Comunicato numero 155. Gesù va a pranzo da un FariseoStimati Associati e gentili Sostenitori, oggi l’Abate Ricciotti - pace all’anima sua! - ci descriverà il «Pranzo di Gesù da un fariseo: invettive e ammonizioni», dalla pagina 526 alla pagina 530 della sua preziosa «Vita di Gesù Cristo», Rizzoli, 1941.

• § 447. Evidentemente il dissidio tra i Farisei e Gesù diventava sempre più grave e profondo. I primi non perdonavano a Gesù la sua indipendenza dal formalismo legale, la quale egli in mille occasioni proclamava con le parole e dimostrava con i miracoli. Gesù, dal canto suo, non cessava dal redarguire con le parole più severe la vacuità spirituale ricoperta dal formalismo farisaico, l’ostinazione pervicace di quegli uomini della Legge e la loro orgogliosa tracotanza: egli inoltre mostrava di aver sentito intimamente l’ingiuria da essi rivoltagli, allorché lo avevano designato come amico e ministro di Beelzebul. Tuttavia, poco dopo i fatti precedenti, un Fariseo invitò Gesù a pranzo: non sappiamo se facesse ciò mosso da una certa simpatia per il discusso Rabbi oppure dal desiderio d’implicarlo in questioni insidiose, ad ogni modo nessuno più di un Fariseo era abile nel salvare le apparenze e nel distinguere la teoria dalla pratica. Gesù accettò l’invito, ed entrato nella camera da pranzo si adagiò senz’altro sul suo divano in attesa delle vivande. Questa maniera di comportarsi era una mancanza farisaicamente assai grave: Gesù veniva dalla strada e dal contatto con la folla, e osava prender cibo senza prima aver praticato le accurate lavande di prescrizione? Il Fariseo ospitante ne rimase disgustato; in cuor suo egli pensò che il suo ospite, invece d’un autorevole Rabbi, non era che uno di quei «tangheri» a cui Giuda il Santo non avrebbe dato un tozzo di pane neppure se l’avesse visto morir di fame (§ 40): e invece il Fariseo ospitante aveva commesso la dabbenaggine d’invitarlo a pranzo. I sentimenti interni del Fariseo gli si leggevano sul viso: Gesù li lesse, e ne seguì una serrata disputa. Disse Gesù: «Voi dunque, Farisei, mondate l’esterno della coppa e del piatto, ma il Vostro interno è ripieno di rapina e malvagità! Stolti! Forseché chi fece l’esterno non fece anche l’interno? Piuttosto date in elemosina le cose contenute (in quei recipienti), ed ecco che tutto diventerà per voi puro! - Ma guai a voi, Farisei, perché pagate la decima della menta e della ruta e d’ogni legume, e trasgredite l’(equità nel) giudizio e l’amore di Dio! Invece, queste cose bisognava fare e quelle non tralasciare. - Guai a voi, Farisei, perché amate il primo seggio nelle sinagoghe (§ 63) e i saluti nelle piazze! - Guai a voi, perché siete come i sepolcri invisibili, e gli uomini che (ci) camminano sopra non (li) sanno!».  È ben lecito supporre che, alle prime note di questa musica, il pranzo finisse lì e che le invettive sostituissero le vivande. Il Fariseo ospitante e i suoi soci di «colleganza» (§ 39) avranno risposto come meglio potevano; ma assistevano a quel pranzo anche taluni maestri di Legge (§ 41), i quali si sentirono chiamati in causa almeno implicitamente, tanto che uno di essi replicò risentito: «Maestro, dicendo ciò insulti anche noi!». Ma anche egli e i suoi colleghi ebbero la loro parte, giacché l’indomabile Rabbi riprese: «E anche a voi legisti, guai! Perché caricate gli uomini di carichi mal sopportabili, e voi con un solo dei vostri diti non toccate quei carichi! - Guai a voi, perché costruite i sepolcri dei profeti, mentre i vostri padri li hanno uccisi! Dunque siete testimoni e consentite alle opere dei vostri padri, perché essi li hanno uccisi e voi costruite. (...) Guai a voi, legisti, perché toglieste la chiave della scienza, (ma) voi non entraste ed impediste coloro ch’entravano!» (Luca, 11, 39-52).

• § 448. In queste invettive Gesù ha di mira la pratica e non la teoria, la generalità e non i singoli. In teoria i rabbini, almeno dopo l’Era Volgare, insegnarono più d’una volta che la dottrina doveva esser congiunta con l’esempio personale, e che era cosa riprovevole esser più severo con gli altri che con se stesso ; quanto alla pratica, lo storico prudente non ha che da rimettersi al giudizio degli stessi interessati, cioè al riportato passo del Talmud che descrive i sette tipi diversi di Farisei (§ 38). Non tutti e singoli i Farisei e gli Scribi meritavano queste invettive, senza dubbio; ma Gesù s’indirizza, non ai singoli, ma alla generalità, e questa le meritava senza dubbio. Se poi Gesù rinfaccia loro di costruire i sepolcri ai profeti, non è per rimproverarli dell’opera in sé pia: è piuttosto perché la pietà si limitava all’opera materiale, mentre spiritualmente quei che costruivano sepolcri ai profeti continuavano con la loro condotta morale l’opera dei padri loro che avevano ucciso gli stessi profeti: i figli, mentre confessavano d’aver nelle loro vene il sangue dei padri, mostravano con i fatti di averne ereditato anche lo spirito (cfr. Matteo, 23, 29 segg.). In particolare i legisti e gli Scribi si erano arrogati il monopolio della Legge mosaica, e di questa torre d’avorio pretendevano di possedere essi soli la chiave: ma era una chiave monca e rugginosa, che poteva aprire a mala pena gli accessi esterni di quella torre i quali si chiamavano «lettera morta», mentre né ai possessori della chiave né ad altri essa permetteva d’inoltrarsi fino ai penetrali interni i quali si chiamavano «carità viva» [La carità è il vincolo di perfezione. La carità non ha finzioni: fugge il male e si attacca la bene. La carità è fare integralmente la volontà di Dio. La carità è amare Dio secondo i Suoi ordini, quindi è amare il prossimo, ndR]. Il risultato di quel battagliero pranzo fu quale ci potevamo facilmente attendere. «Uscito egli (Gesù) di là, gli Scribi e i Farisei cominciarono ad essere terribilmente indignati (contro di lui) e ad assillarlo di questioni su molti punti, tramandogli insidie per cogliere alcunché dalla sua bocca». L’antica lotta, dunque, diveniva sempre più serrata, e tutto lasciava prevedere una conclusione prossima.

• § 449. Da quanto era avvenuto Gesù trasse argomento per impartire avvisi ai suoi seguaci. La folla, in questa congiuntura di tempo, si era moltiplicata al punto da esserne in pericolo l’incolumità personale degli accorsi (Luca, 12, 1): e qui San Luca fa pronunziare a Gesù un discorso i cui elementi si ritrovano quasi tutti in Matteo ma sparpagliati. - Si guardino i suoi discepoli dal fermento dei Farisei, ch’è ipocrisia (§ 393). Nessun discepolo è dappiù del proprio maestro; se dunque Gesù è stato chiamato Beelzebul (§ 444), i suoi discepoli non dovranno aspettarsi un trattamento migliore (Matteo, 10, 25). Essi tuttavia parlino con tutta apertura e franchezza: non v’è nulla di occulto che non debba esser rivelato, e ciò ch’essi hanno udito in segreto lo palesino dall’alto dei tetti. Non temano essi di coloro che possono soltanto uccidere il corpo ma non l’anima; temano invece di colui che può mandare in rovina corpo e anima nella Geenna. Non si preoccupino della propria esistenza, ma si affidino alle predisposizioni del Padre celeste che sorveglia su ogni cosa; i passeri dei campi valgono un’inezia, perché se ne comprano cinque per due assi (13 centesimi), eppure nessuna di quelle bestiole è dimenticata da Dio: stiano dunque tranquilli i discepoli perché essi valgono assai più di molti passeri messi insieme, e perché tutti i capelli delle loro teste sono contati. Chiunque pertanto confesserà davanti agli uomini il figlio dell’uomo, costui lo confesserà davanti al Padre celeste e agli angeli di Dio, ma chiunque lo rinnegherà sarà da lui rinnegato. Né si preoccupino i discepoli della propria difesa oratoria quando saranno citati al giudizio delle sinagoghe e dei vari tribunali, perché lo Spirito santo insegnerà loro in quel momento ciò che dovranno dire per difendersi.

• Anche in quest’ultima norma Gesù si mostra capovolgitore (§ 318). Preoccupazioni di difesa oratoria non aveva avute neppure Socrate, quando si presentò al tribunale per uscirne condannato a morte: «Le cose infatti stanno così. Io adesso per la prima volta sono salito in tribunale, all’età di settanta anni; sono quindi imperito e straniero al parlare di qui» (Apologia di Socrate, I). Il filosofo ateniese parlò con sincerità perfetta, con franchezza assoluta; m il suo discorso -almeno nella forma pervenutaci - è disposto secondo tutte le norme classiche dell’oratoria forense, con esordio, proposizione, confutazione delle accuse, perorazione e controproposta di pena. Né egli parlò in virtù di altri, ma in virtù sua propria ... (§ 194). Quel suo arcano genio ispiratore, mentre in altre occasioni gli si era opposto internamente affinché non operasse alcunché di inopportuno, in quella mattina del giudizio non intervenne in nessuna maniera: «A me infatti, o uomini giudici, - e chiamandovi giudici intendo chiamarvi esattamente - è accaduto alcunché di meraviglioso. Infatti l’ispirazione a me abituale (...) era sempre assai frequente in tutto il tempo passato e si opponeva anche in cose assai minute, se io fossi stato per operare alcunché non rettamente. Adesso invece (...) il segno del Dio non mi si oppose né all’uscire stamane di casa, né quando salivo qui in tribunale, né in alcun punto del discorso quando stavo per dire alcunché; eppure in altri discorsi mi trattenne a mezzo in molti punti mentre parlavo: adesso invece non mi si è opposto giammai in tutto ciò che ho fatto o detto in questo negozio» (Apologia, XXXI). Nei seguaci di Gesù avverrà un fenomeno ben più importante di quello di Socrate. In essi lo Spirito non agirà solo negativamente, come il socratico che impediva il non retto ma non suggeriva il retto; invece lo Spirito stesso suggerirà le parole di difesa e porrà un’efficace apologia in bocca ai calunniati. I quali perciò potranno e dovranno trascurare l’oratoria forense.

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.