza storica di Gesù. Ed ebbe ragione, giacché gli sviluppi inevitabili di una logica rigorosa prevalsero anche questa volta. Come già Bruno Bauer, portando alle ultime conseguenze i principii dello Strauss e della Scuola di Tubinga, aveva finito per negare la storicità di Gesù (§ 202); così pure questa volta da taluni principii del metodo storico-comparativo, ma soprattutto dai postulati filosofici in onore dal Reimarus in poi, si dedusse che Gesù non è mai esistito.

• § 216. Veramente i nuovi negatori facevano la figura di dilettanti e d’intrusi in mezzo agli specialisti, giacché non presentavano la commendatizia di qualche nuova esegesi che salvasse - come voleva la corrente - l’uomo Gesù, dopo averlo «purificato» da ogni elemento divino: al contrario, questi enfants terribles si facevano avanti a sostenere la tesi opposta, e invece di salvare l’uomo Gesù volevano salvare il «dio» Cristo, preferendo un «dio» hegeliano a un uomo storico. Tuttavia, una commendatizia la presentavano anch’essi, e molto autorevole, perché fornita loro dagli stessi escatologisti. Vedemmo sopra, infatti, come il Loisy, rivolgendosi a chi negava che Gesù era in una fremente attesa della fine del mondo, sfidasse il negatore a provare l’esistenza storica di Gesù (§ 210): ebbene, questa sfida fu accettata alla lettera, e siccome i nuovi arrivati non erano rimasti affatto convinti dalle prove che gli escatologisti avevano addotte per dimostrare quella fremente attesa di Gesù, così essi negarono che Gesù fosse esistito. Quale escatologista avrebbe potuto accusarli di non essere logici? Già sullo scorcio del secolo XIX alcuni olandesi, quali A. Pierson, A. Loman e qualche altro, si erano messi sulla via della negazione dell’esistenza storica di Gesù, ma senza ottenere apprezzabili risultati. Altrettanto avvenne al tedesco A. Kalthoff (1902), che si richiamò ai principii di Bruno Bauer. In Inghilterra J. M. Robertson, con parecchie pubblicazioni dal 1900 in poi, sosteneva che Gesù era oggetto d’un vecchio culto del popolo ebraico e da identificarsi con un mito impermeato sull’antico Giosuè. Un americano, W. B. Smith, che tuttavia scrisse in tedesco, pubblicò nel 1906 un’opera dal titolo significativo Il Gesù precristiano, con cui andava alla ricerca del culto di un Gesù anche fuori del popolo ebraico; nello stesso anno P. Jensen, assiriologo eminente, in un’opera voluminosa trovava che la figura di Gesù, come già quelle di Mosè e di altri personaggi dell’Antico Testamento, era un semplice episodio della vasta epopea mitica del babilonese Gilgamesh. Finalmente, dal 1909 in poi, il tedesco A. Drews dapprima pubblicò due grossi volumi intitolati Il mito di Cristo, e poi con altri scritti e con una fervorosa attività oratoria tentò di ridurre a sistema e di divulgare la negazione della storicità di Gesù: nel suo sistema erano messe largamente a profitto le idee sia del Robertson (Gesù = Giosuè) sia dello Smith (influenza di concetti pagani). La meschinità, quasi frivola, di siffatte ricostruzioni storiche non meritava la confutazione di specialisti; tuttavia l’attività irruente del Drews suscitò sdegnosa stizza ed animose polemiche. Dal punto di vista dell’argomentazione storica queste polemiche apparivano ingiustificate, come sarebbero ingiustificate le polemiche contro chi negasse la storicità di Giulio Cesare o di Socrate: a tali negatori si risponderebbe degnamente solo col silenzio. Ma nel caso del Drews e dei suoi colleghi c’erano di mezzo i principii filosofici, ch’essi condividevano pienamente con i loro avversari. Il gruppo del Drews obiettava agli avversari in sostanza così: Voi negate che Gesù sia stato Dio ed abbia operato miracoli, ed avete perfettamente ragione; ma non vedete voi che il Dio Gesù è attestato nelle fonti neotestamentarie con una precisione e nettezza che è certamente non minore, e forse maggiore, di quella per l’uomo Gesù? Non vedete che le due figure, del Dio e dell’uomo, sono connesse fra loro così intimamente da non potersi scindere a vicenda? Le due figure, storicamente, sono illuminate dalla stessa luce documentaria: quindi, se voi accettate l’uomo Gesù, non potete più respingere - soltanto in forza di postulati filosofici - il Dio Gesù. Del resto l’esperienza è in nostro favore, giacché i tentativi fatti dal Reimarus in poi, per salvare l’uomo Gesù abbandonando il Dio Gesù, sono tutti falliti, evidentemente perché battevano una strada sbagliata; noi perciò battiamo la strada inversa, abbandonando l’uomo Gesù, o meglio assegnando egualmente l’uomo e il Dio alla sfera dell’irreale. E, facendo ciò, noi siamo in accordo con la storia ben più di voi: voi, infatti, siete costretti ad ammettere la mostruosa assurdità che dei rigidi monoteisti - quali San Paolo ed i primi cristiani provenienti dal giudaismo - adorassero come un essere soprannaturale e divino un uomo morto pochi anni prima e già conosciuto personalmente da molti di loro; noi invece esigiamo un semplice processo di incarnazione ideale, affermando che quei primi cristiani velarono di esistenza terrena una loro idea religiosa, com’è avvenuto altre volte nella storia delle religioni. [Fine del ragionamento, ndR]. Questo ragionamento, come argomento ad hominem, era di una logica perfetta. Di qui la sdegnosa stizza e le polemiche degli avversari, che non gradivano di apparire illogici e inconseguenti.

• § 217. Durante queste polemiche, dopo la prima guerra mondiale, si è delineato, riguardo alla critica delle fonti evangeliche, un nuovo indirizzo, che ha preso il nome di Metodo della storia delle forme. I seguaci di questo metodo, in gran maggioranza tedeschi (K. S. Schmidt, 1919; M. Dibelius, 1919 segg.; R. Bultman, 1921 segg.; M. Albertz, 1921; G. Bertram, 1922 segg; ecc.), si propongono direttamente soltanto uno scopo critico-letterario, cioè di indagare la formazione e la trasmissione dei primi racconti relativi a Gesù, avanti ancora che fossero messi in iscritto: a tale scopo essi sottopongono ad analisi le «forme», ossia i tipi letterari, che rimasero incorporate in quei racconti e ch’erano d’indole religiosa popolare (ad esempio, la «novella» l’«apoftegma», il «paradigma», ecc.). Essi, infatti, ammettono che il materiale dei Vangeli, prima d’essere scritto, fece parte della catechesi ecclesiastica (§ 112) e fu in stretta relazione col culto cristiano, e perciò ebbe una vita ed uno svolgimento suoi propri; come pure riconoscono che il Gesù presentato dalla più antica tradizione cristiana è già un essere soprannaturale e oggetto di adorazione religiosa. Direttamente, quindi, essi non si occupano della biografia di Gesù, ma solo dei suoi preliminari, cioè del materiale evangelico relativo a questa biografia: tuttavia gli sconfinamenti dal campo strettamente critico-letterario a quello costruttivo-biografico sono inevitabili e significativi. Se ne intravede perciò come risultato una teoria che ha molte analogie con quella dello Strauss (§ 199); la realtà storica di Gesù è di solito ammessa, ma le narrazioni evangeliche a suo riguardo sono stimate una elaborazione della primitiva comunità cristiana; questa elaborazione è, non già mitica come per lo Strauss, ma d’indole religiosa popolare, ed ha conservato qua e là alcuni elementi d’oggettività storica, benché oggi sia praticamente assai difficile estrarre con precisione questi elementi per impiegarli in una biografia di Gesù. Questo scetticismo, del resto, non è una prerogativa del Metodo storico-formale, ma si diffonde sempre più anche tra i seguaci di altre correnti. Né contro di esso rappresenta una seria eccezione il solito R. Eisler (§§ 181, 189) che in una grossa pubblicazione dal titolo greco Gesù re che non ha regnato (2 voll., 1929-1930) presenta con ogni sicurezza e precisione un Gesù rivoluzionario, insorto a mano armata e messo regolarmente a morte dai Romani; e che successivamente, in uno studio su L’enigma del quarto Vangelo (1938), traccia una biografia non meno minuziosa di Giovanni l’evangelista. Dai dotti di ogni tendenza, ambedue le pubblicazioni sono state giudicate romanzesche, soprattutto nella loro parte costruttiva; e su tale giudizio non c’è nulla da eccepire. Oggi, pertanto, il campo è diviso praticamente fra la scuola escatologica, quella storico-comparativa e quella mitologica, mentre a tutte e tre indifferentemente possono appartenere coloro che applicano il Metodo della storia delle forme: alcuni ritardatari della scuola liberale attirano scarsa attenzione. La scuola storico-comparativa ha progressivamente abbandonato talune ipotesi su cui da principio aveva riposto molta fiducia, come quella accennata sopra (§ 214) riguardo al Mandeismo. La teoria mitologica, invece, ha avuto un vigoroso sostenitore nel francese Couchoud, che ha preso a partito soprattutto gli escatologisti.

• § 218. Nel suo nervoso libretto su Il mistero di Gesù (1924) egli s’indirizza spesso al principale escatologista, il Loisy, a cui professa gratitudine per tutto ciò che ha imparato ma di cui trova ingiustificato l’attaccamento all’esistenza storica di Gesù. Alla tesi del Loisy, secondo cui il cristianesimo è sorto dalla deificazione dell’uomo Gesù, il Couchoud propone fra altre queste difficoltà: «In molte regioni dell’impero era cosa fattibile deificare un uomo privato. Ma per lo meno in una nazione la cosa era impossibile, cioè presso i Giudei. Essi adoravano Jahvè l’unico Dio, il Dio trascendente, indicibile, di cui non si delineava l’effigie, di cui non si pronunziava il nome, ch’era separato da abissi di abissi da ogni creatura. Associare a Jahvè un uomo di qualunque genere, sarebbe stato il sacrilegio e l’abominazione suprema. I Giudei onoravano l’imperatore, ma si facevano tagliare a pezzi piuttosto che confessare solo a fior di labbra che l’imperatore era un Dio; e si sarebbero fatti egualmente tagliare a pezzi, se fossero stati obbligati a dire ciò dello stesso Mosè. E il primo cristiano di cui udiamo la voce, un Ebreo figlio d’Ebrei (cioè San Paolo), associerebbe un uomo a Jahvè nella maniera più naturale? Ecco il miracolo contro cui io ricalcitro». - «Sarebbe stato frivolo opporsi all’apoteosi dell’imperatore fino ad affrontare il martirio, per poi sostituirla con l’apoteosi di uno dei suoi sudditi». - «Proprio di un artigiano come lui Paolo ha detto: Chiunque invocherà il suo nome sarà salvo, ovvero: Ogni ginocchio si piegherà davanti a lui, quando la Scrittura dice ciò di Dio? Questo costruttore di baracche (tale era San Paolo per mestiere) ha forse attribuito a un altro falegname ambulante l’opera dei sei giorni, la creazione della luce e delle acque, del sole e della luna, degli animali e dell’uomo, dei Troni, delle Dominazioni, dei Principati e delle Potestà degli Angeli e di Satana? Ha forse confuso un uomo con Jahvè?». È dunque inammissibile, per ragioni storiche, che il Cristo del cristianesimo sia l’uomo Gesù deificato. Sarà, allora, vero Dio e vero uomo nello stesso tempo? Anche ciò è inammissibile [secondo Couchoud, ndR], ma non per ragioni storiche, bensì filosofiche: il concetto, infatti, di uomo-Dio: «È un concetto pre-kantiano, esso è entrato egualmente in grandi spiriti, come Sant’Agostino, San Tommaso, Pascal, ma oggi è inammissibile... Si è prodotta una lenta evoluzione dell’intendimento, e io suppongo che Kant c’entri per qualche cosa». (Che Kant c’entri, e più ancora Hegel, è indubitato; ma era pre-kantiano anche Celso, il quale - come vedemmo (§195) - faceva lo stesso identico ragionamento del Couchoud). Non resta dunque che ricorrere all’ipotesi perfettamente contraria a quella del Loisy; e infatti il Couchoud l’accetta, concludendo che «Gesù non è un uomo progressivamente divinizzato, ma un Dio progressivamente umanizzato». [Facciamo presente che stiamo citando gli studi critici dell’Abate Giuseppe Ricciotti su tutti questi autori del passato che, purtroppo per loro, deliravano, ndR]. Prosegue ...

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.